Gli affitti brevi uccidono i piccoli alberghi: in 10 anni chiusi 2.790 hotel a 1 e 2 stelle

Secondo l’analisi Assohotel-CST: affitti brevi vanno oltre quota 500mila e tolgono spazio agli alberghi a gestione familiare, che hanno costi superiori – a partire dal fisco - e non riescono a competere

22 luglio 2023 | 15:33

La questione della regolamentazione degli affitti brevi in Italia diventa sempre più impellente. E mentre la bozza di legge sugli affitti brevi della ministra del Turismo Daniela Santanchè è ancora in alto mare, comuni e regioni vanno avanti. Dopo Firenze, ora anche la Valle d’Aosta ha varato la sua legge a riguardo e introduce la tassa di soggiorno per tutti. Intanto l’analisi di Assohotel-CST, l’associazione che riunisce le imprese della ricettività turistica alberghiera Confesercenti, mostra in numeri la reale situazione. Sulle principali piattaforme di affitti turistici brevi si contano ormai circa 500mila proposte di appartamenti e stanze private/condivise. Un boom che sta avendo un grave impatto sul mondo dell’accoglienza alberghiera in Italia. In particolare, su alberghi e pensioni a gestione familiare, che un tempo rappresentavano un “punto di forza” del sistema ricettivo nazionale ma che ora faticano a restare sul mercato: in dieci anni, sono scomparsi 2.790 hotel a uno e due stelle, sempre più schiacciati dalle aggressive politiche tariffarie degli hotel di categoria superiore e al tempo stesso sopraffatti dall’aumento delle proposte di appartamenti in affitto.

Gli affitti brevi uccidono i piccoli hotel

I piccoli alberghi, infatti, non riescono più a competere non solo con le strutture medio/grandi, che hanno una maggiore capacità finanziaria ed economica, ma anche con il fenomeno degli appartamenti, che hanno costi di gestione del tutto marginali rispetto a quelli delle imprese ricettive e sono privi di obblighi sul livello minimo dei servizi. Le difficoltà gestionali dei piccoli hotel derivano anche dalla necessità di assicurare lo standard delle dotazioni e dei servizi quotidiani previsti dalle rispettive normative regionali, oltre dalla necessità di presidiare le principali piattaforme online che, come è noto, chiedono commissioni elevate. Insomma, un sistema fin troppo competitivo e difficile da governare per un numero sempre maggiore di piccole imprese.

Nel 2011 in Italia c’erano 10.266 hotel a 1 e 2 stelle che offrivano il 13,3% dei posti letto del settore alberghiero. Oggi ne restano 7.476 e garantiscono il 9,6% dei posti letto del comparto. Il loro ridimensionamento non è legato alle difficoltà del periodo pandemico, visto che dal 2011 il calo medio annuo è stato del 3%. Dieci anni fa gli hotel a 1 stella in Italia erano 3.612 e nel 2022 sono scesi a 2.385. Stesso trend per i 2 stelle che nel 2011 contavano 6.654 imprese e nel 2022 si sono ridotti a 5.091. In termini percentuali il calo dei primi è stato del 34% e la diminuzione dei secondi si ferma al -23,5%. Una situazione particolare, dalla quale non sfuggono nemmeno i 3 stelle che in 10 anni hanno registrato una diminuzione del -2,5%.

Nel 2022 il maggior numero di hotel a 1 e 2 stelle era concentrato nelle regioni del Nord Est (43,7%), mentre nelle regioni del Sud e Isole erano distribuite solo il 13,5% del totale. Proprio in queste aree negli ultimi 10 anni si è registrata la diminuzione percentuale più elevata, a differenza delle regioni del Centro dove la diminuzione si è fermata al -20%.

Affitti brevi: si favoriscono le non imprese a discapito degli alberghi

«La deregulation di fatto in cui si è sviluppato il mercato degli affitti brevi in Italia sta portando a gravi squilibri nel comparto ricettivo - commenta Vittorio Messina, presidente di Assohotel Confesercenti - Stiamo favorendo le non-imprese a tutto svantaggio delle attività imprenditoriali, che sono sottoposte ad un prelievo fiscale più oneroso e sostengono costi maggiori per essere in regola con la normativa, ad esempio per le questioni di sicurezza. Condividiamo dunque pienamente l’obiettivo principale della proposta di legge sulle locazioni brevi del Governo, ossia quello di regolamentare il fenomeno, auspicando che vada effettivamente nella direzione di eliminare ogni incertezza normativa ed ogni forma di concorrenza sleale».

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Alberto Lupini


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