La notte fra il 22 e il 23 febbraio 2020 ha segnato uno spartiacque per discoteche, sale da ballo e da concerto. Da allora a oggi, queste attività sono rimaste chiuse causa Covid, con tutte le conseguenze del caso riassumibili nel 90% di perdita d’incasso. Situazione che ha messo in ginocchio diverse attività che a un anno di distanza hanno organizzato un incontro virtuale per dare voce alle proprie istanze.
23 febbraio 2020-23 febbraio 2021: l'anno delle discoteche chiuse per Covid
L'evento in streamingIl 22 febbraio 2021, dalle 14 alle 20, l’evento in streaming
#Musicafutura è stata l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del settore. Dopo il decreto di stop all’industria degli
eventi dal vivo, «vogliamo raccontare un anno di chiusura che ci vede preoccupatissimi per i prossimi mesi», ha raccontato
Gianni Indino, presidente di
Silb-Fipe Emilia-Romagna.
Delle 2.800
aziende italiane che compongono
un comparto fondamentale, anche per l’attrattività turistica del Paese, il 30% ha già chiuso definitivamente i battenti. Si parla di circa 840 imprese che danno lavoro a migliaia di persone, per non parlare di tutto l’indotto che generano. Un numero spaventoso che, senza interventi immediati, potrebbe addirittura raddoppiare entro la
primavera. Se poi si guarda ai fatturati la situazione non è certo migliore. Su un giro d’affari annuo di circa 1,8 miliardi sono andati in fumo 1 miliardo e mezzo, ben più dell’80% del totale.
La locandina dell'evento in streaming #Musicafutura
«Siamo messi al limite, ai margini del sistema dei
ristori che per noi sono stati pochi e a singhiozzo. Con una media di circa 10-15mila euro a ristoro per
locale è difficile immaginare una sostenibilità per le imprese che, magari, devono far fronte a spese fisse come la
Tari, che può arrivare a costare anche 18mila euro», ha raccontato Indino. Eppure «arricchiamo l’offerta di un Paese intero. Non solo per gli italiani, ma anche per gli stranieri che scelgono le nostre destinazioni anche per la proposta dei nostri locali». Insomma, un cortocircuito dal quale sembra impossibile uscirne a breve.
Vaccino arma finaleLa
soluzione finale, infatti, è solo il
vaccino. Niente alternative. «Qualche mese fa avevamo proposto al ministero della Salute un protocollo che, a fronte di ingressi contingentati, ci desse la possibilità di effettuare dei test rapidi all’ingresso. Ma non abbiamo ricevuto risposta», ha rivelato Indino. Tanto che alle discoteche non è restato altro che proporsi come
sede delle vaccinazioni, anticipando di qualche settimana anche l’invito del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi che ha abbandonato il “progetto primula” per affidarsi a spazi pubblici come le caserme. «Abbiamo lanciato questa proposta che ha subito ricevuto un riscontro positivo. Ora vediamo che
in molti si accodano, dalle fabbriche ai centri commerciali», ha tenuto a precisare Indino.
E
il passaporto vaccinale? «Una bella idea, ma dipende da come viene realizzata. Se si dovesse trattare di un semplice certificato cartaceo, il rischio sarebbe quello di una
contraffazione senza limiti. I ragazzi, d'altronde, in alcuni casi per entrare o farsi servire da bene, già falsificano i documenti. Figuriamoci cosa potrebbe succedere con il certificato vaccinale», ha risposto Indino. Riliveo propedeutico a togliersi qualche sassolino dalle scarpe: «Chi, un anno fa, ci additava come i locali dello sballo, delle risse deve ricredersi. Noi siamo chiusi ma fuori i ragazzi continuano a picchiarsi e assumere sostanze stupefacenti. Non eravamo noi il problema».
Le richieste al GovernoNel frattempo, anche durante l’appuntamento online, non sono mancati i momenti per aprire un
confronto sulla sopravvivenza del settore che passa per pochi
punti fondamentali: «In primo luogo, la certezza di ristori all’altezza del business precedente la pandemia. In Francia, Germania e Gran Bretagna, per esempio, le aziende omologhe hanno potuto contare su rimborsi fino al 75% del fatturato. In secondo luogo, una revisione delle imposizioni fiscali. Allo stato attuale, il 50% del costo di un biglietto va a finire nelle tasche dello Stato mentre l’
Iva sulle discoteche è fissa al 22% contro il 4% dei teatri. Insomma, ci vuole un
riallineamento», ha concluso Indino.