Tutte le autorithy contro il Recovery. L'ultima bocciatura per il Governo Conte
Dalla Corte dei Conti a Bankitalia, passando per Ance, Assoporti, Federparchi le audizioni al Senato sul Piano nazionale di resilienza e ripartenza hanno affossato il documento proposto dall'esecutivo uscente
Ufficio di bilancio: troppa frammentazione
A sferrare il primo colpo è stato l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), organismo indipendente italiano che svolge una funzione di vigilanza sulla finanza pubblica: «Ragioni di efficacia richiederebbero verosimilmente di rinunciare a qualche linea di intervento, e concentrare le risorse su un numero minore di priorità, per avere un impatto maggiormente visibile su quelle prescelte». Il problema sta nella disomogeneità con cui sono stati identificati i criteri per l’allocazione delle risorse sui singoli interventi che devono tener conto «della diversissima natura e varietà dei settori toccati».
Un rilievo sollevato anche da Chiara Goretti, componente del Consiglio dell’Ufficio parlamentare di bilancio: «La frammentazione delle iniziative che emerge dal Piano nazionale di ripresa e resilienza rischia di diluire la potenzialità del piano di incidere in modo strutturale sulla realtà del Paese». Inoltre, all’interno del Pnrr sembrano essere finiti sia progetti già inclusi in precedenti documenti programmatici approvati dal Parlamento sia nuovi cantieri ancora da definire. Insomma, «una lista su cui i soggetti competenti stanno lavorando, che però non è stata resa nota al Parlamento, anche se sembra essere già oggetto di un confronto informale con le istituzioni europee», ha concluso Goretti.
Corte dei Conti: rischio debito fuori controllo
Dal round di audizioni arrivano anche i rilievi della Corte dei Conti che pongono l’accento sulla pratica dei controls and audit attraverso cui la Commissione europea impone l’obbligo agli Stati membri di «dotarsi di sistemi di controllo adeguati a prevenire, individuare e contrastare corruzione, frodi, conflitti di interesse, ecc. nell’uso dei fondi messi a disposizione dall’Unione», ha fatto sapere il presidente Guido Carlino.
Il motivo? Evitare di eccedere con la crescita del debito pubblico. «Rientrare dal 160% del Pil, od oltre, come oggi è giustificato prevedere, sarà compito arduo. Sarebbe sbagliato ritenere che la mancanza di un vincolo esterno all'espansione del debito pubblico debba spingerci ad accrescerlo oltre i limiti prefigurati dai documenti programmatici. La realizzazione di tutte le iniziative richiederà adeguata ed efficiente governance del Piano», ha concluso Carlino.
Bankitalia: mancano molti dettagli
Al coro delle critiche si unisce anche Bankitalia per cui il documento in discussione «non specifica in dettaglio il profilo annuale dell’uso dei fondi europei, né la loro ripartizione dettagliata tra le diverse poste di bilancio», ha affermato Fabrizio Balassone, capo del servizio struttura economica della Banca d’Italia. Le indicazioni riportate, infatti, parlano di un 70% di fondi da utilizzare entro il 2023 mentre la parte rimanente verrà spesa entro il 2025. Inoltre, quasi ¾ dei fondi a disposizione andrebbero a finanziare interventi aggiuntivi in conto capitale a carico delle amministrazioni pubbliche.
In generale, nonostante l’approccio positivo e le proposte, allo stato attuale il Pnrr «non presenta ancora una puntuale quantificazione del contributo di ciascun progetto alla spesa destinata alla transizione verde e a quella digitale», ha aggiunto Bankitalia.
Cottarelli: facilitare investimenti per la produttività
Sulla stessa lunghezza d'onda Carlo Cottarelli, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani presso l'Università Cattolica di Milano. In audizione, l'ex commissario alla spending review, mette l'abbattimento della burocrazia al primo posto tra gli interventi necessari a facilitare gli investimenti e aumentare la produttività: «Il Pnrr non comprende nulla o quasi nulla, se non in vaghissimi termini, su questo tema essenziale». Secondo Cottarelli, una «rotazione effettiva dei dirigenti pubblici dopo alcuni anni» potrebbe essere utile a evitare «posizioni di rendita» che impediscono il rinnovamento. «Ogni anno le Pmi spendono tra i 30 e i 35 miliardi per compilare moduli. Risolvere il problema richiede non solo la digitalizzazione ma uno sfoltimento dell'apparato normativo e una semplificazione dei processi decisionali», ha affermato Cottarelli.
Confapi: welfare, giustizia civile e PA digitale le priorità
«Welfare e sistema pensionistico sostenibili ed efficienti, una Pubblica amministrazione rinnovata grazie a digitalizzazione, meritocrazia e svecchiamento del suo personale, una riforma della giustizia civile finalmente in grado di creare un clima favorevole agli investimenti». Questo quanto chiesto da Confapi, l’associazione che riunisce la piccola e media industria privata, durante le audizioni. Obiettivo: evitare finanziamenti a pioggia per concentrarsi sui dossier che davvero potrebbero far cambiare marcia all’Italia.
