Mal pagati e poco valorizzati, i giovani stanno abbandonando il settore della ristorazione in cerca di lavori più sicuri e maggiormente remunerati. A riaccendere di nuovo i riflettori sul tema è stato Alessandro Borghese. Il noto cuoco e famoso personaggio televisivo in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato che i ragazzi preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici e che lavorare per imparare non significa per forza essere pagati. Queste parole hanno alzato un polverone e in tanti hanno preso parola per intervenire sulla vicenda, anche prendendo le difese dei diretti interessati e per cercare di spiegare che il problema è più complesso di quanto possa sembrare. Fra questi c’è Valerio Beltrami, presidente di Amira Italia, l’Associazione maître italiani ristoranti e alberghi. Beltrami da tempo tasta il polso della situazione, andando nelle scuole alberghiere a incontrare gli studenti e a raccontare le proprie esperienze lavorative.
Per Beltrami bisogna partire dalle scuole alberghiere per salvare una professione, come quella di sala, che altrimenti rischia di perdere gradualmente professionalità. Anche per questo è in stretto contatto con tecnici ed esponenti governativi per cercare di cambiare il percorso formativo bilanciando le lezioni teoriche con quelle pratiche, organizzando incontri a scuola con i professionisti del settore e migliorando stage e percorsi di alternanza scuola lavoro, di modo che si affianchino e non si sostituiscano al personale mancante di modo da poter davvero imparare i segreti della profesisone.
«I ragazzi vanno valorizzati e stimolati - ha detto - Hanno bisogno di fare più lezioni pratiche, magari stando fuori dalla scuola. E dobbiamo essere noi a trasmettere la passione per questo mestiere».
Il fuggi fuggi dei giovani dal mondo della ristorazione parte da lontano
Per Beltrami i motivi che hanno portato all’esodo dei giovani dal mondo della ristorazione sono emersi con la pandemia, ma in realtà, stavano covando da tempo sotto le ceneri. «L’emergenza pandemica e il conseguente lockdown sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso - ha spiegato Beltrami - Tanti ragazzi hanno preferito cambiare mestiere. Ma non solo, bisogna anche considerare che una spinta all’"esodo" l’ha data anche il Reddito di cittadinanza, ma sinceramente non me la sento di gettare la croce addosso a questi ragazzi. Lavorano spesso anche 12-13 ore al giorno con una paga bassa. Chi si trova in sala non ha nemmeno un confronto costruttivo con il cliente; si limita infatti a fare da “nastro trasportatore”. Ed è quindi chiaro che a un certo punto molti decidono di gettare la spugna».
Dopo la scuola alberghiera molti giovani lasciano la professione
Il presidente di Amira ha spiegato che in Italia sono presenti circa 360 istituti professionali per i servizi alberghieri e ristorazione, e nella maggior parte dei casi poco dopo il diploma l'85% lascia la carriera per dedicarsi ad altro. Per il presidente di Amira per invertire questa rotta bisogna anzitutto aumentare le ore di formazione pratica. «Al momento negli istituti alberghieri sono troppo poche le ore di laboratorio e tra l’altro si concentrano in prevalenza al triennio - ha spiegato - Bisognerebbe invece aumentarle drasticamente, pareggiando quantomeno quelle di teoria. Gli istituti ti insegnano come devi mettere le posate in tavola, o a come sfilettare un pesce o a disossare un pollo, ma non è sufficiente. Gli alunni devono poter stare a fianco dei professionisti per imparare i segreti del mestiere. Paradossalmente gli istituti professionali regionali da questo punto di vista, rispetto alle scuole alberghiere, distribuiscono equamente il carico di teoria da quello della pratica».
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Bisogna fare più pratica ed esperienza sul campo
Senza effettuare grossi stravolgimenti dal punto di vista della programmazione didattica si potrebbe tornare al passato, quando nelle scuole alberghiere erano previste lezioni tenute da esterni, ovvero da professionisti della ristorazione, le cosiddette ore di terza area. «Basterebbe anche solo raccontare loro la nostra professione - ha ripreso Beltrami - Con Amira da qualche tempo abbiamo preso contatti e siamo entrati in 30 istituti alberghieri. Ovviamente non ci siamo sostituiti ai docenti, anche perché non è il nostro compito, semplicemente abbiamo raccontato agli alunni le nostre storie di vita professionale. E alla fine tutti ci hanno ringraziato».
Trasformare le mense scolastiche in ristoranti
Un altro aspetto importante riguarda le mense scolastiche. «Troppo spesso vedo i nostri ragazzi mangiare un panino al bar quando invece dovrebbero utilizzare la mensa della scuola – ha ripreso – Andrebbe gestita dagli stessi scolari e dovrebbero aprire, come del resto è stato fatto anche in alcune scuole alberghiere, uno o due giorni la settimana, al pubblico. In questo modo potrebbero gestire la mensa come un vero e proprio ristorante e fare quindi vera esperienza sul campo».
È poi necessario prendere in considerazione la formazione dei ragazzi con i tirocini. «Servono più controlli - ha premesso - I nostri scolari non possono essere utilizzati per sostituire figure mancanti all’interno del posto di lavoro. Hanno bisogno di essere affiancati, di vedere come si fa il lavoro, non di farlo in prima persona senza imparare i segreti del mestiere».
La sinergia tra Amira e il Ministero
Beltrami e Amira da tempo, insieme ad altri rappresentanti delle associazioni, stanno facendo incontri con i rappresentanti delle istituzioni e del Governo proprio per modificare l’offerta didattica delle scuole alberghiere. «Ma servono anche garanzie e dignità per la professione di sala - ha ripreso - il cameriere non è un servitore, ma una persona che fa stare bene il cliente, che lo coccola e che lo fa uscire contento dal locale. Bisogna valorizzare questa figura professionale, anche riducendo il carico fiscale per chi decide di investire sui giovani. A oggi il servizio di sala italiano è considerato tra i migliori se non il migliore al mondo, ma se non invertiamo al più presto la rotta che hanno imboccato le scuole alberghiere finiremo per perdere questo riconoscimento internazionale».
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Alberto Lupini
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