Attacco alla cucina italiana casualmente proprio all’indomani della candidatura a patrimonio immateriale Unesco. L’assalto sferrato niente po’ po’ di meno che dalla Gran Bretagna, nota patria della buona tavola, che attraverso le pagine del Financial Times ha criticato la tradizione culinaria italiana. Proprio dal Paese che vanta una lunga lista di cibi Made in Italy goffamente contraffatti e come simbolo della cucina di casa fish&chips, pesce e patatine fritte, il quotidiano economico-finanziario britannico boccia alcuni piatti simbolo della gastronomia tricolore attraverso un'intervista della giornalista Marianna Giusti ad Alberto Grandi, storico dell'alimentazione e docente all'università di Parma. Nell’articolo vengono messi in discussione: tiramisù, panettone e pasta alla carbonara - messa ancora una volta in discussione - , mentre del Parmigiano viene anche contestata l’origine, attribuita addirittura oltreoceano. «Prima degli anni '60 le forme di parmigiano pesavano solo circa 10 kg (rispetto alle pesanti forme da 40 kg che conosciamo oggi) - si legge - ed erano racchiuse in una spessa crosta nera. Aveva una consistenza più grassa e morbida rispetto a quella attuale (... e) la sua esatta corrispondenza moderna è il parmigiano del Wisconsin».
L'ennesimo attacco, «È ora di finirla con queste fandonie»
«Sono solo dei diffamatori», Enrico Derflingher, presidente Euro-Toques, perentorio il commento dello chef in merito all’ennesimo attacco alla cucina del Bel Paese, «Sembra proprio cascare a fagiolo questa provocazione mentre il ministro all’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ci ha proposto a patrimonio Unesco. Sono certo che assieme riusciremo a diventarlo, come abbiamo già fatto per la pizza napoletana. Essere il Paese con il più grande numero di prodotti certificati Dop, Docg, Igt, e il più grande produttore di alimenti di altissimo livello, comporta sì di essere sempre copiati, ma c’è un limite a tutto» sbotta Derflingher. Periodicamente - ricorda lo chef - piovono critiche ma la cucina italiana è sempre protagonista di innumerevoli tentativi di contraffazione che ogni anno tolgono preziose risorse alle produzioni originali del settore agroalimentare italiano: «Questa storia del falso Made in Italy non la sopportiamo più – continua il presidente di Euro-Toques -. Bisogna mettere un argine a questi 120 miliardi che ci rubano tutti gli anni in tutto il mondo. Dobbiamo trovare il sistema per riuscire a combattere queste falsificazioni, insieme alla Coldiretti, al ministero dell’Agricoltura, perché è ora di finirla con queste fandonie», conclude Derflingher
Carbonara Made in Usa
«Fantasiose ricostruzioni», è invece la dura critica Coldiretti che commenta l’articolo: «In sostanza la carbonara l'avrebbero inventata gli americani e il panettone ed il tiramisù sono prodotti commerciali recenti ma soprattutto si arriva addirittura ad ipotizzare che il Parmigiano Reggiano originale sia quello che viene prodotto in Wisconsin in Usa, la patria dei falsi formaggi Made in Italy».
Il parmigiano reggiano il più imitato nel mondo
«Un attacco surreale» lo ha definito la Coldiretti. «Un articolo ispirato da una vecchia pubblicazione di un autore italiano che - continua Coldiretti - potrebbe far sorridere se non nascondesse preoccupanti risvolti di carattere economico ed occupazionale. La mancanza di chiarezza sulle ricette Made in Italy offre infatti terreno fertile alla proliferazione di falsi prodotti alimentari italiani all'estero dove le esportazioni potrebbero triplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale che è causa di danni economici, ma anche di immagine». L'agropirateria mondiale nei confronti dell'Italia, conferma la Confederazione dei coltivatori diretti, ha raggiunto un fatturato di 120 miliardi. I prodotti più taroccati sono i formaggi, a partire proprio dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano: tanto che la produzione dei falsi ha superato quella degli originali.
