Accade a Rimini. Il ristorante Ghetto Quarantesea a Rivabella ha dovuto chiudere, così ha deciso il titolare, perché uno dei dipendenti del ristorante è risultato positivo al Covid. Il commento del patron Paolo Gabriele è stato chiaro e deciso: «Chiudo il locale fino a quando potremo riaprire in piena sicurezza, senza rischi per il personale e per i clienti», poi ha continuato, dicendo che non è stata una decisione facile, ma «inevitabile, non si poteva far finta di nulla. Dovevamo prendere da subito le dovute precauzioni».
Anche solo per una piccola disattenzione, l'attività rischia una chiusura di almeno 2 settimane
Questo episodio romagnolo deve far riflettere.
I pareri discordanti degli esperti non aiutano. C'è chi parla di un virus ancora «vivo e vegeto» (questo il commento della Fondazione Gimbe), che «c'è ancora» (come ha detto
Andrea Crisanti dal Veneto); chi invece dice che è clinicamente morto, come
Alberto Zangrillo del San Raffaele di Milano. E l'opinione pubblica viene influenzata.
Non aiuta nemmeno la politica, che in svariati casi ha sfruttato il malumore degli italiani - che ancora devono seguire determinate regole - per negare l'importanza delle precauzioni anti-covid con l'arrivo dell'estate.
Inevitabilmente si crea confusione, inevitabilmente - quindi - sono in tanti a non rispettare le regole per evitare che il contagio riparta.
D'altra parte, dicevamo, casi come questo fanno riflettere. Per una piccola disattenzione un'intera attività ha dovuto chiudere nuovamente (temporaneamente) i battenti. E questo è grave, specialmente alla luce dei dati forniti recentemente da Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi, secondo cui,
a 2 mesi dalla riapertura dopo il lockdown, i fatturati di bar e ristoranti sono ancora in calo del 40% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; inoltre cala la percentuale (dal 22% al 18%) di chi valuta in maniera positiva l'andamento della sua attività dopo la riapertura.
Paolo Gabriele
La ripresa per queste attività è quindi già difficile. I pranzi di lavoro sono calati vertigginosamente (causa anche lo smart working) e i buoni pasto rischiano l'estinzione;
le assunzioni sono crollate già solo nel mese di aprile (-83%) e tanti stagionali hanno perso il posto.
Si capisce quindi quanto sia fondamentale prestare attenzione ai controlli, come la misurazione della temperatura, e alle precauzioni, come mascherine e guanti, che nei locali non devono mancare.
Tornando al caso di Rimini. Ricostruiamo la vicenda: «Martedì uno dei nostri 13 dipendenti, un lavapiatti di nazionalità pakistana, ci dice che non sta bene e si sente la febbre. Gli abbiamo detto di andare subito a casa e di farsi controllare». Il dipendente ha accusato febbre alta, fino a 39, e ha deciso così di farsi visitare dal medico, che gli consiglia subito di fare un tampone. Esame a cui viene sottoposto in pochi giorni.
«Giovedì sera (30 luglio) riceviamo la comunicazione che conferma che lui è positivo, e che anche noi ci dobbiamo sottoporre al tampone e restare in isolamento fino a quando non avremo la certezza di non aver contratto il virus». E anche se i primi tamponi sui dipendenti daranno esito negativo, «dovremo attendere il secondo tampone per essere sicuri».
Quindi? Tutti i dipendenti in quarantena per due settimane. «Non mi è rimasto altro da fare che chiudere il locale. Era impossibile tenerlo aperto reclutando altro personale». Il danno economico «è ingente - prosegue Paolo Gabriele - Avevamo in programma tante serate importanti e siamo nel pieno della stagione estiva.
Quello che perdiamo in queste due settimane non lo recupereremo più».
Il ristoratore trapela rabbia: «Tutto questo si poteva evitare - conclude - si è scoperto che il mio dipendente pakistano abita insieme a uno dei connazionali coinvolti nel focolaio la scorsa settimana». Il lavapiatti del ristorante, che è stato ricoverato, non risultava residente nella stessa palazzina del coinquilino, per questo non era stato sottoposto a quarantena: «
Se lui avesse avuto solo più attenzione tutto questo non sarebbe accaduto».