La fiammata ci sarà, ma durerà poco. Piuttosto bisognerà capire in quanti, nella ristorazione, riapriranno i battenti dopo la fine della pandemia. Gli scenari sono ancora così difficili da interpretare che, secondo Giacomo Pini, amministratore di Gp Studios, società di consulenza di ristorazione e turismo, ed esperto delle dinamiche che regolano l’universo horeca in Italia, non ha più senso neppure parlare di “tendenze” per questo 2021. Un anno tanto atteso, che il Governo ha voluto battezzare con l’imbarazzante balletto dei colori, costringendo i ristoratori ad aprire solo due giorni nei primi 10 di gennaio e condannandoli ad altre settimane di incertezza.
Servirà una rivoluzione per ripartire
Giacomo Pini, lei crede ancora che il 2021 sarà l’anno della ripartenza? In termini generali, questo potrebbe essere piuttosto l’anno della
transizione, ma dipende da quanto ancora durerà l’
emergenza Covid. Purtroppo penso che per tanti ristoratori sarà piuttosto l’anno della croce sulla tomba.
Più chiaro di così… I timori della Fipe, d’altronde, vanno proprio in questa direzione. I numeri che la Federazione ha ipotizzato sulle
chiusure credo siano abbastanza vicini alla verità. Nei primi 2-3 dopo la fine del Covid i ristoranti saranno strapieni: ci sarà un’esplosione del mercato, anche perché la gente vorrà uscire di casa. Ma la questione è un’altra: quanti riusciranno ad arrivare fino a lì? I locali oltre
la soglia di emergenza sono già tantissimi.
E in più lo Stato pare averli letteralmente dimenticati. Il business della ristorazione si basa sul flusso della liquidità. Non è più, ormai, una questione di
ristori o di
fatturati non dichiarati. Qui c’è proprio un problema di gestione dei
flussi di cassa. Queste
aperture a singhiozzo, poi, sono un disastro: alcuni locali aprono perché non possono fare diversamente, altri sperano di far qualcosa, ma la gestione complessa di un ristorante, in queste condizioni, va a scapito anche della qualità, soprattutto per chi lavora con materia prima di pregio. È una situazione che non ha proprio senso.
C’è chi si è buttato a capofitto sulle consegne a domicilio.
È un argomento di cui si parla ampiamente: continuerà senz’altro a rappresentare una fetta del
business, ma i ristoranti non nascono con questa vocazione, ed è una forzatura pensare che un’attività che apre con la struttura di un ristorante tradizionale possa
sopravvivere con la delivery.Ha ancora un senso parlare di trend per il 2021, quando non sappiamo quando e come finirà questa emergenza? È difficilissimo. Ci sono
trend nel modo di consumare il cibo, che guardano sempre più verso la cucina verticale, ci sono i format a monoprodotto, c’è lo sdoganamento del
pranzo che si allunga in orari diversi rispetto a quelli tradizionali, ma in questo momento è difficile parlare di
nuove tendenze. Credo piuttosto che il vero trend del 2021 sarà quello di occuparsi della gestione, cioè di avere il controllo della propria attività. Sarà questa la vera sfida di quest’anno, anche perché, passata la pandemia, non sappiamo ancora come cambieranno le occasioni di consumo. Piuttosto, si consolideranno alcune nuove abitudini.
Per esempio? Penso agli spazi, che nell’
economia di un locale rappresentano una variabile che incide in maniera importante sul
fatturato. Non ci sarà più una regola sul
distanziamento, forse, ma saranno i clienti a chiederlo. Chi si è abituato a una serie di elementi distintivi del periodo della pandemia, non vorrà tornare indietro. Lo spazio è uno di questi, perché rappresenta un plus per il cliente. Stiamo invece già tornando indietro sui
menu: quelli digitali vendono meno, per cui si sta tornano a quelli “materiali”, anche se sono da igienizzare ad ogni utilizzo.
Giacomo Pini
Le sta per pubblicare per Hoepli il libro dal titolo "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", pensato per chi vuole aprire un nuovo locale o ha bisogno di riposizionarsi sul mercato. Ecco, come sarà possibile reinventarsi nel settore, se l’attività non regge più? Qualcuno andrà fuori mercato perché non sarà più adatto a tipo di business che il mercato stesso chiederà. Le faccio un esempio: in Spagna il
fine dining arriverà toccherà meno dell’1% della ristorazione: ciò vuol dire che tutti i ristoratori che hanno fatto del loro locale uno show room della degustazione, dovranno riadattarsi velocemente a diventare locali un po’ più “prêt à porter”. Non solo: chi resisterà dovrà, in generale, puntare sempre più sulla
qualità. È impopolare, me ne rendo conto, ma soprattutto nelle
città turistiche non c’era, nella media, una grande qualità. La competizione si sposterà sul servizio e, più in generale, sull’esperienza.
In che senso? Servirà un’offerta alla portata di tutti, a un
prezzo equilibrato. Non dimentichiamoci che la spesa media sta calando di circa il 30% e che questo dato potrebbe consolidarsi se, com’è possibile, con lo sblocco dei
licenziamenti perderemo tanti posti di lavoro. Questo significa che l’offerta dovrà necessariamente riparametrarsi, ma senza tralasciare la qualità.
Se un’attività fallisce, è possibile pensare di riconvertirla nel settore? Sì, ma solo se ci saranno le condizioni di mercato per farlo. Dipenderà da tanti fattori, dalla location al passaggio, alla storicità del locale. Ristoranti che convertono ce ne sono, ma non è facile.
Sarà per forza una riconversione al ribasso? Purtroppo credo di sì. La realtà è super drammatica, non possiamo fare finta di niente. Se salta il banco, come si può pensare di
rifinanziare un’altra attività? E soprattutto, dove si prendono le competenze per giocare al rialzo?
C’è il rischio che a chiudere saranno soprattutto i ristoranti della cosiddetta “fascia intermedia”? Quel tipo di ristorazione sarà senz’altro quella che soffrirà di più. In molti casi questi
ristoranti di prossimità, spesso a gestione familiare, hanno innanzitutto un problema identitario, dopodiché non hanno la forza di riorganizzarsi. Chi, oggi, aspetta di vedere come va a finire la pandemia per capire come riorganizzarsi, è già a un passo dalla chiusura. Questo è il momento della pianificazione.
Come si fa, in un momento di incertezza come questo? Si può partire dalla
riorganizzazione della propria attività, dal back office, dalla gestione del magazzino, dall’offerta.
In altre parole, una rivoluzione. Tuttavia l’impressione è che siamo ancora lontani dalla fine. Se entro
Pasqua si riparte, vale quello che ci siamo appena detti ma se, come ho sentito, si ipotizza una chiusura serale dei locali proprio fino a Pasqua, sarebbe veramente un disastro. Per quanto possano avere una proposta interessante di delivery, tanti ristoranti non riusciranno a resistere.