Quanto pesa, in termini economici, la chiusura dell’ultimo minuto degli impianti da sci? Secondo una rilevazione dell’Istituto Demoskopika circa 9,7 miliardi di euro. Una cifra monstre a cui si unisce il contraccolpo occupazionale per novemila lavoratori stagionali.
Nel periodo dicembre 2020-marzo 2021 il turismo montano perderà 9,7 miliardi di euro
I dati dell'Istituto DemoskopikaLa rilevazione dell’Istituto Demoskopika, con sede a Roma, prende in considerazione il
periodo dicembre 2020-marzo 2021 nel quale i mancati incassi andranno di pari passo con un mancato
traffico turistico: -12,4 milioni di visitatori in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Da qui un appello al neo-ministro al Turismo,
Massimo Garavaglia: «Subito ristori adeguati alle perdite e revisione del Next Generation Italia, altrimenti assisteremo alla stagione del
de profundis del turismo montano», ha affermato il presidente di Demoskopika,
Raffaele Rio.
In particolare, sono cinque le
destinazioni invernali maggiormente penalizzate: Trentino-Alto Adige, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia e Veneto la cui perdita di spesa turistica rappresenta l'86,2% dei mancati introiti complessivi italiani, pari a 8,3 miliardi di euro.
Lecito chiedersi se, di fronte a una pressione del genere, gli impianti sciistici e le
imprese dell’accoglienza montana, dagli hotel ai rifugi con somministrazione, riusciranno a
resistere fino alla data del 5 marzo – quando dovrebbe concludersi il divieto allo sci. Ogni settimana persa, infatti, rappresenta una mancata
spesa media pro capite di circa 785 euro. A rischio, circa 1.800 impianti per oltre seimila chilometri di piste su cui lavorano circa 14mila operatori.
Le stime di AssoturismoNei giorni scorsi,
anche Assoturismo aveva pubblicato le proprie stime sulla mancata apertura degli impianti sciistici che fa scomparire altri 3,3 milioni di presenze turistiche nelle località di
montagna, per una perdita ulteriore di 400 milioni di euro di fatturato. Il Centro studi turistici, inoltre, ha sottolineato come il provvedimento peggiori l’intero bilancio, già disastroso, della
stagione invernale 2020-2021, che si avvia verso un calo complessivo dell’85% dei pernottamenti, per un calo totale di 18 milioni di presenze turistiche e 2 miliardi di euro di fatturato.
«Non si può cambiare idea a 24 ore dall’avvio della stagione, gli operatori delle località del turismo invernale hanno già investito e assunto personale. Le imprese hanno bisogno di pianificare l’attività con un ragionevole anticipo. Annunciare l’avvio della stagione turistica invernale e poi
stravolgere completamente i programmi all’ultimo minuto è un comportamento
inaccettabile, che mette in difficoltà non solo le attività ricettive e dei servizi turistici nelle località coinvolte, ma anche i rifugi alpini e tutta la filiera del turismo montano, la cui tenuta è una risorsa fondamentale per l’intera economia dei territori. Questo modo di agire ha creato un danno gravissimo agli operatori, che poteva essere evitato, e che andrà urgentemente compensato al di là dei ristori», ha affermato
Vittorio Messina, presidente di Assoturismo-Confesercenti.
Dalle località sciistiche intanto arrivano ancora reazioni di protesta. Il Sindaco di
Ponte di Legno (Bs),
Ivan Faustinelli è realista: «La notizia del rinvio - all'ultimo minuto - dell'apertura degli
impianti di sci al 5 di marzo, più che rabbia e amarezza, ha provocato una profonda delusione. Tutto il mondo della
montagna, per l'ennesima volta si sente preso in giro. Nessuna considerazione, nessun rispetto per le migliaia di persone che vivono e lavorano quotidianamente nei comuni dell'alta
Val Camonica.
Vista panoramica dal Presena
Indennizzi solo un sollievoNon
consolano nemmeno gli aiuti previsti dal neo ministro
Garavaglia. «Gli
indennizzi (non i ristori) - ha detto Faustinelli - per i danni causati dal Governo con l'ordinanza del ministro Speranza, annunciati dal neo ministro Garavaglia quando arriveranno e se arriveranno, rappresentano solo un sollievo nel mezzo di una bufera».
Il Maniva chiudeDal
Tonale-Presena alle montagne della Valle Sabbia e Val Trompia, sempre nel bresciano, il commento non è diverso, anzi. Al passo del Maniva,
Stefano Lucchini, titolare con la famiglia degli omonimi impianti ha già deciso: «Aprire a marzo non ha senso. Noi, dopo aver speso 800mila euro per ripartire nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, abbiamo deciso di stoppare definitivamente l'
attività. Inutile insistere dopo cinque non stop, apri non apri, ne riparleremo la prossima
stagione invernale a fine 2021. Teniamo aperti
bar e punto di ristoro solo per
ciaspolatori, appassionati di sci alpinismo ed escursionisti. Insomma gli sport alternativi pur avendo in quota 2 metri di neve fresca».
Sia
Adamello Ski che
Maniva Ski, le due società che gestiscono complessivamente oltre 200 chilometri di piste, rimborseranno totalmente, a tutti coloro che li hanno acquistati on line,
biglietti e abbonamenti .
La crisi di Arabba«Ci avrebbe fatto meno male sapere dall’inizio della stagione che non avremmo aperto per tutto l’inverno con un chiaro arrivederci all’estate - commenta
Michela Lezuo, presidente dell’Associazione Turistica di
Arabba – perché abbiamo subito oltre un danno economico anche la beffa di una mancata apertura che avrebbe in parte attenuato le perdite di questo malcelato
lockdown».
«Solo nel nostro piccolo comune abbiamo quasi 900 persone che lavorano in modo
stagionale per la filiera dello sci – continua Lezuo - e gran parte di queste provengono da fuori regione: è un esercito silenzioso di lavoratori che contribuiscono a creare l’immagine positiva della nostra terra agli occhi del mondo».
In una stagione normale i 3mila posti letto di Arabba vengono coperti con tassi di
occupazione altissimi, soprattutto dall’estero: «La percentuale di ospiti sciatori italiani è del 35% quindi siamo una vetrina sul mondo: possiamo vantare un turismo proveniente dai cinque continenti del pianeta». E a ricordare il valore dell’indotto nell’ecosistema dello sci ci pensano i dati di fatturato dell’area di Arabba: nell’anno solare 2019 il fatturato è stato di 29 milioni di Euro, scesi a 23 nell’esercizio scorso, con un calo di presenze del 30%, valori che non comprendono il giro d’affari del comparto impiantistico.
La fotografia scattata da Arabba si spinge a una
analisi ancor più dettagliata: «In base alle
presenze nel 2019 abbiamo registrato nei mesi invernali il 60% dell’intero flusso annuale – prosegue la presidente Lezuo – e poiché il valore della occupazione invernale è di gran lunga superiore (grazie alle settimane bianche) a quella estiva (dove si predilige il
weekend lungo) possiamo stimare che il 70% del fatturato annuale si produce nella stagione dello sci». Pertanto, di quei 29 milioni di euro registrati nel 2019, ben 20 milioni sono da imputare ai
mesi invernali: «Quindi possiamo concludere che da inizio dicembre a fine febbraio la nostra valle ha perso circa 15 milioni di euro».