Il 24 ottobre si omaggia uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica italiana che trasversalmente, da nord a sud, fa parte del nostro immaginario. La trippa, apparentemente taglio di carne povero e popolare, gode in realtà di una solida reputazione grazie alle innumerevoli varianti regionali in cui è preparata. Si va dalle zuppe di trippe venete e napoletane, alla busecca lombarda o al famoso street food fiorentino, il lampredotto. Ma se c’è una città che ne ha fatto uno dei suoi vessilli, questa è Roma dove da essere il piatto fisso del sabato si è destagionalizzata con incursioni quotidiane perfino nei menu primaverili ed estivi.
Un'osteria ad hoc
Chi ne ha fatto una bandiera del proprio locale è Alessandra Ruggeri, titolare e chef Osteria della Trippa: «Già l’insegna del mio ristorante fa chiarezza su cosa si fonda il menu, la trippa ma anche tutto il mondo del quinto quarto. Noi la prepariamo alla romana, secondo la tradizione. Sedano, carota, cipolla, ed in più ci aggiungo una foglia di alloro che aiuta a togliere l’odore forte di questo taglio di carne sebbene al giorno d’oggi sia meno intenso di una volta. Poi ci aggiungo i pelati schiacciati a mano, a metà cottura e dopo averla tolta dal fuoco la menta, che ne esalta il gusto e la rinfresca e in fase di servizio del pecorino. Quando faccio lo stufato non lo spingo all’eccesso per due ragioni, mantenerla molto più leggera e non appesantire l’olio sebbene adoperiamo sempre evo. La trippa ha una grandissima importanza per la cucina romana, dal punto di vista storico una volta veniva mangiata di sabato, il giorno di paga.
Il piatto dell'Osteria della Trippa
Queste erano le abitudini per esempio degli operai del mattatoio. Personalmente nel menu ho inserito tanti piatti. Oltre alla versione romana quella viterbese con base ragù e poi parmigiano invece che pecorino e cannella. Mentre è immancabile l’omaggio allo street food con la versione fritta. Nel periodo estivo presento l’insalatina di trippa o nei mesi più rigidi la trippa con fagioli, andando a mettere come base uno spicchietto d’aglio, guanciale, poi a scelta borlotti o cannellini, servita al tavolo con peperoncino e pecorino romano oppure la versione in zuppa dove si fa cuocere con un brodo di carne e poi si aggiungono patate o a piacere anche della pasta. La trippa è un piatto di successo che tanti turisti italiani continuano a chiedermi».
Ad ogni latitudine, ecco come si propone a Palermo
La trippa conquista e seduce anche ad altre latitudini. In Sicilia infatti per Maurizio Balistreri chef del ristorante Al Faro Verde a Porticello (Palermo): «E’ un fuori menu con il quale mi piace giocare tantissimo. Grazie alla sua consistenza riesco a creare piatti interessanti con delle texture particolari. Le ricette che faccio sono diverse, la preparo con un sugo di pomodorino siccagno arrosto, una crema di caciocavallo, menta fresca e polpa di ricci. Un piatto un po’ creativo che ne esalta la consistenza callosa ma tanti sono i modi in cui la abbino. È un taglio di carne di grande importanza nella tradizione gastronomica palermitana. Insieme al pane con la milza è protagonista dello street food locale.
Maurizio Balistreri
Da noi si chiama Quarume, un termine che deriva dal tegame di rame (quarara) dove si cucina bollita con del sedano, carote, cipolla e prezzemolo, condita con sale e olio. La si trova in tutti i banchetti disseminati nei vari mercati rionali servita con il brodo di cottura oppure asciutta con sale, pepe e un filo d’olio. Se sconta qualche pesantezza in termini di digeribilità perché contiene troppo tessuto connettivo, secondo me per quanto riguarda il consumo non la si può ingabbiare in una particolare stagione proprio perché le preparazioni fantasiose la destagionalizzano. Io ad esempio la presento anche come una finta milanese che servo con una maionese al latte di mandorla e aglio nero fermentato e una leggera confettura di limone. Altro piatto dove è protagoista sono i miei tortelli di ragusano con ragu di trippa e gambero rosso crudo di Porticello. Un piatto di per sé non è povero, sta alla bravura e alla creatività dello chef esaltarlo con un trionfo di sapori».
Un piatto tradizionale eppure versatile
Ritornando nella Capitale, non c’è ristorante che non apprezzi la sua versatilità e il ruolo come alfiere della tradizione.
