Gastronomia oltre che ristorante. Nuovi Codici Ateco per ripartire

Sempre più ristoratori decidono di trasformare il ristorante in una gastronomia per poter lavorare nonostante le restrizioni. Per facilitare il passaggio servirebbero valutazioni di rischio diverse dalle attuali . Il Governo si limita a rispettare indicazioni troppo rigide, vetuste e in alcuni casi discutibili

13 gennaio 2021 | 08:30
di Federico Biffignandi
Tantissimo di ciò che era prima della pandemia è da rivoluzionare, tanto nella vita quotidiana quanto in quella della ristorazione. Che, per giunta, è il settore maggiormente colpito dalle restrizioni e quindi dai bilanci, rossi più che mai che portano con sé la necessità di reinventarsi. Sì, ma anche chi sta cercando di tracciare strade alternative a quelle della classica ristorazione (cucina più sala con tavoli) sta incontrando difficoltà.


Ristoratori pronti alla gastronomia

Cosa è il codice Ateco?
Il motivo è da ricondurre ai codici Ateco, termine entrato insieme a molti altri nel nostro linguaggio comune con l’avvento del Covid. Il codice Ateco tecnicamente identifica una Attività Economica. Le lettere individuano il macro-settore economico mentre i numeri (da due fino a sei cifre) rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le specifiche articolazioni e sottocategorie dei settori stessi. Nell’ambito della sicurezza del lavoro, il codice Ateco è necessario all’individuazione della macrocategoria di rischio dell’attività economica (rischio basso, medio, alto). Nelle linee guida redatte nel 2011, Inail ha infatti associato a ciascun codice Ateco una fascia di rischio specifica per ciascuna attività economica. Una corretta individuazione del rischio aziendale attraverso il codice Ateco è fondamentale poichè da essa dipendono le misure di sicurezza dei locali e le misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, nonchè la loro specifica formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Governo troppo rigido sull'applicazione del Codice
Perché diventano un problema? Perché il Governo si basa su questi per decidere quali attività possono restare aperte e quali no all’interno dei decreti anti-Covid. Il rischio assegnato ai bar e ai ristoranti a quanto pare è altissimo, ma fermarsi solo a valutazioni fredde, tecniche ed in qualche caso pure vetuste e non veritiere è uno dei maggiori errori compiuti da marzo ad oggi, che come Italia a Tavola abbiamo più volte sottolineato. La soluzione? Se proprio non si vogliono considerare gli sforzi dei ristoratori per attenersi ai protocolli - che di fatto annullano i codici Ateco - si cambino addirittura per consentire ai ristoranti “tradizionali” di diventare gastronomie e poter liberamente fare asporto e delivery, anche a fronte delle ultime restrizioni che imporrebbero lo stop all’asporto dalle 18 per i bar.

L’idea è stata proposta anche dal cuoco siciliano Seby Sorbello (candidato al sondaggio di Italia a Tavola, CLICCA QUI PER VOTARE) e indirettamente anche da Irina Steccanella, titolare di Irina Trattoria a Savigno. La ristoratrice sta pensando, per reagire al momento di crisi del settore, di aprire una gastronomia. Tanto che è già alla ricerca di un posticino in centro.

«In questo momento - spiega - a Bologna si sta alla finestra, per vedere cosa succederà da metà gennaio in avanti, con la sorte dei ristoranti e dei bar che ormai non stanno più dietro ai Dpcm, mentre alcuni come me – io ho chiuso il 24 dicembre e non ho più riaperto - decidono proprio di capire quando ci sarà una continuità certa. Ma stare alla finestra non vuol dire stare con le mani in mano, perché quando sei un imprenditore, per forza di cose devi imparare a navigare anche nelle acque più movimentate. Non è stato facile tutto il lockdown, io come tutti ho subito un grande danno economico, ma ho avuto più tempo per pensare e allora ho fatto quello che continuano a rimandare».

Asporto, un piano B sempre più solido
L’idea di un piano B insomma che, nel futuro di un imprenditore della ristorazione, non potrà forse più mancare. «Parlo dell’asporto - dice la ristoratrice - di un’attività che possa rappresentare un piano B, nel momento in cui fosse necessaria una chiusura dell’attività ristorativa al pubblico. Quindi non escludo, più avanti, di aprire una gastronomia e per questo sto già cercando un posticino in centro. Era il mio sogno da bambina, quello per cui ho deciso di frequentare l’Istituto alberghiero e fare la cuoca. Ho fatto crescere questa decisione dopo che ho affrontato un’altra svolta, che rimandavo, ovvero la messa sul mercato dei miei prodotti a marchio Irina che già da mesi spedisco in tutta Italia e per i quali ho creato un e-commerce indipendente dal sito della trattoria, si chiama www.irinacasatua.it. All’inizio i cambiamenti sono difficili, ma se vuoi sopravvivere, inevitabilmente devi cambiare. E io ho imparato a pianificare altro, ad aprire i miei orizzonti, a crearmi un’alternativa».

Un mercato quello della gastronomia-rosticceria che non ha avuto il contraccolpo demoralizzante dei ristoranti, perché era già volto all’asporto. «Se già mi piace molto preparare primi, sughi e carni da spedire - conclude Irina - giuro che solo il pensiero di un locale così mi diverte tantissimo. Questa Resistenza mi piace e lo dico ai miei colleghi, non c’è nulla di svilente, anzi».

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Alberto Lupini


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