Proprio come il fuoco che dorme sotto la cenere alla quale basta un soffio per ritrovare vigore, così accade ciclicamente alle polemiche che riguardano chi lavora in bar e ristoranti. A riaccenderle questa volta è stato nei giorni scorsi Alessandro Borghese, noto cuoco e personaggio televisivo, che in un'intervista al Corriere della Sera ha detto: «I ragazzi, oggi, hanno capito che stare in cucina o in sala non è vivere dentro a un set. Vuoi diventare Alessandro Borghese? Devi lavorare sodo. A me nessuno ha mai regalato nulla. Mi sono spaccato la schiena, io, per questo lavoro che è fatto di sacrifici e abnegazione. Preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. E la pretesa di ricevere compensi importanti. Da subito. Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati».
Alessandro Borghese
Apriti cielo! Le parole di Borghese hanno avuto lo stesso effetto di un piede su un vespaio. Non un coro unanime però: da una parte chi ha trovato la sua uscita fuori luogo e distante dalla realtà, dall'altra invece chi gli ha dato ragione, soprattutto colleghi. Sintomo insomma che un problema esiste e va analizzato.
Non c'è solo Borghese: le parole di La Mantia
Come dicevamo, Borghese non ha fatto altro che ridare vigore a un tema che torna con sempre maggiore prepotenza. E non è stato l'unico a farlo. Sono fresche in questo senso le parole di Filippo La Mantia, altro volto noto della cucina italiana, sempre al Corriere. Il cuoco, che ha recentemente riaperto il suo ristorante al Mercato Centrale di Milano, ha raccontato di non essere riuscito a trovare personale di sala. «Ho fatto almeno 80 colloqui, ma niente - ha raccontato - I ragazzi non ne vogliono sapere. Il fatto di dover essere impegnati fino a mezzanotte li fa scappare».
Il cuoco siciliano ha anche parlato della possibilità di dover cancellare il menu serale alla carta, lasciando soltanto il buffet, proprio per la carenza di personale. Parole che hanno richiamato quanto accaduto nel fine settimana pasquale quando Nicola Calò, gestore del ristorante “Km 175” sulla statale Adriatica di Cervia, aveva raccontato di aver tenuto chiuso a Pasqua e Pasquetta, nonostante l'alto numero di prenotazioni, perché senza camerieri.
A differenza di Borghese, La Mantia non sembra però farne una colpa ai giovani. «Come si può condannarli? Io da giovane stavo al Majestic di Roma dalle 9 del mattino all’1 di notte per imparare, ma era una mia scelta, non lo posso chiedere ai ragazzi oggi. Anzi, se me lo chiedessero direi loro di non farlo».
Filippo La Mantia
Il problema esiste: mancano 250mila lavoratori
Il problema, come già spiegavamo in un nostro approfondimento, esiste e i numeri, in vista della stagione estiva, sono eloquenti. È stato il ministro del Turismo Massimo Garavaglia a spiegare che mancano 250mila lavoratori tra alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari. Garavaglia ha puntato il dito contro il reddito di cittadinanza, che a suo dire distorcerebbe il mercato del lavoro, ma la spaccatura è più profonda e non riguarda soltanto gli stagionali. È l'intero settore a essere in crisi di personale. Ma perché?
Non solo reddito di cittadinanza: orari, contratti, pandemia
A contribuire a questa crisi che non sembra avere via d'uscita ci sono diversi fattori. C'è senza dubbio la pandemia, che ha cambiato notevolmente le carte in tavola. Ha messo a disposizione dei giovani nuove possibilità di lavoro, spesso più confortevoli. Chi cerca un impiego oggi cerca garanzie e orari più flessibili, che ristorazione e accoglienza non riescono a dare.
Ci sono poi gli stipendi non adeguati, almeno secondo i sindacati. «I lavoratori mancano perché molte aziende propongono contratti inaccettabili: 10, 12 ore di lavoro al giorno senza giorni di riposo per 900/1200 euro al mese», ha sottolineato Danilo Deiana, segretario territoriale sardo della Filcams.
E anche dove stipendi e contratti risultano interessanti, è proprio l'orario a tenere lontani i più giovani. Per Borghese «manca la devozione al lavoro». Forse, più semplicemente, è cambiato il modo di vivere il lavoro, che è necessità e non missione.
Un mestiere di ripiego
C'è poi un ultimo tema, che è più che altro un fattore culturale. In Italia raramente il mestiere del cameriere viene visto come una professione di alto livello, ma spesso è interpretato come un lavoro di ripiego. Così è difficile che qualcuno lo scelga, immaginando scarse prospettive. La soluzione? Complessa e non immediata: lavorare fianco a fianco con le scuole per cercare di cambiare il pregiudizio sul lavoro in sala.
