Gli investitori stranieri puntano sugli hotel italiani. Si lavora per ripartire nel 2023

Sempre più catene estere guardano alle strutture italiane perché il Belpaese è ancora considerato molto appetibile come meta turistica, nonostante la pandemia e le rigide restrizioni . L'italianità dell'offerta, però, non sembra essere a rischio: chi viene da noi vuole vivere lo stile che ci contraddistingue; a costo di spendere grosse cifre

12 maggio 2021 | 05:00
di Federico Biffignandi
Una cosa è certa, l’Italia continua a essere una meta turistica molto appetibile. Nonostante una situazione epidemiologica ancora precaria e restrizioni che perdurano più del previsto e in modo più severo che in altri Paesi gli investitori dell’hotellerie credono nella bellezza della Penisola. A dirlo è Pkf hotelexperts, che ha radunato oltre 60 importanti stakeholder italiani e internazionali tra gruppi alberghieri, albergatori, investitori, developer, studi di progettazione, istituzioni pubbliche e finanziarie e aziende del settore evidenziando che il valore degli investimenti nel corso del 2020 in Italia è stato di circa un miliardo di euro, mentre per il 2021 la stima è di raggiungere quota 1,5 miliardi. I numeri, dal punto di vista del valore assoluto, sono in calo del 68% rispetto al picco raggiunto nel 2019, che però è stato un anno record: rispetto ai volumi degli ultimi cinque anni il calo si può calcolare intorno al -25%. Segni “meno” che, tuttavia, significano qualcosa di positivo se inseriti nel contesto catastrofico che perdura da febbraio 2020 e ha falcidiato due Pasque, un Natale e buone parti d’estate.



Investimenti stranieri, pro e contro

Messo questo punto fermo sull’appetibilità degli alberghi italiani - forse più per il valore turistico del territorio piuttosto che sull’effettiva bontà delle strutture - va però analizzato chi sono gli investitori. Perché dando un’occhiata alle operazioni portate a termine verrebbe da pensare che sono più gli stranieri gli investitori che gli italiani. E questo rischia di risultare negativo per il mercato nazionale e per i piccoli imprenditori che hanno fatto la storia dell’accoglienza italiana.

Nel 2019 secondo uno studio di Ernest&Young (network mondiale di servizi professionali di consulenza direzionale, revisione contabile, fiscalità, transaction e formazione) nel settore dell’ospitalità si erano concluse operazioni per 3,3 miliardi, in crescita del 158% rispetto all’anno precedente. Già l’anno scorso l’83% delle transazioni era stata completata da capitali stranieri, contro il 45% registrato nel 2018. Nel 2019 sono passati di mano 91 hotel e 11.400 camere. Secondo i dati di Gabetti, a livello geografico la quota principale del capitale investito è riconducibile a Venezia (20,8%), seguita da Roma (14,4%) e poi Catania, Milano, Firenze e Genova tutte con quote tra l’8% e il 10%.

Se è vero che gli investitori stranieri guardano da tempo agli asset turistici italiani, altrettanto vero è che la crisi ha innescato nuovi investimenti immobiliari. Il gruppo francese Covivio a settembre ha acquistato per 573 milioni di euro sette alberghi italiani tra cui l’Exedra di Roma dal fondo Varde Partners, che a sua volta lo aveva comprato per 150 milioni dalla famiglia veneziana Boscolo. Il fondo Elliott ha venduto il Bauer di Venezia al gruppo immobiliare austriaco Signa. Il gruppo Statuto, proprietario del Danieli di Venezia e di alberghi a Milano è in trattativa con gli istituti di credito per un riassetto del capitale dopo soli due anni dall’ingresso dell’hedge fund Tci.

La più grande operazione registrata è la vendita da parte di Varde Partners degli hotel Dedica Anthology a Covivio (circa 330 milioni per gli immobili italiani), mentre il più grande affare di asset singolo è stata la vendita da parte di Elliott/Blue Skye del Palazzo Bauer di Venezia all’investitore austriaco Signa.

Cosa succederà nel 2021

Per quanto riguarda il futuro ci viene in soccorso ancora lo studio di Pkf secondo cui per i prossimi investimenti sono privilegiate in questa fase di mercato le destinazioni alternative alle grandi città d'arte e l'attenzione degli investitori si concentra su luxury, resort, lifestyle e soluzioni ibride, in grado di diversificare le fonti di reddito, su resort e hotel lifestyle. «Il valore degli investimenti nel corso del 2020 in Italia è stato di circa un miliardo di euro e per il 2021 la stima è di raggiungere quota 1,5 miliardi - dichiara Giorgio Bianchi, managing director di Pkf hotelexperts - la pipeline vede 100 alberghi in apertura con oltre 17mila camere, di cui 64 invia di costruzione e 36 pianificati». Location alternative come Trieste, Bergamo, Bologna, Cortina d'Ampezzo, Perugia hanno mostrato particolare resilienza, mentre le fantastiche quattro (Milano, Venezia, Firenze e Roma), dove si concentra il 78% dei valori patrimoniali alberghieri delle città - su un totale del patrimonio immobiliare alberghiero italiano di oltre 117 miliardi stimati nel 2020 - restano penalizzate dal blocco dei flussi stranieri.

