Da una parte la preoccupazione dei
lavoratori, dall'altra il famigerato ottimismo degli
imprenditori. Potrebbe essere l'emblema del "gioco" delle parti quello fotografato dal Rapporto welfare aziendale
Censis-Eudaimon.
Lavoratori preoccupati per il posto di lavoroFronte
lavoratori: sono 9,4 milioni quelli del settore privato
preoccupati sul futuro della propria occupazione. In particolare, 4,6 milioni temono di andare incontro a una riduzione del reddito, 4,5 milioni prevedono di dover lavorare più di prima, 4,4 milioni hanno
paura di perdere il posto e di ritrovarsi
disoccupati, 3,6 milioni di essere costretti a cambiare lavoro.
Ansia tra i lavoratoriGli operai
spaventati sono 3 su 4. Del resto, nonostante il blocco dei licenziamenti prorogato dal Decreto Sostegni e gli interventi per diffondere gli ammortizzatori sociali, nel 2020 non sono stati rinnovati 393mila
contratti a termine.
L'ottimismo degli imprenditoriMa, come detto, al nero orizzonte che i lavoratori vedono davanti a sè si contrappone l'
ottimismo delle aziende. L'87% di esse guarda con ottimismo alla ripresa dopo l'emergenza. Voglia di fare (62,2%),
speranza (33,7%) e coesione interna (30,1%) sono gli stati d animo prevalenti tra i responsabili aziendali intervistati dal Censis. Il dopo sarà caratterizzato dalla corsa al recupero di
fatturato e quote di mercato (76%) e dalla sfida della transizione digitale (36,2%). L'ottimismo delle aziende colpisce, visto che ben il 68,7% di esse ha registrato perdite di fatturato dopo il
lockdown della scorsa primavera. Nonostante le straordinarie difficoltà, per il 62,2% dei
responsabili aziendali le proprie imprese se la stanno cavando bene.
Nel terribile 2020 caratterizzato dalla pandemia il mondo dei
pubblici esercizi ha sofferto fino all'inverosimile. Le
aziende del settore hanno perso circa il 38% del proprio fatturato, sono stati bruciati oltre 35 miliardi di euro e 300mila
posti di lavoro con 22mila aziende sono scomparse. Numeri che sono destinati a peggiorare se non si prevederà un piano di aperture più logiche e se gli aiuti non diventeranno più massicci.
Pochi aiuti e le aziende sono vicine al collassoDel resto conti sono presto fatti, e la
Fipe li ha messi sul tavolo del confronto, sempre più difficile, con Governo e Regioni. Se un ristorante “tipo” in Italia nel 2019 aveva
fatturato 550mila euro (che è poi la media delle dichiarazioni dei redditi del settore), ad andare bene bene l’anno scorso ha perso almeno il 30% del fatturato (la soglia indicata nel
decreto Sostegni). Pur scontando che il personale dovrebbe avere ricevuto la cassa integrazione, e pur avendo goduto di qualche migliaio di euro fra i “ristori” e gli aiuti per gli affitti, ora
con il decreto Sostegni dovrebbe beneficiare di un
contributo una tantum di 5.500 euro. Davvero una
miseria per fare fronte ai costi fissi che gravano sul locale. E non è andata certo meglio ad un
bar che, sempre per un locale tipo, poteva avere un ricavo annuo nel 2019 di 150mila euro, mentre ora avrà un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media mensile.