Può un nome contribuire (o meno) alla vendita di un prodotto? E fare concorrenza sleale? È una questione dibattuta da tempo in diversi paesi del mondo quella dell’utilizzo di nomi “tradizionali” per le alternative vegane. Il caso più eclatante è quello delle bevande vegetali. Nell’Unione Europea e in Italia l’uso del nome “latte” per questi prodotti è già vietato da tempo. Ma, ad esempio, in America la Food and Drug Administration ha stabilito che usare la parola “latte” anche per bevande a base di soia, avena e mandorle non crea confusione tra i consumatori… Intanto in Italia c’è una proposta di legge per mettere al bando i termini relativi alla carne e ai prodotti di origine animale per quelli vegetali.
La proposta di legge, presentata dall’onorevole Mirco Carloni, presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, dal titolo “Disposizioni in materia di denominazione dei prodotti alimentari contenenti proteine vegetali” ha come obiettivo quello di “ripristinare le corrette condizioni di mercato tra tutti gli operatori del settore alimentare: prodotti completamente diversi dovrebbero essere indicati con nomi del tutto differenti”. No, dunque, a “cotolette” e “prosciutto” per i piatti veg.
Dall'altra parte gli animalisti non ci stanno ed "Essere Animali", l’organizzazione per i diritti animali, non ci sta e parla di “censura” per evitare lo shift dei consumi da tradizionali a vegani. Quello che è certo e che, in ogni caso, i prodotti plant-based stanno crescendo sempre di più sul mercato con la crescita di consumatori sempre più attenti alla sostenibilità ambientale. Anzi, come fa notare Essere Animali secondo un sondaggio pubblicato nel 2020 da Beuc (The European Consumer Organization) l’88% degli italiani sarebbe favorevole all’utilizzo di questi termini.
Obiettivo proteggere produzione zootecnica e i consumatori
In ogni caso, l'introduzione del disegno di legge in Italia segue i tentativi delle autorità di regolamentazione e dell'industria dell'agricoltura animale in altre parti del mondo - tra cui Francia, Belgio e Repubblica Ceca - di limitare l'etichettatura della carne e dei prodotti lattiero-caseari di origine vegetale. Il motivo? Proteggere la produzione zootecnica del Paese e i consumatori. La proposta di legge sostiene, infatti, che quando per i prodotti vegetali vengono utilizzati nomi tipicamente associati a quelli a base di carne i consumatori potrebbero essere confusi rispetto al loro valore nutrizionale.
«Il mercato agroalimentare ha visto il proliferare di alimenti a base vegetale posti in commercio con l'uso distorto di nomi riferiti alla carne per sfruttarne la notorietà e le analogie che suscita nella mente dei consumatori – sottolinea Carloni a Italia a Tavola - La proposta di legge vuole semplicemente vietare un uso distorto di nomi che sfruttano identità culturali per cambiare la tipologia di consumi danneggiando il mercato».
Le opinioni degli animalisti
Per Essere Animali, che ha lanciato anche una petizione per fermare questa proposta di legge, si tratterebbe invece di un argomento fuorviante, in parte perché vi sono differenze nutrizionali anche tra prodotti con lo stesso nome realizzati con diversi tipi di carne, in parte perché le alternative vegetali sono nutrienti e proteiche. Ma non solo per Essere Animali, le legge sarebbe nettamente in contrasto con quanto indicato da tutte le istituzioni internazionali - Unione europea e Nazioni Unite in primis - che spingono sulla necessità di adottare una dieta sempre più vegetale e sostenibile, sulla base di numerosi studi scientifici e per via della necessità di contrastare la crisi climatica.
Anche in Italia consumatori sempre più attenti
«I consumatori italiani stanno introducendo nella loro dieta un maggior numero di alimenti di origine vegetale, molti tra questi per motivi ambientali - dichiara Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali - Questa proposta è un tentativo di rallentare la crescita di questo mercato e di far deragliare i piani dell'Ue per un sistema alimentare sostenibile».
Come specificato dalla Commissione Europea nel recente report sulla sicurezza alimentare il cibo contribuisce, infatti, per circa il 45% dell’impatto ambientale dei consumatori Ue, e includendo le emissioni relative alla produzione, trasporto e lavorazione dei mangimi, il settore zootecnico è responsabile per l’81-86% delle emissioni totali di gas serra dell’agricoltura. Passare a diete basate maggiormente sulle proteine vegetali è quindi necessario per ridurre l’impatto climatico dell’intero sistema alimentare.
«Le alternative a base vegetale sono fondamentali per quella sostenibilità così necessaria allo sviluppo e alla tutela del nostro Pianeta, Italia compresa – continua Pomo - Anche il nostro paese è sempre più colpito dalla crisi climatica e l’industria alimentare ha un peso ambientale importante. Per questo motivo non possiamo rimanere a guardare di fronte a un tentativo di indebolire un settore in crescita e importante per tutti noi. Coinvolgeremo e mobiliteremo i cittadini e tutti i consumatori per evitare che ciò accada».
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Alberto Lupini
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