I grandi progetti in mano agli stranieri

L’internazionalizzazione delle strutture è stata confermata non direttamente da chi tiene le redini del mercato immobiliare e imprenditoriale, ma da chi lavora a stretto contatto con gli hotel di tutto il mondo; si tratta di Michele Chemolli, amministratore delegato di San.Co Costruzioni Tecnologiche Spa e National market development manager di Zanini Italia aziende che installano porte tagliafuoco nelle strutture alberghiere.

«I progetti su cui stiamo lavorando noi - precisa - sono in gran parte di marchio straniero. In particolare la tendenza è quella di rilevare alberghi e palazzi storici che vengono acquistati per essere destinati ad alberghi. Si tratta di progetti di altissimo profilo che fanno seguito ad altre operazioni già avviate negli ultimi anni».

Chemolli conferma che questi investimenti avvengono perché l’Italia resta un territorio molto appetibile. Ma il quesito è: che ne sarà dell’imprenditoria italiana? «L’imprenditoria italiana - risponde Chemolli - sta crollando. Gli investimenti vengono portati a termine da grandi catene internazionali che, tuttavia, non credo modificherà tanto l’offerta tipicamente italiana. Chi arriva dall’estero arriva in Italia per godere delle bellezze e delle bontà del posto».

In tempi come questi solo chi investe può pensare di andare avanti e per questo le piccole realtà tutte italiane a conduzione famigliare, ferme da mesi, rischiano di saltare per aria definitivamente. «La tendenza - precisa Chemolli - è quella di proporre un’offerta alberghiera che va verso il “grande” e per questo il business delle grandi catene sembra essere il più credibile. Anche perché, per quello che stiamo vedendo noi, i movimenti degli investitori sono fatti oggi per farsi trovare pronti nel 2023, quando la macchina del turismo internazionale ripartirà».

Catene straniere possono portare ancor più turisti stranieri e questo per il Sistema Italia non può che essere vantaggioso perché l’indotto generato da questi è molto ricco. La speranza è che le strutture mantengano il più possibile il personale italiano il quale deve però aggiornarsi, formarsi e ampliare gli orizzonti per farsi trovare pronto. Un presupposto che sembra mancare se pensiamo alla mancanza di camerieri in tutta l’accoglienza di cui abbiamo raccontato in un articolo proprio ieri. Chemolli chiosa entrando nello specifico del suo settore di competenza: «Noi facciamo porte tagliafuoco in legno - precisa - sia per le stanze che per le sale comuni. I gestori stanno curando sempre di più l’aspetto acustico e sul fatto che la porta debba essere sempre di più parte integrante del sistema di gestione della camera, a cominciare dal controllo degli accessi. In termine di materiali invece il legno sta tornando grande protagonista».

Più cauti Federalberghi e Confindustria Alberghi

Sul fatto che gli stranieri stiano inghiottendo il mercato è più scettico Alessandro Nucara, direttore di Federalberghi: «Vero che c’è una buona tendenza da parte degli investitori stranieri a mettere gli occhi sull’Italia - spiega - ma bisogna ricordare che su 34mila alberghi attivi in Italia, il 95% è italiano non è vero che le proprietà e le gestioni italiane stanno scomparendo anche perché molte operazioni straniere vengono fatte in franchising e si concentrano nelle piazze iconiche del turismo».



Misurata anche la considerazione di Maria Carmela Colaiacovo, vicepresidente di Confindustria Alberghi: «L’Italia è una meta molto appetibile - spiega - ma dati esatti sull’andamento degli investimenti non ne abbiamo. È evidente anche che in un momento di tale difficoltà le trattative e le compravendite sono molte e il mercato è in fermento».

Via le restrizioni per tornare a viaggiare

In tutto questo scenario gli alberghi sperano comunque che le restrizioni cadano il prima possibile. Soprattutto coprifuoco e limiti di spostamenti tra nazioni di cui si sta decidendo proprio in questi giorni. Draghi ha invitato i cittadini europei a prenotare vacanze in Italia puntando forte sul green pass, da settimana prossima sembra che il coprifuoco inizi a scivolare alle 23. Tutti elementi fondamentali per continuare a mantenere vivo il fascino del buon vivere italiano che conquista ogni anno milioni di stranieri dall’estero.



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Alberto Lupini


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