Commercio, discount al top nel 2014 -2,6% per le botteghe alimentari

26 febbraio 2015 | 11:39
Nel 2014 è la spesa low cost nei discount alimentari a far segnare la migliore performance con un aumento del 2,4% mentre al contrario il crollo maggiore si registra per le piccole botteghe alimentari (-2,6%), tra tutte le forme distributive alimentari e non. È quanto emerge da una proiezione della Coldiretti sulla base dei dati Istat che evidenziano un ulteriore calo dell’1,2% nel commercio al dettaglio nel 2014.



Per quanto riguarda le categorie merceologiche si registrano ovunque risultati negativi ma in fondo alla classifica ci sono libri e giornali e dotazioni per l’informatica e la telefonia con un taglio del (-2,8%). Una inversione di tendenza è previsto nel 2015 con il ritorno della fiducia tra i consumatori, ai massimi dal 2002, che spinge anche la ripresa nel carrello con la previsione secondo la Coldiretti di un aumento degli acquisti alimentari per la prima volta da inizio della crisi.

Nel 2014 quasi la metà delle famiglie (47%) ha dichiarato che le difficoltà economiche hanno avuto un effetto negativo sui consumi con la ricerca di prodotti e varietà low cost, rinuncia alle primizie e la ricerca di punti vendita più economici, con tre milioni di famiglie che vanno nei discount, secondo una analisi Coldiretti/Ixè.

In particolare nel carrello della spesa il 23% degli italiani ha ridotto i quantitativi di ortofrutta, il 21% ha acquistato prodotti e varietà che costano meno, il 16% ha rinunciato a prodotti che costano troppo (dalle ciliegie ai frutti di bosco), il 13% è andato alla ricerca di punti vendita con prezzi più bassi. E una quota rilevante di cittadini ha comprato meno perché ben otto su dieci ha addirittura scelto di mangiare il cibo scaduto, con una percentuale, secondo il rapporto 2014 di Waste watcher knowledge for Expo.

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Il mercato interno è rimasto praticamente senza ossigeno e lo dimostra l'ennesimo dato negativo che ha contraddistinto le vendite al dettaglio nel 2014. Quello dell'export non può essere il solo obiettivo per collocare il prodotto agroalimentare made in Italy sui mercati, nonostante il nuovo record di fatturato dello scorso anno con oltre 34 miliardi. Occorre una politica economica che faccia sua l'esigenza non più eludibile e rinviabile del rilancio dei consumi, a partire da quelli essenziali, quelli alimentari. Le famiglie italiane guardano sempre meno, e in diffusissimi casi per niente, alla qualità, che è emblema distintivo del settore agricolo e alimentare italiano, e spendono meno anche in quantità.

A pagare è tutta la filiera agroalimentare fino alla distribuzione organizzata, mentre i soli discount - e qui abbiamo riscontro dell'approccio alla spesa degli italiani - continuano a far registrare segni positivi. Il ciclo economico verso cui proiettarsi è inevitabilmente quello di una forte contrazione della pressione fiscale affiancata da una revisione della spesa concretamente funzionale per far si che le famiglie tornino ad avere un potere d'acquisto reale adeguato ad un necessario rilancio dei consumi e, quindi, ad una viva e vitale produttività del Paese senza la quale non può crescere l'occupazione.

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Gli italiani in bolletta nel 2014 hanno continuato a tagliare ogni tipo di spesa, anche quella per il cibo, come dimostrano i dati sulle vendite al dettaglio dei generi alimentari che hanno chiuso l’anno con una flessione tendenziale dell’1,1%. La realtà è che la crisi si è consolidata al punto che, nel 2014, non hanno ceduto solo gli acquisti nei piccoli negozi di quartiere (-2,6%), finora più esposti agli effetti della recessione. Anche la spesa nella Grande distribuzione organizzata si è ridotta dello 0,5% nell’ultimo anno coinvolgendo sia gli ipermercati (-1,9%) che i supermercati (-1,2%).

E questo nonostante l’aumento esponenziale di promozioni e offerte speciali, con un prodotto su tre sugli scaffali “a sconto”. Solo i discount hanno mantenuto per tutto l’anno un trend costantemente positivo e hanno terminato il 2014 con un incremento del 2,4% a livello tendenziale. D’altra parte sono 6,5 milioni le famiglie che ormai scelgono di fare la spesa quasi esclusivamente in questi “regni” del low-cost, che sono diventati a tutti gli effetti l’unica “via” praticabile per resistere alla pesante situazione economica del Paese.

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I dati di dicembre sono chiari: non c’è stato alcun miracolo di Natale in grado di invertire il trend negativo dei consumi, e per il commercio anche il 2014 si chiude con il segno meno. Per il settore è il quarto anno consecutivo di una crisi profonda, che ha inciso pesantemente sul tessuto delle imprese. La crisi continua ad essere più grave per le piccole superfici, che sono quelle che soffrono di più: rispetto al 2011, nel commercio al dettaglio si contano 28mila Pmi (Piccole medie imprese) in meno. A pesare la mancanza di interventi di sostegno per le più piccole e anche le liberalizzazioni, che hanno favorito il trasferimento di consumi verso le grandi superfici. Ma a condizionare i fatturati c’è anche l’aumento delle promozioni, ormai praticate dall’83% dei commercianti.

Nonostante il dato dell’Istat sia oggettivamente negativo, si scorge qualche timido segnale di miglioramento, a partire dalla piccola variazione positiva registrata a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Frena anche il calo tendenziale: il dato medio del 2014, pur essendo negativo (-1,2), segna comunque  un passo avanti rispetto alla flessione registrata nel 2013 (-2,1). Fa bene sperare anche l’aumento di fiducia dei consumatori  e delle imprese del commercio al dettaglio. I segnali positivi, però, da soli non bastano. Dobbiamo essere capaci di cogliere le opportunità offerte dagli spiragli di ripresa anche sul fronte del mercato interno: bisogna sostenere la domanda, partendo dalla riduzione della pressione fiscale, centrale e locale, che grava su famiglie e imprese.

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Alberto Lupini


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