Oggi la morte e il contagio da coronavirus sono arrivati in casa e tutto ha preso dei contorni diversi. Alt: eravamo in cinque e siamo ancora in cinque, nessuno tra parenti ed amici stretti è venuto a mancare. Tuttavia la notizia di un cugino di mia madre che ha contratto il virus ha comunque mandato in una condizione di panico più concreta e meno idealizzata. Sta bene, è a casa e i sintomi non stanno peggiorando, ma sentirsi dire « ho il coronavirus » al telefono da una voce che conosci bene fa sempre un certo effetto. Le sensazioni hanno una dimensione, le parole hanno un nome, un cognome, una forma, uno spazio ed un tempo.

Figuriamoci la morte di una persona che si conosce. Ecco, la morte è entrata nella nostra casa attraverso la voce di un ex collega di mio padre che lo ha informato del decesso di una loro storica collega, all’ospedale di Alzano dove loro hanno lavorato per 30 anni fianco a fianco. Ho visto mio padre andare in confusione come non gli era mai successo, un po’ per carattere un po’ per la sua formazione da medico (chissà quante deve averne viste). Eppure la morte da coronavirus sta sembrando diversa dalle altre, come se improvvisamente un corpo estraneo alle nostre conoscenze si fosse impadronito del nostro mondo e stesse scegliendo a sua discrezione chi portarsi via e chi no, in un blitz che speriamo di placare il prima possibile.
Ho visto mio padre iniziare a farmi domande a raffica. A me, a me che che dai medici dovrei prendere notizie per divulgarle non darle ai medici per tranquillizzarli. Della sua confusione, sgomento, incredulità, mi ha colpito la totale assenza di difese, di spiegazioni, di capacità di aggrapparsi ad una razionalità medico-scientifica che ha cercato sempre di trasmettermi. E questo mi ha fatto pensare. Mi ha fatto pensare alla debolezza della scienza di fronte a certi fenomeni (giustificata perchè i medici per primi sanno che la medicina non è una scienza esatta) e alla particolare incapacità della medicina di darsi spiegazioni certe di fronte a ciò che sta accadendo.
Mi ha fatto pensare il suo preoccuparsi di trovare motivazioni, cause, conseguenze da « popolare » e non da medico, di brancolare in un buio che fa paura a tutti, in una stanza vuota nella quale non siamo ancora riusciti a trovare l’interruttore della luce. Mio padre ha rischiato di subire un colpo da ko quando, a poche ore di distanza, ha ricevuto un’altra telefonata di quelle che capisci subito che cosa ti vogliano dire dal suono del telefono, che è sempre lo stesso eppure in quel momento percepisci che non sia lo stesso. La voce dall’altra parte della « cornetta » lo ha informato del fatto che un suo amico storico era appena morto, di coronavirus. Si è lasciato andare sul divano tra l’incredulo e il rabbioso. Ma non è passata nemmeno mezzora che la stessa voce lo ha richiamato per dirgli che era tutto un errore, che quell’amico era ancora vivo, che era ricoverato, ma vivo. Il cocktail di psicosi e social fa circolare notizie assurde che altro non fanno che abbassare le nostre difese immunitarie.
Oggi la morte da coronavirus è entrata in casa e forse la percezione della nostra quarantena cambierà. Mio padre si è messo a letto ed è convinto di avere il coronavirus, Lui che dal letto ci ha sempre tirati fuori quando ci rintanavamo per due linee di febbre, ha avuto il suo giorno « no », quello che a tutti starà capitando. Ma se molla la mentalità di un medico, fa più effetto.
Andrà tutto bene, ma nel frattempo c’è molto che sta andando male.
Nelle puntate precedenti:
Cronache da ghetto
La fortuna di avere un cane
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Noi, come la Nazionale del 2006
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Mia madre sperimenta il mutismo
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Smart working e faccende di casa