Dopo oltre un anno e mezzo di Covid, le imprese della ristorazione lo hanno capito: la liquidità, il flusso di cassa, i risparmi e gli investimenti (soprattutto quelli realizzati con successo negli anni passati) hanno fatto la differenza di fronte alla tenuta delle aziende. Fra lockdown, costi fissi che non si sono mai fermati e operazioni di riapertura (dehors compresi) chi aveva posto attenzione alla capitalizzazione delle proprie realtà è riuscito a parare i colpi della crisi. Per gli altri, le cose si sono fatte più difficili. Recupero compreso. Da qui a fine anno, infatti, per l’Horeca l’ammanco sarà di circa 34 miliardi di mancati incassi rispetto al 2019. Come riuscire a far quadrare i conti e rimettersi in sesto? Una possibilità viene dal cambiamento del regime societario. E in questo campo, le parole chiave sono due: startup e Pmi … innovative.
Startup e Pmi innovative, cosa sono?
L’argomento è stato sollevato durante un incontro organizzato da Ubri (Unione brand della ristorazione italiana) ed Engles & Volkers che ha ospitato l’approfondimento realizzato dallo studio Villa Roveda Associati. Un’occasione, innanzitutto, per prendere confidenza con i termini. Startup e Pmi innovative sono una particolare forma di società di capitali prevista nell’ordinamento italiano al fine di «favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione giovanile in particolare», si legge nel documento di sintesi elaborato dallo Studio. Il tutto a fronte di vantaggi fiscali. «Dalle agevolazioni alle imposte di bollo, ai costi di costituzione della società passando per l’accesso gratuito al Fondo di garanzia, e molto altro, questi due particolari regimi societari presentano dei vantaggi sia per l’impresa che decide di adottarli che per coloro che decidono di investire», spiegano Filippo De Bartolomeis e Niccolò Treppo, rispettivamente avvocato e dottore commercialista presso lo studio Villa Roveda Associati.
Il caso Poke House: anche nel food l'innovazione paga
Aspetti non di poco conto in un momento in cui la ripresa ingrana ma necessita ancora di tempo per dispiegarsi, lasciando aperte possibilità e occasioni da cogliere. Il caso emblematico, in questo senso, è quello di Poke House che è riuscita a costruire una storia di successo e internazionalizzazione sorretta da fondi di investimento che hanno deciso di scommettere sul food retail. «D’altronde, il sistema bancario è sempre più rigido e le società del food hanno bisogno di liquidità. A fronte di vantaggi fiscali congrui, questa potrebbe arrivare da investitori terzi. Soprattutto ora che anche il mondo del food&beverage, grazie al boom del delivery, si è aperto con forza all’innovazione tecnologica», affermano De Bartolomeis e Treppo.
Nel settore del food, il delivery è stato il grande driver dell'innovazione tecnologica ma c'è ancora spazio per crescere
I vantaggi fiscali
Ma quali sono questi vantaggi? «L’agevolazione principale è stata introdotta nel 2012. La persona fisica che investe in una startup o Pmi innovativa può beneficiare del 30% di detrazione sull’imposta sul reddito fino a un investimento massimo di un milione di euro. Detto diversamente, la detrazione massima può arrivare ai 300mila euro, che corrisponde al recupero di un terzo dell’investimento. Per quanto riguarda le persone giuridiche, l’aliquota del 30% vale come deduzione del reddito imponibile con un limite massimo di 1,8 milioni di euro», spiegano gli esperti dello Studio. In generale, il tetto massimo di capitali agevolati che una startup o Pmi innovativa può accumulare è pari a 15 milioni di euro. «Un importo senza dubbio rilevante nel mondo del food», affermano De Bartolomeis e Treppo.
Filippo De Bartolomeis, avoccato presso lo studio Villa Roveda Associati
I tre parametri per diventare startup o Pmi innovativa
Ma come si fa a diventare una startup o Pmi innovativa? I requisiti sono diversi. Innanzitutto, va detto che la seconda rappresenta una naturale evoluzione della prima. Partendo dalla base, quindi, per dirsi startup innovativa è necessario centrare, in particolare, almeno uno dei seguenti punti:
- spese in ricerca e sviluppo uguali o superiori al 15% del maggiore tra costo e valore totale della produzione;
- impiego di personale qualificato pari o superiore a 1/3 della forza lavoro, o laureati magistrali pari o superiori ai 2/3
- titolarità, deposito o licenza di almeno una privativa industriale (anche software registrato Siae) direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attività di impresa.
Prerequisito è che la società non sia stata costituita da più di 60 mesi e non derivi da operazioni straordinarie come fusioni, scissioni o cessioni di rami d’azienda. «Per quanto riguarda le aziende del food, il delivery per esempio è stata una forte spinta all’innovazione e quindi al raggiungimento del terzo punto elencato. Ma c’è spazio per ulteriori innovazioni sia per quanto riguarda i processi di produzione che l’analisi dei clienti, per esempio», raccontano i due professionisti.
Niccolò Treppo, dottore commercialista presso lo studio Villa Roveda Associati
Per quanto riguarda la Pmi innovativa, i parametri cambiano di poco. In questo caso, però, per essere ammessa al regime agevolato la società può essere già stata costituita più di 60 mesi prima e deve centrare almeno due dei seguenti parametri:
- spese di ricerca e sviluppo uguali o superiori al 3% del maggiore tra costo e valore totale della produzione;
- impiego di personale qualificato pari o superiore a 1/5 della forza lavoro, o laureati magistrali pari o superiori a 1/3;
- titolarità, deposito o licenza di almeno una privativa industriale (anche software registrato Siae) direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attività di impresa.
Anche il crowdfunding si fa spazio
L’innovazione in termini di raccolta di capitali per quanto riguarda le aziende del food potrebbe arrivare anche dal cosiddetto equity crowdfunding. «Nel settore della ristorazione, in particolare quello a catena, si cominciano già a vedere i primi movimenti». Il crowdfunding, infatti, permette di raccogliere capitale in pubblico frammentato e rappresenta una valida alternativa rispetto al ricorso al credito bancario nonché, per certi versi, anche un potenziale vantaggio in termini di governance per i fondatori, con ricaschi virtuosi sul business. Se all’interno della società, infatti, entrasse un investitore con una partecipazione rilevante, questo avrebbe senz’altro un impatto significativo sulle regole di governo societario preesistenti. I minori poteri riservati invece agli investitori crowd di piccole dimensione (per i quali può essere addirittura escluso il diritto di voto in assemblea), possono essere invece controbilanciati con previsioni di vario tipo, come ad esempio meccanismi di liquidazione preferenziale (sugli utili o in caso di exit) o ancora la libera trasferibilità delle partecipazioni (senza ciò prelazione per gli altri soci) così da permettere un disinvestimento più agevole; a ciò si aggiungono alcune specifiche clausole previste dalla legge a tutela degli investitori crowd (come ad esempio il diritto di convendita in caso di cambio del controllo societario)», concludono De Bartolomeis e Treppo. Proprio da pochi giorni è stata lanciata una campagna di raccolta di capitali mediante un noto portale di crowdfunding per un format di ristorazione in rapida ascesa (Lievità), «raccolta che sta avendo un importante riscontro sul mercato», raccontano De Bartolomeis e Treppo che hanno affiancato la società nelle molteplici fasi dell’operazione. «In futuro ci si può aspettare una crescita degli investimenti anche tramite questo particolare strumento di raccolta di capitali che consente di rivolgersi a una pleatea potenzialmente molto ampia di investitori, concludono i due professionisti», concludono i due professionisti.