«La trippa, la coda, il cervello, la coratella e la pajata - spiega Daniele Roppo cuoco del ristorante “Il Marchese” - da metà ottobre fino a inizio aprile sono sempre fuori menu a rotazione. La trippa è un piatto fondamentale a Roma. Secondo me ha delle grandi potenzialità ma molte persone partono prevenute. Sono convinto che si può cucinare in molte varianti risultando sempre golosa e ottima. Certo, è un piatto che può rappresentare l’autunno e l’inverno ma a Roma può interpretare tutte le stagioni. Per gustarla al meglio due scelte nel mio menu, la trippa rossa classica da abbinare con un barbera o un nebbiolo delle Langhe o Valtellina o un sangiovese romagnolo. In alternativa per la trippa fritta con rosmarino e sale maldon la mia scelta ricade sul prosecco brut rosé Bosco del Merlo».
Daniele Roppo e Alessandro Borgo
Al cuoco il compito di nobilitarla
Sulla stessa linea d’onda Alessandro Borgo, chef del ristorante “Giulia”: “La trippa non è fissa in carta ma la propongo di tanto in tanto come special. Secondo me il modo migliore per prepararla è in umido, con pomodoro e mentuccia. Questo è un piatto molto importante per la mia città. A Roma il quinto quarto fa parte della tradizione, in particolare la trippa, un piatto a me caro che mi ricorda anche quando ero bambino. È vero, può essere “povero”, ma qui sta anche alla bravura del cuoco saperlo proporre nel migliore dei modi. Io come detto in precedenza, lo utilizzo come special. È un piatto molto autunnale ma anche versatile. Ad esempio si può prospettare anche in primavera con erbe, fiori e foglie.Se posso dare un suggerimento Trippa alla scapece, seppiette e panzanella d'autunno con in abbinata un Cerasuolo d'Abruzzo Liberamente di Centorame”.
La questione della stagionalità
Anche fuori Roma la musica non cambia come spiega Dino De Bellis, chef di Epos (Poggio Le Volpi): «La trippa in certi periodi dell’anno ha un ruolo da protagonista nel mio menu, partendo dalla tradizione fino ad arrivare a nuove idee di preparazione. Nel modo classico, la ricetta che tutti ricordano è quella della Sora Lella, grande regina della cucina romana, passando poi a delle polpette da intingere in una salsa di pecorino, ma anche facendo dei ripieni per dei cappellacci serviti con la sua salsa. Credo sia per la cucina romanesca uno dei piatti simbolo e il mio impegno sta nel cercare sempre di tramandare questa preparazione alle nuove generazioni. Al di là dei luoghi comuni, ha grande digeribilità, sicuramente ad appesantire può essere la salsa che la rende più impegnativa ma resta sempre un piatto che permette di stupire i propri clienti. Non la abbiamo sempre in carta ma a volte la proponiamo fuori menu ai nostri clienti per trasmettere la nostra tradizione. Credo comunque che l’autunno sia la stagione dove comincia a ritrovare vita sulle tavole e per gustarla al massimo il mio consiglio è provarla con un ottimo vino quale il Roma Doc Poggio Le Volpi».
Dino De Bellis e Francesco Irritani
C'è chi ancora rispetta i giorni
Nel solco della storia il modus operandi di Francesco Iiritani, chef del Ristorante Brillo: «La trippa è un piatto emblematico della tradizione romana insieme alla coratella con i carciofi, la carbonara. Una volta ognuno di questi piatti aveva un giorno fisso in cui venivano consumati, giovedì gnocchi, venerdì pesce e sabato trippa. Nel quartiere di Testaccio sono ancora molto popolari. La trippa è un piatto povero perché nel passato era il pranzo delle classi meno abbienti ma non è assolutamente da sottovalutare grazie anche al fatto che nel tempo gli chef si sono ingegnati per cucinarla nel modo migliore possibile. Secondo me la sua “pesantezza” è solo una questione di tecnica di cottura che, naturalmente, nel passato non era così affinata. Oggi con la sperimentazione e lo studio si riesce ad eliminare la scarsa digeribilità anche nella trippa, un piatto che viene ricercato da chiunque vuole provare l’autentica cucina della Capitale».
Proporre la trippa è come studiare storia
La trippa non manca mai anche nell’offerta dell’Osteria Fratelli Mori come spiega il proprietario Alessandro Mori: «Nel nostro ristorante ricopre un ruolo molto importante perché è messa tra i secondi piatti e la prepariamo nella maniera classica, cotta con pomodoro, pecorino e la mentuccia. Ha un ruolo fondamentale nella tradizione gastronomica del Lazio, si tratta di un quinto quarto, parti meno nobili dell’animale e per cui la divulgazione e il proporre questa tipologia di piatti è un po’ come recuperare la storia ed ha anche un risvolto etico, non si spreca nulla nella nostra cucina. Quindi ha un grande impatto in termini di sostenibilità. Non è che dell’animale si può tenere solo la bistecca o il filetto. Comunemente è considerato un piatto pesante ma non lo è, bensì è ricca di proteine, poverissima di grassi e colesterolo. Certo se si cucina con soffritti pesanti, con dell’olio non buono in abbondanza può risultare di difficile tollerabilità ma se invece si sa dosare il tutto allora non c’è alcun problema. Per la nostra clientela non ha stagionalità, va via benissimo anche in primavera o d’estate. Può sembrare strano ma è così, perché chi la conosce ed è abituata a mangiarla la sceglie in tutti i periodi dell’anno».