D’Eramo: «Chi ci accusa invidioso dei nostri successi»
Nelle ultime ore si moltiplicano i commenti all'articolo pubblicato sul giornale britannico, anche dal fronte politico tricolore, tra questi quello del sottosegretario al ministero dell’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste, Luigi D’Eramo: «Si cerca di screditare il nostro Paese e si mette in discussione l’italianità di ricette e prodotti simbolo, dalla carbonara alla pizza, dal panettone al Parmigiano Reggiano. Dal Financial Times un paradossale articolo che parla di ‘gastronazionalismo’ e prende le mosse da un’intervista ad Alberto Grandi, autore di una pubblicazione di cinque anni fa dal titolo Denominazione di origine inventata. Un articolo pubblicato mentre veniva proposta dal governo la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco».
«Ma a contare sono i risultati - continua D'Eramo - , con buona pace dei detrattori o di chi vorrebbe farci adottare un’etichetta a colori sbagliata e fuorviante come il Nutriscore o di chi sogna che sulle nostre tavole ci siano sempre più prodotti a base di insetti. La cucina italiana è stata più volte riconosciuta come la migliore al mondo – ricorda il sottosegretario -, i nostri chef sono un orgoglio del Paese, l’export agroalimentare nel 2022 ha superato la cifra record di oltre 60 miliardi di euro e le nostre ricette e prodotti sono così apprezzati all’estero da essere imitati e copiati e l’Italian sounding ha un giro d’affari stimato in circa 120 miliardi di euro. Chi ci accusa di ‘gastronazionalismo’ forse è soltanto invidioso dei nostri successi», conclude D’Eramo.
Il Parmigiano Reggiano noto già nel 1200
L'eco di notizie generato dalla pubblicazione dell'articolo contro la cucina italiana sul Financial Times ha scatenato la reazione e l'indignazione di molti rappresentanti del comparto agroalimentare tricolore. Tra le voci che si sono alzate in difesa delle produzioni uniche del Bel Paese, quella del Consorzio del Parmigiano Reggiano, che con poche frasi, scredita le illazioni avanzate dal giornale britannico.
«Il Parmigiano Reggiano DOP è uno dei simboli del Made in Italy, è un prodotto italiano che tutto il mondo ci invidia ed è nato in Italia. Risalgono al 1200 le prime testimonianze sulla commercializzazione del Parmigiano Reggiano. Un atto notarile redatto a Genova nel 1254 testimonia infatti che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione. Nel XIV secolo le abbazie dei monaci Benedettini e Cistercensi continuano a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della tecnica di fabbricazione. Si ha così l'espansione dei commerci in Romagna, Piemonte e Toscana, dai cui porti, soprattutto da Pisa, il formaggio prodotto a Parma e a Reggio raggiunge anche i centri marittimi del mare Mediterraneo. La testimonianza letteraria più nota è del 1344: Giovanni Boccaccio nel Decamerone descrive la contrada del Bengodi e cita una montagna di "parmigiano grattugiato" su cui venivano fatti rotolare "maccheroni e raviuoli", dando così un'indicazione dell'uso che se ne poteva fare in cucina. Sicuramente c’è stata un’evoluzione nel corso degli anni. Le forme nel Medioevo erano decisamente più piccole, mentre oggi pesano oltre 40 kg. Ovviamente nel corso degli anni le tecniche di produzione si sono evolute per essere conformi alle norme igieniche sanitarie che devono rispettare tutti i prodotti alimentari, ma la ricetta è la medesima da mille anni (latte, sale e caglio), così come la tecnica di produzione che ha subito pochi cambiamenti nei secoli, grazie alla scelta di conservare una lavorazione del tutto naturale, senza l’uso di additivi. Una produzione che nel 1996 è stata riconosciuta come Denominazione di Origine Protetta dall’Unione Europea, con un disciplinare rigorosissimo che stabilisce che la lavorazione deve avvenire in un’area estremamente limitata, quella delle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova a destra del Po e Bologna a sinistra del Reno. In quest’area devono avvenire la produzione di latte, la trasformazione in formaggio, la stagionatura fino all’età minima (12 mesi), il confezionamento e la grattugiatura del Parmigiano Reggiano DOP. Non è possibile fare il Parmigiano Reggiano con latte prodotto fuori da questa zona o proveniente dall’estero. È stata la stessa Corte di giustizia europea con sentenza del 26/2/2008 a giudicare che il termine "Parmesan" non è generico, ma è un'evocazione del Parmigiano Reggiano, e quindi costituisce violazione della normativa comunitaria in tema di indicazione geografica, nonché una pratica ingannevole nei confronti del consumatore».
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Alberto Lupini
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