I centri storici sono ancora deserti. Ai ristoranti mancano gli impiegati

Roberto Calugi, direttore generale di Fipe, lancia un allarme al Governo per chiedere che si torni negli uffici a lavorare per aumentare la produttività e aiutare i locali . Lo smart working uccide bar e ristoranti: l'emergenza covid è alle spalle, ma i pranzi di lavoro sono pochi e il turismo è azzardato. I locali non lavorano

21 giugno 2020 | 08:45
di Federico Biffignandi

Bar e ristoranti vedono i loro fatturati crollare giorno dopo giorno. Nemmeno la riapertura li sta aiutando con la media nazionale che si attesta su un preoccuopante -50%. Ma, appunto, si tratta solo di una media. C'è chi sta peggio, molto peggio e sono quei locali aperti nei centri storici che stanno pagando un dazio allucinante che arriva fino a picchi in giù dell'80-90%. Gli imprenditori del settore sono davvero sull'orlo del baratro e come Italia a Tavola ce ne accorgiamo tutti i giorni ricevendo segnalazioni tutte uguali dagli addetti ai lavori che non possono far altro che pensare alla chiusura denunciando di lavorare al 20-30% delle loro possibilità.

Centri storici deserti, bar e ristoranti non lavorano


Quali sono le cause?
I motivi di questo calo sono due, oltre a quelli comuni dovuti alle restrizioni e alla voglia degli italiani di sedersi ad un bar o ad un ristorante che ancora latita: da un lato il turismo che davvero non sta dando segnali di vita, dall'altro una diffusione dello smart working che persiste nonostante la curva dei contagi stia sensibilmente diminuendo e gli uffici avrebbero tutto il bisogno di tornare a lavorare a pieno regime. E non si sta parlando di centri storici minori, ma di città come Milano, Roma e Firenze che arrotondano (e non poco) con il turismo, ma che il grosso del fatturato lo maturano grazie ai pranzi di lavoro, ai caffè nelle pause, agli aperitivi a fine turno. E l'orizzonte è solo che nuvoloso se si pensa che il turismo non rappresenterà una voce degna di nota per tutta l'estate con le città snobbate dai turisti in cerca di spazi aperti, poco invogliati a infilarsi nei musei. L'unica è cambiare pelle, ma a quale prezzo? Intanto, le sagre vengono concesse togliendo altri clienti alla ristorazione tradizionale, alla faccia delle norme anti covid, delle tasse, della regolarità e di una sana promozione dei prodotti locali.

In tanti condannati alla chiusura


Cosa bisgona aspettarsi?
Se sull'invogliare gli italiani e gli stranieri a tornare a viaggiare poco si può fare al di là di campagne di promozione e messaggi di fiducia, molto di più si può lavorare sulla diminuzione dello smart working. Nelle scorse ore il sindaco di Milano, Beppe Sala l'ha detto chiaro e tondo: «Questa è l'ora di tornare a lavorare». Apriti cielo, da più parti, cittadini, colleghi, istituzioni. Eppure non stiamo parlando di un primo cittadino tradizionalista e retrogrado il che rafforza l'idea per la quale ben venga la tecnologia e un cambio di passo che allinei l'Italia agli altri Paesi. Ma, forse, si sconfina spesso nella retorica dimenticandosi quanto il Sistema Italia abbia economicamente (oltre che culturalmente) dell'Horeca che la prima ricchezza del Paese con una filiera dal campo alla tavola, che ha raggiunto la cifra di 538 miliardi, il 25% del Pil, con 3,8 milioni di occupati. A questo proposito occorre insistere nel proporre un allentamento delle restrizioni nei locali, magari differenziandole a seconda dei contagi regionali.

Viene da chiedersi cosa si aspetti a ripartire con i motori a tutta. Le banche sono chiuse e le pratiche che dovrebbero aiutare gli imprenditori a rialzarsi stentano (parliamo anche di semplici finanziamenti), ma soprattutto sono gli uffici della Pubblica amministrazione (sempre loro) che lavorano con 3 dipendenti su 7 sul luogo di lavoro. Come si può pensare di rimettere in marcia l'Italia con questa penuria di lavoro serio? E che dire della beffa degli Statali che in Liguria hanno chiesto di avere il buono pasto anche se lavorano da casa? Qualche controllo sul loro rendimento non sarebbe poi così sgradito al resto degli italiani...

Smart working tra i principali responsabili della crisi


La dura posizione della Fipe
«Chi sta soffrendo di più sono quei centri storici senza residenti - spiega il direttore generale Fipe, Roberto Calugi - che dunque rimangono completamente scoperti senza turismo e senza lavoratori. La media che noi abbiamo fatto sul calo dei fatturati è del 50%, ma nei centri storici bar e ristoranti perdono fino al 90% degli incassi rispetto al normale. Sul turismo non possiamo fare altro che sperare in un'inversione di tendenza, ma questo non basterebbe. Il vero problema è questo smart working prolungato e ingiustificato che toglie i pranzi di lavoro creando notevoli buchi per i ristoranti».

Roberto Calugi


«Ormai - prosegue - i contagi stanno calando a vista d'occhio, molte regioni non hanno alcun problema rilevante eppure il lavoro da casa prosegue. E questo va anche a discapito della produttività: non si può negare che lavorare "dal vivo" sia nettamente più efficace che farlo in video conferenza. Ben venga uno smart working moderato che fa bene anche alle famiglie con figli, ma non se ne può abusare quando non vi sono motivazioni valide. Il problema è stato portato anche agli Stati Generali e noi stessi abbiamo più volte sottoposto la questione alle forze governative, speriamo che qualcuno ci senta. Anche perchè, quando i lavoratori torneranno alla normalità c'è i rischio che non trovino più bar e ristoranti aperti perchè in molti, nel frattempo, avranno magari dovuto chiudere».

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