I fratelli Mori e Elisabetta Guaglianone
La versione estiva della trippa
Un taglio di carne amato anche da Elisabetta Guaglianone la chef di Pro Loco Trastevere, uno dei nomi di punta per chi ama la tradizione romana e laziale: «La trippa nel mio menu è principalmente proposta in due versioni, una estiva e una invernale, sebbene durante l’anno la cuciniamo in svariati modi, anche fritta. È un piatto versatile. Può essere stufato, insalata tiepida, snack. È presente, non può mancare, fa parte dei protagonisti assoluti della cucina romana e quindi la inseriamo quasi tutto l’anno. A Proloco ci piace contraddistinguerla da una nota affumicata. La versione estiva è più leggera, con te nero affumicato e pacchetelle gialle. Può essere servita anche tiepida e finita con il candidum di capra stagionato 12 mesi e tanta mentuccia fresca e basilico. La versione invernale è molto più vicina a quella tradizionale, presenta il pomodoro e la paprika affumicata.
«Finiamo il piatto - prosegue - con olio evo selezione Dol alla mentuccia, che facciamo in casa e tanto pecorino romano dop. La preparazione, a mio gusto, che la esalta maggiormente è quella stufata, come tradizione vuole. Io credo sempre che la digeribilità di un piatto sia solo da attribuire alla qualità della materia prima. Noi la proponiamo in versioni più giocose proprio perché crediamo che sia un piatto ancora da scoprire. La trippa è sostanzialmente uno stufato di frattaglia e quindi perfetto per la stagione più rigida. Il soffritto di cipolla che profuma la base del piatto, il pomodoro che con la sua naturale acidità smorza e si mischia agli umori rilasciati dalla trippa in cottura, la mentuccia che rinfresca e il pecorino romano che lega il piatto in un gusto unico che ti riporta ad un sapore antico che è inconfondibilmente Roma».
Immancabile nei menu
Un’importanza ribadita da Paolo Camponeschi chef del ristorante Menabò: «Ha un ruolo di grande rilievo insieme ad altri ingredienti del quinto quarto. Sono sempre presenti nel menù perché facciamo cucina di mercato e siamo convinti che un consumo razionale e sostenibile della carne passi anche dall'utilizzo completo degli animali macellati. La prepariamo sia nel consueto modo alla romana, con menta e pecorino sia in versioni più creative: un piccolo antipasto di trippa in casseruola con ceci e funghi porcini, oppure come ripieno di una lasagna riccia di Gragnano gratinata accompagnata da un latte affumicato. Fa parte della cultura non solo della mia città, ma in generale di tutte quelle culture urbane o contadine che non si potevano permettere gli sprechi e di quelle che oggi cercano di recuperare un rapporto sano e giusto con il cibo. Certamente è adatta a un consumo nei mesi più freddi, come dicevo provatela in una zuppa densa con ceci, porcini e rosmarino».
Paolo Camponeschi e Gianluca De Santis
La passione dei clienti
Infine anche Gianluca De Santis proprietario e chef della Trattoria Etruria 39 non fa eccezione: «La trippa ha un ruolo fondamentale, è un piatto che serviamo tutti i giorni al contrario di come si faceva prima dove era presente solo al sabato. Noi la prepariamo prettamente alla romana, con il sugo e la menta, servita con una pioggia di pecorino rigorosamente romano. La trippa come tutto il quinto quarto sembra per chi non è abituato a mangiarla un piatto complesso, in realtà ha un bassissimo apporto calorico, è molto digeribile ma deve essere sempre super freschissima, cucinata e consumata in non più di un giorno perché è molto delicata. È un piatto simbolo dell’autunno perché magari nella stagioni più fresche si mangia e si gode meglio. Noi però la proponiamo tutto l’anno anche a luglio ce la chiedono. A chi ci chiede un vino per gustarla al massimo, suggeriamo tutto ciò che sono proviene da cantine laziali di un certo tipo, quelle non industriali di massa, come ad esempio il Capolemole di Carpineti. Un rosso che sta sempre più conquistando il palato dei consumatori».