Crollo dei
fatturati, mancanza di
liquidità e difficoltà nell’
accesso al credito a cui si aggiunge un
programma di riaperture tardivo, farraginoso e poco utile. Sono tutti questi fattori legati alla
ristorazione, al turismo e al commercio che stanno spalancando sempre di più le porte alla
criminalità, all’usura, ai sistemi mafiosi che si infiltrano nei tessuti sociali ed economici delle imprese italiane, da nord a sud. 40mila le imprese oggi a rischio usura.
Confcommercio ha evidenziato dati preoccupanti e offerto spunti di riflessione utili nel corso dell’8ª giornata dedicata alla Legalità organizzata in webinar dall’associazione con il presidente
Carlo Sangalli e il ministro degli Interni,
Luciana Lamorgese (in presenza) che sono intervenuti.
Un tema che come
Italia a Tavola avevamo già anticipato nel corso del prima ondata, quella della scorsa primavera quando si era capito che per i ristoranti e gli alberghi avrebbero avuto
vita difficile e che per la criminalità si stava preparando un terreno fertile su cui accrescere il proprio business che, secondo l’ultimo rapporto delle Agromafie (antecedente al Covid) vale
24,5 miliardi di euro.
L'usura dilaga nella ristorazione«Anticipare le riaperture rispetto al programma abbozzato dal Governo - ha detto
Sangalli - è doveroso per avviare un vero ritorno verso la normalità che comprenda le necessità di tutti.
Lavorare solo all'aperto è complicato, soprattutto per le località di montagna che devono fare i conti con un clima.
Almeno la metà delle attività così sono penalizzate. E poi facilitare l'accesso al credito e defiscalizzare altrimenti, come i dicono i dati, la criminalità avrà vita facile».
Il Ministro
Lamorgese, che ha chiuso l'incontro, ha parlato di 222 casi di usura registrati nel 2020, in aumento del 16% sul 2019 quando i casi erano stati 191.
Campania, Lazio, Sicilia e Puglia le regioni più colpite, ma il Friuli è passato da 1 a 8 casi nel 2020. «Come Governo stiamo lavorando affinchè
le riaperture garantiscano il rilancio delle imprese e che i tanti fondi stanziati per sostenerle non finiscano nelle mani della criminalità».
300mila imprese a rischio chiusura definitiva
Gli effetti del Covid, è stato sottolineato, sono stati devastanti per il mondo delle imprese. In assenza di adeguati sostegni e di un preciso piano di riaperture, rischiano la
definitiva chiusura 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi, di cui circa 240mila esclusivamente a causa della pandemia.
Le difficoltà economiche per le imprese riguardano soprattutto la
perdita di fatturato, la crisi di liquidità - confermata anche dal mondo degli hotel - e le complicazioni burocratiche. Sul 2020 le imprese del commercio, alloggio e ristorazione indicano per il 50,7% una
riduzione del volume di affari, per il 35,3% mancanza di liquidità e difficoltà di accesso al credito, per il 14%
problemi di tipo burocratico.
Carlo Sangalli e Luciana Lamorgese
Usura tra i pochi reati in crescita
Ma oltre a queste difficoltà c’è la
crescita, tra i fenomeni illegali, dell’usura: è, infatti, più che raddoppiata rispetto al 2019 la quota di imprenditori che ritiene aumentato questo fenomeno (27% contro il 12,7%), e sono a immediato e grave rischio usura circa 40mila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio.
Non sorprende, purtroppo, che il
fenomeno sia particolarmente diffuso nel Mezzogiorno in cui è anche maggiore il rischio di chiusura definitiva delle imprese. Tra nove grandi città italiane, Napoli, Bari e Palermo risultano essere quelle più esposte. Contro l’usura e, in generale, contro tutti i fenomeni criminali, servono misure di contrasto più incisive e una maggiore cultura della legalità.
Interessante notare come la
percezione degli imprenditori del terziario di mercato non è, riguardo all’andamento dei fenomeni criminali, in peggioramento, bensì in moderatissimo miglioramento nel 2020. Ma fa eccezione proprio l’usura che registra una crescita di 14 punti percentuali rispetto al 2019. Infatti, il
27% degli imprenditori del terziario di mercato indica un aumento del fenomeno nel 2020. Tra le micro-imprese del commercio e dei pubblici esercizi la percezione di insicurezza è decisamente maggiore rispetto alle imprese di dimensione più cospicua, un’evidenza certamente non casuale.
