Con l'approvazione della Camera all'emendamento al Ddl Concorrenza (avanzato dal senatore Silvio Giovine di Fratelli d'Italia), da gennaio 2025 scatta il tetto massimo del 5% alle commissioni applicate dalle società emettitrici di buoni pasto. La misura, accolta con favore da esercenti e grande distribuzione, punta così a bilanciare un sistema considerato squilibrato, tutelando sia i lavoratori che gli operatori economici coinvolti. L'emendamento prevede anche una rinegoziazione dei contratti già in essere dal 1° settembre 2025, senza costi per le società emettitrici. Per i buoni pasto attualmente in circolazione, invece, tutto resterà invariato fino al 31 agosto 2025.
Buoni pasto, un sistema con quattro protagonisti
Il mercato dei buoni pasto, ricordiamo, coinvolge quattro soggetti principali: i datori di lavoro, le società emettitrici, gli esercizi commerciali e i lavoratori. Le aziende utilizzano i buoni pasto come forma di welfare aziendale, beneficiando di una deduzione fiscale del 100%, mentre i dipendenti possono usarli per acquistare alimentari, pagare colazioni al bar o cene al ristorante. Le società emettitrici gestiscono l'intero sistema, trattenendo però commissioni significative, che possono arrivare fino al 20%, sui pagamenti effettuati dagli esercenti. E questo ha creato un malcontento diffuso, specialmente tra le catene della grande distribuzione, portando alla necessità di un intervento legislativo.
Il cuore della questione, infatti, risiede nelle elevate commissioni applicate dalle società emettitrici agli esercenti, una pratica che spesso penalizza soprattutto i piccoli operatori. Già nel 2022 era stato introdotto un tetto del 5% per le gare pubbliche, ma fino a oggi il privato non era regolamentato. Con l'approvazione dell'emendamento, anche i buoni pasto emessi dal 2024 per il settore privato saranno soggetti a questo limite, con un periodo di transizione che garantirà l'adeguamento progressivo degli accordi già esistenti.
Buoni pasto, una correzione per garantire l'equilibrio
Di fatto, il provvedimento approvato prevede che i buoni pasto già in circolazione rimangano validi fino al 31 agosto 2025, senza modifiche alle condizioni applicate agli esercenti. Dal 1° settembre 2025, però, le società emettitrici potranno recedere dai contratti con i committenti, in deroga all'articolo 1671 del Codice civile, senza oneri o indennizzi.
Una transizione graduale che è stata accolta positivamente da diverse associazioni di categoria. L'Anseb (Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto), ricordiamo, aveva inizialmente criticato la proposta definendola «del tutto insostenibile nei tempi e nei modi di attuazione». Ma grazie alla riformulazione dell'emendamento, il presidente Matteo Orlandini ha riconosciuto che ora sarà possibile gestire i circa 300mila accordi esistenti senza compromettere la fruibilità dei buoni pasto.
Buoni pasto, commissioni al 5%: le reazioni
Come dicevamo, l'intervento legislativo è stato accolto con favore da tutti, anche da Fipe, Federdistribuzione e Ancc-Coop. Per la Federazione italiana pubblici esercizi, guidata dal presidente Lino Enrico Stoppani, la misura, riporta il Corriere della Sera, rappresenta «un grande traguardo» che «premia il buon senso perché riduce sensibilmente i costi per le migliaia di piccole imprese che accettano i buoni pasto, senza penalizzare i lavoratori per i quali il valore del buono resta immutato».
Secondo Ancc-Coop, si tratta di «una riforma equilibrata, che consente di dare una nuova prospettiva a questo strumento di welfare a favore dei lavoratori». Il presidente Ernesto Dalle Rive ha sottolineato come la norma «allinea le commissioni pagate dagli esercenti in ambito privato a quelle del settore pubblico» e «ci avvicina alla media europea». Ma ha altresì espresso rammarico per «l'eccessiva dilazione dei tempi di completa entrata a regime delle nuove regole fissate, per le imprese già convenzionate, a settembre 2025». Anche Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione, ha definito il provvedimento «un passaggio che sancisce finalmente un principio di equilibrio nel mercato dei buoni pasto». Secondo Buttarelli, la normativa «consolida un mercato in crescita» e rappresenta un vantaggio per «milioni di lavoratori».
Il mercato dei buoni pasto tra digitale e inflazione
Per capire la realtà dei buoni pasto, va ricordato che questo strumento è regolato dall'articolo 51, comma 2, lettera c) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e non concorre a formare il reddito imponibile del dipendente, entro specifici limiti. Per i buoni pasto digitali, la soglia di esenzione è fissata a 8 euro giornalieri, mentre per quelli cartacei il limite è di 4 euro. Qualsiasi importo che ecceda tali soglie viene considerato ai fini del calcolo della base imponibile del reddito da lavoro. Il superamento del limite di importo giornaliero fa sì che i buoni pasto non rientrino tra i fringe benefit. Non costituiscono più una retribuzione aggiuntiva erogata in una forma diversa dal denaro. Ma ai fini del trattamento fiscale viene considerata come parte della retribuzione. Questo è il motivo per il quale l'aumento dei due euro a buono pasto, attraverso alla defiscalizzazione, diventa molto importante.
