La pandemia e anche la carenza di personale hanno giocato un brutto tiro alla Campania. Un’indagine della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) ha infatti rivelato che la Regione ha perso il suo primato, per numero di attività che al loro interno producono o distribuiscono pizza (panetterie, gastronomie-pizzerie, rosticcerie-pizzerie, bar-pizzerie, pizzerie d’asporto e ristoranti pizzeria) (ristoranti) è infatti ora al secondo posto, superata dalla Lombardia. L’indagine di Cna Agroalimentare rivela infatti che tra il 2019 e il 2021 la Regione Campania ha complessivamente perso il 41,1% delle attività.
Ne aveva 17.443 e ora se ne ritrova con 10.263. La Lombardia invece alla fine del biennio 2019-2021 si attesta a 17.660 attività ed è anche la Regione che ha più ristoranti-pizzeria, 5.744 attività, davanti alla Campania con 3.503.
Per i membri di Avpn, l’Associazione verace pizza napoletana, le cause di questa “moria” sono essenzialmente due, la crisi economica, causata dalla pandemia e la carenza di personale. «Ormai nella nostra Regione si fa fatica a trovare i pizzaioli», ha ammesso il presidente Antonio Pace.
Pizze, moria di locali in Campania
L’indagine targata CNA Agroalimentare rivela che tra il 2019 e il 2021 in Italia le attività inerenti alla pizza sono calate del 4,2%, vale a dire di 5.366 unità, scendendo nel complesso a quota 121.529. E la Regione che ha subito il più brusco arretramento è stata la Campania, che ha perso il 41,1% delle attività, 7.173 in numero assoluto, precipitando a 10.263 pizzerie.
Il calo ha coinvolto perlopiù le Regioni centro-meridionali. A seguire la Campania, nell’ordine: il Lazio (-34,8%), l’Abruzzo (-28,4%), la Sicilia (-14,8%), l’Umbria (-13%).
A fare da contraltare c’è il dato della Basilicata (+102,6%), seguita da Val d’Aosta (+75%), Friuli Venezia Giulia (+59,8%) e Trentino Alto Adige (+39,5%).
La Lombardia passa al comando per numero di attività
Ma a sbalordire è la crescita in termini assoluti nelle più grandi regioni settentrionali. La Lombardia, che incrementa complessivamente il numero delle attività legate al mondo della pizza di 3.489 unità (+24,6%), tocca quota 17.660 attività e scalza la Campania dal gradino più alto del podio. Rimarchevoli anche gli aumenti di Emilia Romagna (+ 1.496 attività), Veneto (+ 1.268 attività), Piemonte (+ 1.148 attività).
Per densità di abitante vince la Basilicata
Quanto alla densità per abitante, a capeggiare la graduatoria delle regioni è la Basilicata (un’attività ogni 206,3 residenti), seguita da Calabria (un’attività ogni 249,2 residenti) e Molise (un’attività ogni 263,9 residenti). Quindi, nell’ordine, Abruzzo, Valle d’Aosta, Marche, Toscana, Puglia, Sicilia, Liguria, Umbria, Emilia Romagna, Trentino-Alto Adige, Campania, Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio e, fanalino di coda, Friuli Venezia Giulia con un’attività ogni 694,5 abitanti, ben lontana dalla media nazionale di un’attività ogni 485,3 residenti.
In Italia scendono i ristoranti pizzeria e aumenta l’asporto
L’indagine condotta da CNA Agroalimentare si focalizza in particolare su due attività: le pizzerie da asporto e i ristoranti pizzeria. Ne viene fuori la fotografia di un Paese che, complice la pandemia, ha profondamente modificato molte abitudini, anche alimentari. I ristoranti pizzeria tra il 2019 e il 2021 sono calati di 87 unità, scendendo da 39.989 a 39.902, ma registrando autentici crolli, tra le principali regioni, in Campania (1.376 in meno, pari al -28,2%) e nel Lazio (744 in meno, vale a dire il -23,42%) e balzi in Trentino Alto Adige (935 inaugurazioni ossia il +239,13%), Emilia Romagna (1012 aperture pari al +48,37%), Veneto (508 inaugurazioni, +28,56%), Lombardia (636 aperture, +12,45%). Una crescita che ha permesso alla Lombardia di consolidare il primato nella graduatoria dei ristoranti pizzeria con 5.744 attività, davanti alla Campania con 3.503, tallonata dalla Toscana con 3.497.
Un incremento notevole – sottolinea CNA Agroalimentare – si è al contrario registrato tra le pizzerie da asporto, favorite dalle restrizioni sanitarie e dal lavoro da remoto, che costringevano in casa. Tra il 2019 e il 2021 le pizzerie da asporto sono salite del 38% vale a dire di 5.367 unità arrivando a 19.669 attività complessive. In termini relativi è la Basilicata ad aver fatto il botto, come si dice, segnando una crescita del 2.088%. Ma sono le 2.348 (+151%) inaugurazioni di pizzerie da asporto in Lombardia ad aver segnato la differenza. Significative pure le 1.109 (+175%) aperture in Emilia Romagna e le 656 (+98%) in Sardegna.
Anche per le pizzerie da asporto, però, la tendenza negativa delle regioni centro-meridionali non s’inverte: -32% le attività in servizio in Calabria, -12% in Campania, -9% nel Lazio. Nonostante l’arretramento, però, tra le pizzerie da asporto la Campania continua a primeggiare con 1.849 attività, seguita da Lombardia con 1.559 e Sicilia con 1.552.
Il commento di Avpn: «Pandemia e carenza di pizzaioli si fanno sentire»
Antonio Pace, presidente di Avpn, l’Associazione verace pizza napoletana, sodalizio che promuove la pizza napoletana e le sue tradizioni e che forma in tutto il mondo nuovi pizzaioli (devono poi attenersi a un apposito e rigido disciplinare per la preparazione dell’autentica pizza napoletana), ha confermato lo stato di crisi che si sta vivendo in Campania.
Antonio Pace
«Sappiamo che c’è chi ha chiuso perché non ce l’ha fatta a resistere e anche chi sta aperto solo mezza giornata per contenere i costi - ha detto - Non pensavo però che i dati fossero così negativi, ma se si estende l’indagine alle panetterie, alle rosticcerie e ai bar che servivano i lavoratori durante la pausa pranzo, il dato complessivo sulle chiusure delle attività, segnalato da Cna, è in effetti ammissibile. Tra l’altro, oltre alla crisi pandemica, c’è un altro grosso problema che sta vivendo la nostra Regione. Ed è legato alla carenza di pizzaioli professionisti. Un fenomeno che si sta riscontrando anche in altre parti d’Italia, ma da noi fa scalpore. Organizziamo corsi in tutto il mondo e la partecipazione è sempre molto ampia. In Italia notiamo però che gli stranieri, una volta imparato il mestiere, preferiscono poi tornare nel loro Paese d’origine per aprire un’attività. Al tempo stesso gli italiani sempre più spesso vengono ai nostri corsi soltanto per appagare un desiderio, una passione, un hobby, e non per finalità professionali. Assistiamo quindi a un continuo ricambio di pizzaioli nei locali che alla lunga finisce per incidere sulla qualità dei prodotti».