Dop e Igp, l'Italia ne conta 280 Il territorio è l'origine della qualità
10 febbraio 2016 | 15:27
di Pasquale Di Lena
Il 22% dei prodotti e delle specialità riconosciuti dall’Unione europea, cioè più di un’eccellenza su cinque, parla italiano e fa riferimento ai territori del nostro Paese. Per non parlare delle immense potenzialità che il nostro Paese ancora può esprimere con i suoi quasi 5mila prodotti tipici tradizionali, cioè riconosciuti tali da almeno 25 anni che, con i loro legami stretti con i territori di origine, hanno solo bisogno di essere disciplinati per essere riconosciuti Dop o Igp.
Territori piccoli e grandi che firmano la qualità e trovano nelle eccellenze che esprimono i loro testimoni più autorevoli, speciali per profumi e sapori, memoria, arte, tradizione. Sì perché è il territorio, con i suoi fattori naturali (terreno, clima, ambiente) e quelli umani (tecniche di produzione, tradizione, artigianalità), l’origine della qualità. Un legame quello della qualità e specificità di un prodotto con il territorio che, non a caso e da sempre, trova una sua possibilità di riconoscimento in una denominazione geografica.
Prima con i vini e il riconoscimento in Italia, grazie al Dpr 930 del 1963, delle Doc, a partire dal 1966 con la Vernaccia di San Gimignano, il Barolo, il Barbaresco e il Brunello di Montalcino, e, poi, dal 1980, delle Docg, con il Brunello di Montalcino, il Barbaresco, il Barolo e il Vino Nobile di Montepulciano, per arrivare qualche anno dopo all’approvazione del Regolamento 2080 e 2081 de 1992, e al riconoscimento Dop e Igp riferito anche a altre eccellenze alimentari.
Un quadro che rischia di saltare se va avanti e vengono approvati i due trattati dell’Europa con gli Usa (Ttip) e con il Canada (Ceta) che, con l’obiettivo della piena liberalizzazione e privatizzazione e il potere alle multinazionali, le dieci che hanno in mano il cibo del mondo, vogliono azzerare la diversità e la qualità per dare ancora più spazio al processo di uniformità e omogeneizzazione in atto. Un processo disastroso che, oltre a rendere sempre più inutile il convivio e il rito della tavola con la banalizzazione del cibo, fa rischiare seriamente la via del non ritorno alle pesanti questioni del clima, nonostante le buone intenzioni del vertice di Parigi di pochi mesi fa.
L’idea del commissario Ue, l’irlandese Phil Hogan, di permettere di riportare in etichetta i nomi dei vitigni (la gran parte italiani, visto che abbiamo il primato nel mondo con oltre 500 vitigni sparsi in ogni luogo d’Italia) anche per i vini non italiani, ma del resto dell’Europa, è un segnale forte che porta a credere che si vuole solo anticipare il momento di approvazione di questi trattati.
Tanto per rimanere in tema, lo stesso commissario ha fatto sapere, dopo la diffusione in Belgio di un pomodoro lì coltivato e messo sul mercato con il nome San Marzano, che questo nome non è una prerogativa dei produttori italiani e campani soprattutto. Che senso ha questa dichiarazione che attacca il simbolo per eccellenza, insieme all’olio di oliva, della Dieta mediterranea, dopo la proposta, da parte dello stesso personaggio, di liberalizzare i nomi dei vitigni sulle etichette se non quello di smontare il castello delle indicazioni geografiche?
Le conseguenze, tutte negative di questo processo, porteranno a una perdita netta per l’Italia e i suoi importanti territori; per l’Europa che, premiando i territori ha voluto garantire i consumatori della qualità che essi sono in grado di esprimere; per i Paesi del Mediterraneo in particolare, che sono tanta parte del quadro delle eccellenze e la stessa immagine della Dieta mediterranea, che, non a caso, con il cibo, il modo di mangiare, sta insegnando al mondo soprattutto uno stile di vita.
Tornando alle 280 indicazioni geografiche che riguardano l’Italia, la sua agricoltura contadina e il suo artigianato in particolare, diciamo che dal luglio 2014 sono stati ben 16 (13 Igp e 3 Dop) i riconoscimenti ottenuti dal nostro Paese, con ben 4 assegnati all’Emilia e Romagna tutti Igp (Piadina Romagnola o Piada Romagnola, Salama da Sugo, Pampapato di Ferrara o Pampepato di Ferrara e i Cappellacci di Zucca Ferraresi); 4 alla Toscana, tre Igp (Cantuccini di Toscana, Mortadella di Prato e Finocchiona) e una Dop (Pecorino delle Balze Volterrane); 2 alla Puglia, una Dop (Patatina Novella di Galatina) e una Igp (Cipolla Bianca di Margherita); 2 alla Calabria, una Dop (Pecorino Crotonese) e una Igp (Torrone di Bagnara); 1 alla Lombardia (Asparago di Cantello Igp), 1 alla Liguria (Focaccia di Recco con Formaggio Igp), 1 alle Marche (Patata rossa di Colfiorito Igp) e 1 alla Sicilia (Pesca Bivona Igp).
Con questi nuovi riconoscimenti cambia il quadro dei riconoscimenti per regione con l’Emilia Romagna che, con 40 complessivi (18 Dop e 22 Igp) scalza il Veneto al primo posto, che rimane a 38 (18 Dop e 20 Igp). La Sicilia rafforza il suo terzo posto con 32 riconoscimenti (19 Dop e 13 Igp), mentre la Toscana con 30 (16 Dop e 14 Igp) prende il quarto posto della Lombardia 29 (17 Dop e 12 Igp) che così, scende al quinto gradino. Anche in coda il quadro cambia con la Liguria, non più sola, che va ad affiancare con 4 riconoscimenti (2 Dop e 2 Igp) la Valle d’Aosta, subito dopo il Friuli Venezia Giulia e il Molise, rispettivamente a 6 riconoscimenti (5 Dop e 1 Igp).
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Alberto Lupini