Chi sta dall'altra parte: la voce di Gabriele Bianchi
In questi giorni di "maretta" le voci più insistenti sono state quelle dei cuochi. In pochi hanno invece chiesto conto a chi sta "dall'altra parte", vale a dire chi si occupa del servizio. Gabriele Bianchi, per esempio, miglior cameriere d'Italia under 30 nel 2019, sommelier, influencer e volto noto della televisione, recentemente consacrato da Forbes tra i 5 nomi più influenti del food italiano.
«Sono certo che Alessandro Borghese non intendesse offendere nessuno - ha spiegato - Ma non posso essere d'accordo con le sue posizioni, soprattutto perché racconta un tempo che non c'è più: nel nostro Paese non c'è più il benessere economico con cui i nostri genitori, e la sua generazione, sono cresciuti. Ascolto tante testimonianze e vedo rispecchiati i miei esordi: non mi sarei potuto permettere alcuna esperienza lavorativa senza riscuotere uno stipendio, perché non avrei avuto di che arrivare a fine mese. Non credo che l'assunto ultimo delle parole di Borghese sia che per iniziare a fare esperienza nel campo della ristorazione occorra appartenere a famiglie benestanti, né credo volesse sottolineare che i giovani non hanno voglia di lavorare o spirito di sacrificio. È vero il contrario: le scuole italiane sono piene di ragazze e ragazzi che vogliono iniziare a lavorare, nonostante il settore non viva momenti particolarmente floridi. Credo sia il caso forse di trovare una nuova forma di comunicazione con gli studenti, far si che la passione possa tornare a far brillare loro gli occhi».
Anche Bianchi è poi tornato sul tema delle carenze dell'offerta lavorativa nella ristorazione e nell'accoglienza. «Non dimentichiamo lo stile di vita massacrante cui camerieri e personale di cucina sono costretti agli esordi: mangiare velocemente, riposare una mezz'ora in luoghi non adeguati, magari dormire in alloggi fatiscenti in città lontane da casa - ha aggiunto - Parliamo di persone che per anni (prima del Covid, naturalmente) andavano a lavoro anche con la febbre perché altrimenti venivano massacrate da colleghi e datori di lavoro, e non entro nel merito degli orari di lavoro né degli stipendi. Non possiamo fare di tutta l'erba un fascio, perché il nostro Paese è pieno di strutture che sanno coniugare l'efficienza a un approccio etico. Ma per far tornare a brillare questo settore bisogna trovare un nuovo metodo di comunicazione per parlare con i giovani, formarli adeguatamente e trovare soluzione concrete per garantire loro un benessere di vita personale e professionale».
Gabriele Bianchi
Noi di sala: parla il presidente Marco Reitano
Per Marco Reitano, sommelier del ristorante La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri di Roma e presidente di Noi di Sala, associazione che nasce proprio con l'obiettivo di rilanciare la professione del cameriere, il problema è anzitutto strutturale ed è cominciato dalle scuole alberghiere. «Da dieci anni a questa parte oltre il 90% degli iscritti opta per il settore cucina a discapito di quello di sala - ha premesso - Questo ha creato oggi una penuria di figure professionali. In secondo luogo bisogna considerare l'avvento della pandemia e del conseguente lockdown; eventi che hanno di fatto emergere in maniera prepotente problematiche che da tempo covavano nel settore. Molti ragazzi hanno avuto modo di riflettere sul loro futuro e tanti hanno deciso di puntare su professioni più sicure, remunerative e che portano via minor tempo. Spesso infatti nel nostro settore si finisce anche per lavorare 12 ore, ma la paga resta purtroppo sempre la stessa. C'è poi anche chi ti paga in nero e quindi è ovvio che poi il personale scappa se non si sente tutelato».
Per Reitano per correggere la situazione bisogna puntare anzitutto dalle scuole alberghiere. «Bisogna puntare a valorizzare le competenze e le professionalità dei nostri ragazzi - ha ripreso - Chi è in sala ha un ruolo importante, perché di fatto è un venditore. Può davvero portare valore aggiunto al business di un ristorante».
L'altro aspetto su cui puntare riguarda le istituzioni. «Bisogna rivedere il sistema di tasse legato al settore della ristorazione - ha ripreso - In questo modo si potrebbero regolarizzare i contatti e valorizzare gli impieghi. A breve i ristoratori saranno costretti ad alzare drasticamente il prezzo del menu per poter garantire un equo stipendio ai dipendenti».
Marco Reitano
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