Ora fa ancora caldo e il tema potrebbe un po' sciogliersi sotto le temperature ferragostane, ma con l'autunno all'orizzonte l'atmosfera potrebbe farsi rovente attorno all'obbligo di green pass stabilito dal Governo per accedere alle mense aziendali. Perchè? Perchè potrebbe replicarsi la scena di tanti lavoratori costretti a mangiare per strada o in macchina o nei camioncini data l'impossibilità di accedere ai ristoranti. Lo diciamo subito: la linea dura è quella doverosa se la volontà è quella di accelerare sui vaccini in tutta la Penisola ed evitare ondate autunnali e invernali con conseguenti chiusure. Anzi, andrebbe resa ancora più dura ampliandola, ad esempio, anche ai trasporti pubblici rei di essere veicoli del virus oltre che delle persone. Però va anche specificata una cosa: aggiustare le leggi attraverso delle Faq (perchè è così che è avvenuta la comunicazione sulle mense) non può andare bene. Così come non vanno bene le continue contraddizioni che caratterizzano le scelte del Governo quando si parla di ristorazione.
Le disposizioni per le mense
Cosa prevede la norma
Andiamo per gradi, recuperando la norma. Alla vigilia di Ferragosto Palazzo Chigi ha comunicato: «Per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde Covid-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti». Aggiunta che ha mandato su tutte le furie gli addetti ai lavori della ristorazione collettiva: saranno i gestori dei servizi a essere tenuti a verificare le certificazioni verdi.
In questo modo sono stati respinti i "distinguo" avanzati dal sindacato secondo il quale il lasciapassare creava discriminazioni e metteva sullo stesso piano un ristorante (dove il cliente sceglie di recarsi) e la mensa aziendale (dove il lavoratore deve giocoforza pranzare). Ha prevalso la linea delle norme sanitarie uguali per tutti. Altro aspetto che ha irritato la collettiva.
La scelta "tecnica" del Governo ha un senso. Se è vero che alle mense aziendali accedono lavoratori che operano a stretto contatto tutto il giorno in ufficio (rispettando ovviamente tutte le norme anti-Covid) è anche vero che durante il lavoro tutti sono tenuti ad indossare le mascherine, mentre al tavolo questo non avviene. Cosa significa? Che l'ora classica di pausa pranzo può trasformarsi in un focolaio pronto poi ad esplodere negli uffici perchè il tempo prolungato è una variabile fondamentale e perchè la mancanza di protezioni (mascherine) è la discriminante per eccellenza.
Perché non sui mezzi pubblici a breve tratta?
Seguendo questa linea del dar credito alle scelte governative viene però da avanzare una prima "accusa", ovvero: perchè non si estende subito l'obbligo del green pass anche sui mezzi pubblici locali? Vero è che le scuole non sono ancora iniziate e che in agosto sono poco utilizzati (almeno nelle grandi città, forse di più nei luoghi turistici) ma proprio per questo motivo un test più soft, in attesa del crash-test di settembre con le mandrie di studenti, avrebbe potuto rivelarsi decisivo. E invece la linea, in questo senso, è ancora morbida: solo dall'1 settembre e solo su treni e bus di lunga percorrenza sarà obbligatorio il pass.
Ristorazione collettiva «irritata»
Le accuse trancianti arrivano però dalla sponda degli addetti ai lavori della ristorazione collettiva (sostenuti dai sindacati con le varie sigle che già nei giorni scorsi si sono schierate contro il Governo), i quali pungono il Governo su nervi scoperti e ormai incancreniti da febbraio 2020 a oggi. Non usa mezze misure e cita esempi emblematici Carlo Scarsciotti, presidente Angem e portavoce Orion: «Questa situazione per la quale in Italia si legiferi attraverso delle Faq ci irrita - ha spiegato - c'è troppa confusione e secondo noi questo decreto si può applicare alla ristorazione tradizionale, ma non alla collettiva. Tante sono le considerazioni da fare. Su tutte: perchè ai turisti si consente di accedere agli alberghi senza green pass e, sempre senza green pass, possono accedere ai ristoranti interni per pranzi, cene, colazioni? Vuol dire che il turismo è più importante dell'industria? E ancora: noi siamo operatori e basta, tutto all'interno delle mense è di proprietà dell'azienda e così dovrebbe spettare ad essa il compito di controllare chi ha e chi non ha la certificazione. In ultimo c'è un delicato tema di privacy: se da un giorno all'altro non si vede più arrivare in mesa un collega è facile pensare che questi non sia vaccinato e quindi verrebbe meno il diritto di non dichiarare se si è ricevuta la dose o no; in questo senso il datore di lavoro non farebbe una buona figura, discriminerebbe il dipendente in oggetto».
Dura anche la posizione di Anir-Confindustria con il presidente Massimiliano Fabbro che spiega: «C'è il grande equivoco di confondere la ristorazione collettiva con quella tradizionale che porta a scelte sbagliate. I nostri luoghi sono sicuri per antonomasia, ancor prima della pandemia. Sanifichiamo da sempre tutto, ci adoperiamo per evitare assembramenti, abbiamo protezioni come il plexiglass per tutelare noi operatori e gli utenti che si servono da noi. La nostra filiera parte dall'igiene e arriva al pasto mentre la ristorazione tradizionale fa l'esatto percorso opposto. E poi noi abbiamo dimostrato di riuscire a lavorare senza creare casi anche nel momento clou del lockdown, perchè invece adesso siamo diventati pericolosi? Per noi è un problema economico, questa scelta significa voler disincentivare l'accesso alle mense e influire dunque su un bilancio già a picco».
Le aziende sono confuse, agiscono secondo coscienza propria come in molti altri frangenti. Il Governo è ora che prenda una posizione decisa e severa, se lo ritiene. Quel "o tutti o nessuno" già urlato all'alba della certificazione deve tuonare nelle aule di Palazzo Chigi per evitare che a settembre, sempre lì, si debba tornare a parlare di chiusure. Con tutte le conseguenze sociali ed economiche del caso. Davvero abbiamo voglia, ancora, di tutto questo?