Il commercio soffocato dagli affitti. Torna caldo il tema dei canoni
Dopo gli accordi raggiunti all'indomani del primo lockdown, il mercato immobiliare commerciale è di nuovo alle prese con il tema affitti. Risolverlo significherebbe spingere l'Horeca verso la ripresa in un periodo di perdurante crisi economica e sanitaria in cui il canone diventa quasi proibitivo
27 febbraio 2021 | 12:30
di Nicola Grolla
Canoni d'affitto, il nuvo spettro dell'Horeca?
Il caso fiorentino
Secondo una rilevazione della Camera di commercio e di Confesercenti Firenze, per esempio, delle circa 50 procedure di rinegoziazione seguite (escluse quelle tra privati), il 70% ha avuto esito positivo. Tuttavia, se si considera solo il centro storico della città, questa percentuale scende al 30%. Cifre che segnalano una differenza sostanziale fra l’impatto della pandemia in centro e in periferia. I motivi sono diversi e vanno da una questione di opportunità (quella di non vedere scomparire una fonte di reddito oppure quella di poter contare su un portoflio di immobili molto ampio) a una di business (le vacancy non piacciono a nessuno) ma che in ogni caso potrebbero pesare sulla ripresa economica del settore Horeca (che rischia di finire nel mirino della criminalità).
In attesa del decreto Ristori V, impossibilitati a utilizzare il credito di imposta al 60% sul canone d’affitto (previsto nel 2021 solo per le agenzie turistiche), con costi fissi che continuano marciare, infatti, molti esercizi commerciali non reggerebbero un nuovo giro di restrizioni, con il rischio che in mancanza di aiuti concreti, possa esplodere il rapporto economico fra proprietari e inquilini.
«Una situazione che era prevedibile già a seguito del primo lockdown quando il numero delle rinegoziazioni è aumentato vertiginosamente ma ha rappresentato solamente un’aspirina per un settore che aveva bisogno di un antibiotico», afferma Armando Vitali dell’ufficio studi Fimaa. In media, secondo la Federazione italiana mediatori agenti d’affari, il tasso medio di riduzione del canone è stato del 25-30% mentre il 50% dei canoni d’affitto è stato abbonato prevedendo una spalmatura della somma negli anni successivi. «Accordi sottoscritti a maggio-aprile 2020 e che ora si stanno avvicinando alla scadenza», ricorda Vitali; con tutte le conseguenze del caso, aggiungiamo noi.
Armando Vitali
Le possibili soluzioni
Eppure le soluzioni per disinnescare il problema non mancano. «Pensiamo alla cedolare secca, ossia l’imposta agevolata fissa al 21% sul reddito da locazione che, dopo essere stata estesa agli affitti commerciali nel 2019, non è più stata rinnovata. Una sua re-introduzione permetterebbe un abbassamento del canone a fronte di un risparmio fiscale che garantirebbe quel margine di liquidità necessario per avvicinare le posizioni di locatari e conduttori», ricorda Vitali.
Un’alternativa potrebbe arrivare anche da un maggior coinvolgimento delle istituzioni locali. A proporla è Fiaip, la Federazione italiana agenti immobiliari professionali: «Attraverso una temporanea e parziale riduzione dell’Imu al proprietario che concede uno sconto all’inquilino potrebbe innescarsi un circolo virtuoso che coinvolge pubblico e privato e rafforza i legami fra le parti. Ci tengo infatti a sottolineare come mai come oggi i diversi attori del mercato immobiliare non siano su posizioni contrapposte ma condividano le stesse preoccupazioni e gli stessi problemi», afferma Gian Battista Baccarini, presidente nazionale di Fiaip.
La stessa Fiaip ha anche avanzato la proposta di «prevedere un credito di imposta al 60% del costo dell’affitto per i prossimi tre anni così da accompagnare la sperata ripresa del mercato. Oppure l’estensione del bonus abitazioni, che ora riguarda solo il residenziale e prevede uno sconto del 50% fino a un massimo di 1.200 euro annui, al settore commerciale. E ancora, la deducibilità dell’Imu a chi decide di investire nell’immobiliare così da attirare anche investitori stranieri, la destinazione dell’imposta di soggiorno al rilancio delle strutture turistiche, ecc», elenca Baccarini.
Gian Battista Baccarini
Nel 2020, +225mila attività su strada chiuse
Tutte proposte valide che poi devono tenere in considerazione la realtà dei fatti. Secondo Fiamm, nel 2020 hanno chiuso 225mila attività in più rispetto al 2020 e un buon 30% di quelle chiuse su strada hanno determinato una vacancy. Per evitare che questo numero aumenti, allo studio c’è un’evoluzione del classico contratto d’affitto commerciale che prevede il pagamento di un canone fisso da corrispondere ogni mese. «Il ricorso al canone flessibile, ossia la possibilità di corrispondere una cifra fissa e una legata alle performance dell’impresa, era una tendenza fiacca negli anni precedenti ma ora sta sempre più prendendo piede e potrebbe essere un trend consolidato alla fine della crisi. Questo sta succedendo di più nei centri storici dove i locali sono presidiati da brand importanti con risultati dimostrabili, tracciabili, trasparenti. Un’altra variante potrebbe essere quella di un canone progressivo che raggiunga una cifra concordata con un aumento costante in un tempo determinato», sottolinea Vitali.
Le prospettive del 2021
Dinamiche che dovranno essere testate sul e dal mercato che, nel frattempo, si è mostrato più resiliente di quanto si pensasse: «Dalle ultime rilevazioni è emerso che il calo delle compravendite nel 2020 rispetto al 2019, precedentemente attestato intorno a -120mila operazioni, sia più contenuto, intorno alle 40mila compravendite in meno; il -7%. Questo significa che il mercato immobiliare ha tenuto, è attrattivo e, unitamente all’aumento dei risparmi degli italiani, cresciuti di 160 miliardi rispetto al 2019, e ai tassi di interesse ai minimi storici, presenta i presupporti per un 2021 comunque positivo», conclude Baccarini.
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