Fatturato in continuo calo, un grave problema
Le tre maggiori difficoltà vissute dalle micro imprese nel corso del 2020 a causa della pandemia sono: crollo del fatturato per il 50,7%, problemi di liquidità per il 35,3% e lotta contro le complicazioni burocratiche per il 14%. Ebbene, il confronto tra le tre indagini sviluppate nell’ultimo anno (da maggio 2020 a gennaio 2021) non evidenzia grandi differenze (
la liquidità continua a rimanere per gli intervistati il discrimine tra la vita e la morte delle imprese), salvo che il problema del fatturato è ultimamente un po’ cresciuto con la disillusione, che si è via via sostituita alla speranza degli imprenditori, di un rapido ritorno alla normalità: col passare del tempo i bilanci aziendali sono, infatti, fortemente peggiorati e per le imprese i danni derivanti dalle chiusure sono peggiori delle attese.
Ed è per questo, per questo trascinarsi di decisioni non prese, che la continua
proroga di riaperture definitive tanto dei ristoranti quanto del turismo sta prestando il fianco alla criminalità e quindi anche alle proteste degli stessi ristoratori che ormai sempre più frequentemente sono
protagonisti di proteste e manifestazioni.
295mila le imprese a rischio usura
Utilizzando i dati delle indagini a sistema con quelli di Banca d’Italia si può stabilire una platea di soggetti potenzialmente esposti all’usura. Da questi affidamenti si può definire, attraverso le indagini sul campo, il perimetro delle imprese che pur avendo richiesto un prestito non l’hanno ottenuto o l’hanno attenuto in forma ridotta.
Queste imprese sono circa 295mila, 152mila in più dell’anno scorso e dato peggiore solo a quello del 2014 (oltre 317mila). Dall'analisi eseguita su imprenditori di commercio, alloggio e ristorazione con meno di 10 addetti, di alcune città italiane, emerge che il
Mezzogiorno è molto più esposto sia al rischio usura e criminalità sia al rischio di chiusura delle imprese rispetto al resto del Paese. Mediamente Napoli e Bari stanno sempre ai primi posti in graduatoria e Palermo comunque è una volta al terzo posto e due volte a metà classifica, Milano e Torino nel Nord-Ovest e Padova per il Nord-Est presentano le percezioni meno preoccupanti.
Questi risultati suggeriscono un tema piuttosto importante anche in prospettiva futura di ripresa: per diverse ragioni le imprese del Nord hanno patito di più la pandemia, eppure sia per una condizione strutturale di esposizione alla criminalità sia per una maggiore fragilità intrinseca dell’impresa, è il tessuto produttivo del Sud ad apparire più soggetto
a shock negativi (perdita di fatturato o esposizione a fenomeni criminali). In altre parole, anche se il Nord ha perso di più, è il Sud che faticherà in misura maggiore e per
più tempo a uscire dalla condizione di crisi.
Quanto pronunciato oggi da Bankitalia nel corso dell’audizione sul Def davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato conferma le forti preoccupazioni già espresse nei giorni scorsi da Confindustria Alberghi.
Senza sostegni adeguati alla liquidità sono a rischio non solo le imprese che hanno fortemente subito lo schiacciamento della crisi ma tutte quelle realtà sane che in questi lunghi mesi hanno potuto fronteggiare l’emergenza grazie a una solidità patrimoniale oggi fortemente minacciata.
Bankitalia ha sottolineato che tra le imprese più colpite e a rischio ci sono proprio quelle del turismo. Non a caso nella lettera inviata al Presidente Draghi la scorsa settimana
Confindustria Alberghi ha sottolineato anche l’importanza di prevedere un pacchetto di misure ad hoc per sostenere la patrimonializzazione delle aziende con allungamento dei finanziamenti, garanzie agevolate e strumenti di finanza alternativa come bond o basket bond.
«Il mondo alberghiero - dichiara
Maria Carmela Colaiacovo, vice presidente di Associazione Italiana Confindustria Alberghi - ha bisogno di un percorso di accompagnamento in attesa del ritorno alla normalità potendo disporre anche di interventi temporanei di riduzione della pressione fiscale e misure di decontribuzione per il lavoro. Stiamo facendo il massimo, molte aziende hanno visto crescere a dismisura il peso del proprio debito per non soccombere e il grido di
allarme lanciato da tempo e oggi sostenuto anche dai dati di Bankitalia dimostra con ancora più forza le nostre ragioni».