Strumenti per cui c’è bisogno di competenze all’altezza. Per questo Confapi, attraverso il presidente Maurizio Casasco, ha chiesto che contestualmente alla redazione del Pnrr si preveda «un grande piano di formazione orientato a soddisfare la domanda crescente di nuove competenze innovative, in linea con gli scenari economici e produttivi che stanno emergendo. Bisognerà trovarsi pronti a riqualificare i lavoratori la cui esperienza tende ad essere obsoleta e ad affrontare la crisi occupazionale che si determinerà con la fine del blocco dei licenziamenti».
Ance: rivedere anche il Codice Appalti
Lato infrastrutture, a lamentare le manchevolezze del Pnrr è l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili): «Con le regole e il modello decisionale attualmente in vigore, meno del 50% del Piano potrà essere realizzato e al settore delle costruzioni vengono destinate circa la metà delle risorse complessive previste dal Piano. Quella del Recovery è una partita decisiva per il nostro futuro e soprattutto per quello delle nuove generazioni; e la si deve giocare per vincere. Occorrono quindi decisioni immediate, lungimiranti e coraggiose», ha affermato il presidente dei costruttori Gabriele Buia.
D’altronde, secondo i calcoli di Ance, nel nostro Paese servono circa 5 anni per realizzare, collaudare e rendicontare opere inferiori a un milione di euro e più di 15 anni per le grandi opere oltre i 100 milioni di euro. Per questo la convinzione di Buia è che servano «scelte in grado di eliminare le incrostazioni amministrative e le vecchie prassi che ci impediscono da anni di crescere e va anteposto il benessere collettivo agli interessi di parte. I nostri mali li conosciamo bene: è giunta l’ora di rimboccarci le maniche e di trovare insieme quelle soluzioni che possono veramente invertire la rotta e tornare a creare un clima di fiducia nel Paese». Chiusa sul Codice Appalti: «Come dimostra il frequente ricorso alle figure commissariali e le continue deroghe, ha fallito il suo compito e sarebbe ora di voltare pagina».
Assoporti chiede maggiore intermodalità
Da parte sua, Assoporti chiede maggiori risorse da destinare nel 2021 al ristoro delle attività portuali che hanno visto il loro fatturato ridursi drasticamente per effetto della pandemia. «Molte imprese hanno e stanno ancora affrontando difficoltà a seguito della riduzione dei traffici in misura tale che si potrebbero avere effetti negati anche in termini occupazionali. Pensiamo in particolare alla riduzione dei canoni di concessione, norma inserita per l'anno 2020 che dovrebbe essere estesa anche all'anno 2021, magari anche aumentandone la portata», ha affermato il presidente di Assoporti, Daniele Rossi, in audizione.
Aspetti determinati per la portualità nazionale sono anche quelli legati all’intermodalità nel trasporto merci (che potrebbe poi avere un ritorno anche per il comparto turistico): «Non vi è dubbio - ha detto Rossi - che i maggiori porti interessati dal Pnrr, Genova e Trieste, rappresentano snodi strategici per l'Italia e per l'Europa nei traffici da e per il Medio-Estremo Oriente, ma riteniamo necessario indicare nel Pnrr gli interventi previsti anche negli altri porti di competenza delle autorità di sistema portuale, fermo restando il generale apprezzamento per quanto già inserito nel Pnrr. In particolare, per i porti del Meridione tale valorizzazione passa necessariamente attraverso la previsione di specifici interventi per realizzare efficaci collegamenti con le linee ferroviarie veloci».
Fedrerparchi: spazio alla biodiversità
A lamentarsi delle mancanze del Pnrr è Federparchi per cui non vi è alcun riferimento dettagliato alla tutela della biodiversità né tantomeno al ruolo che le aree protette possono svolgere. Un piano di ripresa per il Paese, alla luce della politica europea sul Green Deal e della Strategia Europea per la Biodiversità 2030, non può prescindere dall’adottare misure dirette e specifiche di protezione e restauro della biodiversità e degli ecosistemi e porre attenzione particolare alla protezione e all’uso sostenibile delle risorse terrestri e marine. Occorrono misure, alcune a costo zero, per mettere il sistema italiano dei parchi in condizione di offrire un contributo da protagonisti per la ripresa in chiave sostenibile del Paese.
«In questo contesto è veramente singolare che lo stato italiano limiti la possibilità di spesa degli enti parco, non sulle risorse che dovranno essere stanziate, ma su quelle che giacciono nelle casse dei parchi nazionali. - ha affermato il presidente Giampiero Sammuri - Stiamo parlando di oltre 120 milioni di euro, una goccia rispetto al PNRR, ma sono risorse che già ci sono e vanno semplicemente sbloccate»
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Alberto Lupini
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