Ristoratori e agricoltori da una parte e famiglie dall’altra. Queste sono le categorie di datori di lavoro che avranno costi maggiori se in Italia dovesse passare la direttiva del salario minimo con aumenti di stipendio che, in particolare, interesserebbero camerieri e braccianti e colf e badanti. Anche se, nei primi due casi, l’intervento riguarda una piccola parte dei lavoratori.
Ipotesi 9 euro lordi l’ora
Nell’ipotesi di una soglia minima di 9 euro lordi l’ora, secondo i calcoli dell’Inps, ci sarebbe un guadagno per circa il 18,4% di lavoratori che si trovano sotto questa soglia se si guarda a salario base più tredicesima.
Nella ristorazione e in agricoltura interessati sono una piccola parte
Anche se, per quanto riguarda la ristorazione e l’agricoltura la misura, come detto, riguarderebbe solo una piccola parte di lavoratori. I camerieri in media hanno, infatti, retribuzioni sugli 11 euro lordi (vedi tabelle Ccnl), ma scontano contratti precari spesso non estesi a tutto l’anno. Mentre la retribuzione oraria lorda media è di 9,2 euro in agricoltura quindi la misura interesserebbe solo i lavoratori, in genere braccianti, sotto questa soglia.
Badanti e colf più interessati
Il settore maggiormente interessato dalla misura è quindi quello di badanti e domestici. Posto che la retribuzione oraria lorda media è di 7,3 euro per il lavoro domestico, secondo l’Osservatorio Domina dedicato al settore «l’introduzione del salario minimo aumenterebbe i costi annui del +41,1% nei casi di utilizzo solo per 25 ore a settimana senza convivenza, fino ad un +91,5% nel caso di 54 ore settimanali con convivenza». Tutto dipende quindi dal numero di ore.
Ad oggi sui 921 mila domestici regolari censiti nel 2020, il 31,3% percepisce una retribuzione annua inferiore a 3 mila euro. Un ulteriore 20,7% percepisce tra 3 e 6 mila euro annui. Per la retribuzione dei lavoratori domestici regolari le famiglie italiane nel 2020 hanno speso circa 5,8 miliardi, a cui vanno poi aggiunti contributi (1,0 miliardi) e Tfr (0,4 miliardi), per un totale di 7,2 miliardi per la sola componente regolare. Il comparto sconta però un 57% di irregolarità, che rischia di crescere, come denuncia l’associazione Domina se i costi a carico delle famiglie dovessero aumentare.