Addio al caffè al banco E a tanti bar converrà non riaprire

Giacomo Pini, amministratore di Gp Studios, società di consulenza di ristorazione, prevede un futuro difficile per il settore alla riapertura dopo l'emergenza sanitaria . «Spariranno anche i pranzi di lavoro - dice Pini - che probabilmente verranno assorbiti dagli alberghi, cui mancheranno i meeting»

21 aprile 2020 | 08:00
di Sergio Cotti
Un espresso veloce al banco, un cornetto, una chiacchiera col barista e un occhio alle prime pagine dei quotidiani. Tradizioni che fanno parte di uno stile di vita all’italiana, spazzate via da un giorno all’altro con la chiusura dei bar. L’astinenza, però, non sarà temporanea; non almeno nel breve periodo. Alla riapertura dopo l’emergenza sanitaria (senz'altro dopo il 4 maggio), dovremo metterci in testa di cambiare le nostre abitudini; solo il futuro ci dirà se il rito del caffè al banco potrà mai essere sostituito con quello di un espresso consumato al tavolino.

Tavolli distanti e addio al bancone, la rivoluzione dei bar

Ma se i clienti dovranno fare i conti con il cambio di abitudini consolidate da una vita, gli operatori del settore dovranno vedersela con una vera e propria rivoluzione, che li costringerà a ripensare del tutto alla loro attività, al punto che in tanti potrebbero addirittura chiedersi se sarà più conveniente riaprire o chiudere definitivamente.
Uno scenario troppo catastrofico? Forse sì, ma è quello che immagina Giacomo Pini, amministratore di Gp Studios, società di consulenza di ristorazione e turismo, esperto delle dinamiche che regolano l’universo horeca in Italia. «I bar saranno gli esercizi pubblici più penalizzati – avverte – anche se finora se n’è parlato ancora poco».

Tanti bar, soprattutto nelle città, si dedicano da tempo alla ristorazione, con i pranzi di lavoro. Come immagina il loro futuro?
È un segmento che potrebbe addirittura scomparire ed essere assorbito dagli alberghi che, a loro volta, perderanno la possibilità di organizzare meeting e conferenze. Mi riferisco in particolare agli hotel del segmento business, che dispongono di spazi molto ampi.


Giacomo Pini

Nei bar, invece, si è andati sempre nella direzione opposta…
Esattamente. Per loro, tutto diventa molto più complicato, a meno che non si reinventino con una sorta di cucina take away. Ma credo che sia abbastanza improbabile, perché il momento del pranzo per chi è in ufficio è l’unica occasione della giornata per staccare dal lavoro e uscire.

Quindi?
I metri quadrati costano, finora la tendenza è stata quella di restringere i tavoli, che ora misurano quasi sempre 60x60 cm. Non vedo tante alternative e questo vale anche per chi ha i dehors: converrà ancora pagare l’occupazione di suolo pubblico per avere 4 clienti in 10 metri quadrati?

E le consumazioni al banco?
Quelle spariranno e i locali che non hanno spazi per le sedute, vivranno situazioni davvero complicate. Bisognerà ripensare completamente all’offerta; qualcuno potrebbe sperimentare il servizio di consegna a domicilio, ma serve una struttura diversa, un’altra organizzazione e soprattutto altri investimenti. Ci sarà bisogno di un cambio a livello culturale.

Tutti seduti, dunque, ma anche questo implicherà una riorganizzazione del lavoro.
Certo. I retrobanco, per esempio, misurano in genere un metro o addirittura 80 centimetri, perché sono concepiti con l’idea di far muovere l’operatore il meno possibile, ma quando un bar è pieno e i baristi si scambiano di posizione… come faranno? Dovremo tutti mascherarli? Inoltre si porrà il tema del servizio e del prezzo. Oggi le consumazioni al tavolo costano di più, tuttavia toccare la leva dei prezzi non sarà facile, parliamo di una questione molto delicata. È impensabile andare al bar e spendere 2 euro per un caffè. Per queste problematiche, al momento, non ci sono soluzioni in campo e sarà difficile trovarne, a meno che non si cambi proprio il concetto di bar.

In che modo?
Modificando l’offerta, per esempio; proponendo una colazione all’italiana con più prodotti. Ma non siamo abituati a questo e ci vorrà del tempo, prima che entri a far parte delle nostre abitudini.

La speranza è che questi cambiamenti passano durare 6-8 mesi, il tempo di trovare un vaccino, dopodiché tutto potrebbe tornare come prima.
Questo è ciò che ci auguriamo, tuttavia quei 6-8 mesi saranno sufficienti per fare chiudere tante attività. Non dimentichiamoci che in Italia molte aziende di questo settore sono sottocapitalizzate e non avranno dunque la forza di resistere. Purtroppo la mia sensazione è che il 90% dei 50mila pubblici esercizi che – si stima – sono a rischio chiusura, sia rappresentato proprio dai bar che, rispetto ai ristoranti, hanno molte meno potenzialità.

E parliamo di un settore con un turnover altissimo.
Vero, e questo non farà che peggiorare una situazione già complicata. Le problematiche sono tante, ci vorrebbe una legge per cui si dovrebbero rivedere gli affitti, per esempio. Altrimenti i bar di quartiere scompariranno. Il problema, poi, sarà quello di vendere l’attività. Purtroppo ho la sensazione che ci sarà una moria commerciale senza possibilità di scampo. E anche i fornitori sono molto preoccupati, anche perché nessuno, in questo momento sta sollevando la questione. Ai nostri clienti suggeriremo se converrà riaprire oppure no, ragionando sul ricavo per metro quadrato, alal luce dei nuovi scenari.

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Alberto Lupini


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