Ma perché parliamo di fringe benefit in relazione ai buoni pasto? I fringe benefit sono vantaggi accessori concessi dal datore di lavoro ai dipendenti, che integrano la retribuzione principale. Possono consistere in beni, servizi o somme di denaro, come il rimborso delle utenze domestiche. Questi benefici non concorrono a formare il reddito imponibile del lavoratore e non sono soggetti a tassazione, consentendo alle aziende di evitare anche il pagamento di contributi previdenziali su di essi.
La Legge di Bilancio 2024 aveva innalzato le soglie di esenzione per i fringe benefit: per i dipendenti con figli a carico, l'importo esentasse è passato a 2mila euro, mentre per tutti gli altri lavoratori è fissato a 1mila euro. La norma definisce “figli a carico” quelli con reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro, che può arrivare a 4mila euro per i figli fino a 24 anni. Queste modifiche rendono i fringe benefit uno strumento ancora più vantaggioso per le aziende, contribuendo al welfare aziendale e aumentando il potere d'acquisto dei lavoratori, in particolare delle famiglie.
Ma come devono essere gestiti i buoni pasto dei dipendenti in smart working? Questo ticket viene generalmente erogato al lavoratore in relazione alla prestazione di una giornata lavorativa, anche in modalità smart working, perché secondo la Dre (Direzione regionale delle entrate) i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito, perché secondo le agevolazioni devono essere applicate indipendentemente da dove il singolo professionista eserciti la propria attività. Purché sia un dipendente. Il datore di lavoro non deve applicare la ritenuta d'acconto ai fini Irpef per i lavoratori in smart working ai quali vengono erogati i buoni pasto. La modalità lavorativa, in ufficio o a casa, non influisce direttamente sulla normativa fiscale.
Una recente sentenza della Cassazione, inoltre, ha stabilito che i buoni pasto possono essere erogati anche in ferie perché considerati parte integrante della retribuzione. Questa decisione apre nuovi scenari sia per quanto riguarda le rivendicazione dei lavoratori che per l'impianto normativo stesso, almeno dal punto di vista fiscale. Il quadro appena descritto, infatti, potrebbe essere stravolto dal fatto di considerare i buoni pasto una voce della retribuzione e non è escluso che questo principio, se universalmente accettato, non possa portare ad una revisione in termini di esenzioni e benefici.
Evoluzione dei buoni pasto in Italia: un'analisi dal 2004 al 2023
Negli ultimi due decenni, il mercato dei buoni pasto in Italia ha subito come detto significative trasformazioni, riflettendo cambiamenti economici, tecnologici e sociali. Dall'utilizzo dei buoni cartacei all'inizio degli anni 2000 all'adozione massiccia dei buoni elettronici nel 2023, questo benefit aziendale è cresciuto notevolmente in diffusione e importanza. Nella tabella abbiamo cercato di riassumere alcuni dei cambiamenti più importanti per dare un'idea più precisa della loro realtà, anche sociale.
Nel 2004, il valore massimo detassato del buono pasto cartaceo era di 5,29 €. Questo importo è rimasto stabile per molti anni, attestandosi a 5,29 € anche nel 2010. Nel 2015, per incentivare la digitalizzazione, è stato introdotto il buono pasto elettronico con un valore massimo detassato di 7,00 €, mentre quello cartaceo è rimasto invariato. Nel 2020, ulteriori modifiche hanno portato il valore del buono elettronico a 8,00 €, riducendo quello cartaceo a 4,00 €. Questa strategia ha spinto aziende e dipendenti a preferire i buoni digitali, favorendo la modernizzazione del settore.
Il costo medio di un pranzo veloce è aumentato nel tempo. Da circa 9,00 € nel 2004, è salito a circa 11,00 € nel 2010 e a circa 11,50 € nel 2020. Nel 2023, il prezzo medio ha raggiunto circa 12,00 €. Questo incremento riflette l'inflazione e l'aumento dei costi nel settore della ristorazione, rendendo i buoni pasto un beneficio sempre più apprezzato dai lavoratori per sostenere le spese quotidiane. Nel 2010, si stimavano circa 400 milioni di buoni pasto emessi, con oltre 80mila aziende che li distribuivano. Nel 2020, il numero di buoni emessi è salito a circa 500 milioni, coinvolgendo oltre 100mila aziende. Nel 2023, si è raggiunta la cifra di circa 600 milioni di buoni emessi e oltre 110mila aziende partecipanti. Questa crescita indica una maggiore diffusione dei buoni pasto come strumento di welfare aziendale e di supporto al potere d'acquisto dei dipendenti.
Nel 2010, il 70% dei buoni pasto era utilizzato per consumare pasti presso ristoranti e bar, mentre il 30% era destinato all'acquisto di generi alimentari nei negozi. Nel 2023, la proporzione è cambiata: il 55% dei buoni viene utilizzato nella ristorazione e il 45% nei negozi alimentari. Questo cambiamento riflette nuove abitudini di consumo, influenzate anche dalla pandemia di Covid-19, che ha portato più persone a cucinare a casa e a fare acquisti nei supermercati. La percentuale di buoni pasto digitali è cresciuta esponenzialmente. Dal 5% nel 2004, è passata al 20% nel 2010, al 40% nel 2015 e ha raggiunto il 70% nel 2023. Gli incentivi fiscali e la maggiore praticità nell'utilizzo dei buoni elettronici hanno favorito questa transizione, migliorando l'efficienza, la tracciabilità e riducendo i costi amministrativi per le aziende.
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Alberto Lupini
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