La pandemia ha avuto due effetti nettamente opposti sui centri delle città: da un lato ha spinto i residenti a cercare casa più in periferia, dove gli spazi sono maggiori e il verde più verde (in Italia, come all’estero, basti pensare che da Parigi stanno “fuggendo” 50mila persone); dall’altro ha portato bar e ristoranti sulla strada, grazie agli ormai diffusissimi dehors che hanno invaso marciapiedi e pezzettini di strada.
L’ago della bilancia si è spostato più sull’aspetto negativo della vicenda perché le città sono sempre più a rischio desertificazione (anche a causa della mancanza di turisti) ma del buono da salvaguardare, curare, far crescere, coltivare e tenere come nuova normalità, quindi strutturale, c’è.
Piacciono i dehor in città
Bene l'ospitalità on the road
L’idea di aprire i pubblici esercizi all’esterno non può che far bene al movimento e ad una nuova idea di città. Certo, farlo d’estate è un conto, replicarlo d’inverno con temperature che invitano meno a stare all’aperto, un altro. Però anche su questo ci si può attrezzare per fare un altro salto di qualità e trovare quelle soluzioni troppo spesso accantonate, sovrastate da polemiche e problemi continui messi sul piatto che hanno ulteriormente danneggiato l’economia (e l’immagine) del settore.
È d’accordo Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe e presidente della Confcommercio Toscana nelle cui vesti, spiega: «Accanto alle tante conseguenze negative che ha portato la pandemia, ce ne sono probabilmente alcune altre che ci possono insegnare qualcosa. Per esempio, la riscoperta delle nostre città e di un nuovo modo di viverle. La possibilità concessa a tutti i pubblici esercizi di allestire uno spazio esterno per servire i clienti - e recuperare un po’ di quanto perduto a causa delle chiusure forzate - ha regalato un colpo d’occhio spesso vivace e accogliente alle nostre piazze, ben diverso da quel vuoto desolante e silenzioso che avevamo sperimentato nei mesi più duri della segregazione anti-pandemica».
Fermare chi se ne approfitta
«Certo - prosegue - qualcuno se ne è approfittato, forse preso dalla necessità di lavorare in qualche modo, e ha dilagato mettendo tavolini in ogni dove, su strade e marciapiedi, di fronte alle vetrine dei negozi e ai piedi dei monumenti. È chiaro che da questi eccessi si deve tornare indietro, ma per farlo basta ristabilire le regole. Tornare tout court alla “normalità” pre-pandemica, invece, spazzando d’un colpo quanto di buono è venuto fuori in questi mesi sul fronte dell’ospitalità, sarebbe un errore imperdonabile. L’importante è, in ogni caso, non perdere come riferimento irrinunciabile per le nostre azioni i valori dell’estetica, del decoro e della sicurezza, dai quali noi non intendiamo prescindere. Partiamo da questi valori per eliminare le storture. Ma andiamo avanti con questo nuovo modello di ospitalità “on the road”, che apre i locali alla città e nel segno dell’incontro toglie i confini tra spazi chiusi e spazi aperti».
Aldo Cursano
Serve un progetto complessivo
Chiaro che buona parte di questa “buona pratica” proseguirà se le amministrazioni comunali continueranno a garantire gli spazi pubblici a bar e ristoranti gratuitamente. Lungo tutta l’Italia sono stati tanti gli scontri, i più hanno concesso questo “bonus” fino a fine 2021; la speranza è che si confermi, appunto, ma nell’ambito di un progetto più articolato di ristrutturazione delle città. Dare spazio a bar e ristoranti togliendolo ai parcheggi, ai marciapiedi, ai pedoni o ai ciclisti rischia di dare adito a proteste (in parte giustificate) allontanando ulteriormente dal centro i pochi residenti che ancora scelgono di restare. Basta tracciare una strada, che sia coerente con la nuova normalità, fatta di centri storici pedonalizzati e voglia di vivere una colazione, un aperitivo, un pranzo all’aperto. Magari davanti al miglior monumento della propria città.