Esiste in questo momento di zone rosse, restrizioni e lockdown all’italiana qualcosa di più lontano delle elezioni Usa nella mente di un lavoratore della filiera agroalimentare? Eppure non dovrebbe essere così, ampliando l’orizzonte. Perché anche il nostro orticello può beneficiare della defenestrazione di Donald Trump dalla Casa bianca. Almeno in termini commerciali.
Dal 2016 Trump è un freno per la crescita globale
Secondo gli analisti, grazie alla vittoria del candidato democratico Joe Biden le relazioni internazionali degli Stati Uniti dovrebbero essere più distese. A partire dall’addio a quella spirale fatta di dazi e ritorsioni che ha rappresentato dal 2016 un grosso freno per la crescita globale.
Senza la guerra commerciale trumpiana riparte l'export dei nostri prodotti?
Biden pronto a rientrare anche negli accordi sul clima
Non solo. Biden il 5 novembre si è già impegnato, quando la vittoria non era ancora ufficiale, a rientrare subito nell’accordo di Parigi sul clima nel primo giorno della sua presidenza. Gli Stati Uniti ne erano usciti formalmente il 4 novembre, dopo la disdetta decisa dal tycoon. E ora il democratico ha twittato: «L’amministrazione Trump ha ufficialmente abbandonato l’accordo di Parigi sul clima. Un’amministrazione Biden vi rientrerà in esattamente 77 giorni», cioè nei tempi tecnici per riattivare l’intesa.
Riscaldamento globale e siccità uccidono il nostro agroalimentare
Non serve essere degli ecologisti incalliti come la svedese Greta Thunberg per capire che delegittimare la lotta contro il riscaldamento globale, arrivando persino a negarlo, ha effetti negativi su tutto il mondo, Italia compresa. La Coldiretti in passato ha stimato che inverni "bollenti" senza piogge, come accadde nel 2016, rischiano di presentare conti salati da oltre 1 miliardo sulle tavole degli italiani, per colpa dell’effetto-siccità che colpisce il Made in Italy agroalimentare. Ancora convinti che fingere che il global warming non esista sia un buona idea?
Con Biden gli Usa rientrano negli accordi di Parigi sul clima
Quello che ci si aspetta in Europa è dunque una de-escalation. L’Italia durante l'amministrazione Trump ne aveva risentito direttamente, con gli aumenti tariffari del 25% applicati sull’export: i flussi verso l'America dei prodotti Made in Italy a fine 2019 erano praticamente fermi (+0,6%), quando invece nei primi nove mesi di quell'anno la crescita era stata del 14,1%. Gli ultimi dazi, datati 2020, alla fine invece erano stati rimangiati da Trump, che ha risparmiato vino, olio e pasta.
Le vendite del vino italiano sperano nella ripresa
Ma nonostante questo le vendite di vino italiano nel mondo, per fare un esempio, sono calate del 4% durante il disastrato 2020: una storica inversione di tendenza, mai accaduta negli ultimi 30 anni. Soprattutto per colpa del coronavirus. Ecco perché nuove imposte trumpiane avrebbero rappresentato una mazzata fatale.
Gli Stati Uniti del resto sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore. Gli americani apprezzano soprattutto Prosecco, Pinot grigio, Lambrusco e Chianti. Forse dunque un brindisi a Biden andrebbe fatto, nella speranza che poi i suoi connazionali tornino ad alzare con frequenza i “nostri” calici.
Senza più Trump è destinata a finire la guerra commerciale iniziata dagli Stati Uniti
La black list di Donald e il danno di un miliardo per l'Italia
A fine 2019, quando la pandemia non era ancora in cima alle nostre preoccupazioni, la tassa aggiuntiva voluta da The Donald sui nostri prodotti aveva affossato anche l’export di liquori, amari, aperitivi, che rappresentavano il 35% dei beni colpiti, oltre a quello dei formaggi, specialmente Parmigiano Reggiano e Grana Padano (il 48% dei prodotti interessati dalle misure). Tutti finiti senza scampo nella black list. Il salasso calcolato per l’Italia si aggirava attorno al miliardo di euro.
Sui mercati la soia sta già schizzando ai massimi
Adesso finalmente le cose cambieranno? I mercati hanno già dato le prime risposte. In ottica americana, ma anche indirettamente nei confronti della Cina. Le quotazioni della soia già il 5 novembre sono schizzate ai massimi da quattro anni, proprio per la prospettiva di un miglioramento dei rapporti commerciali tra gli Usa e il Dragone, che è il principale acquirente mondiale di questa componente chiave dell’alimentazione degli animali negli allevamenti.
Un’analisi della Coldiretti sulla base dei listini per le consegne a gennaio 2021 del Chicago Board of Trade, la piazza di riferimento mondiale della contrattazione dei prodotti agricoli, ha sottolineato come il trend sia quello di scommette sulla ripresa delle relazioni commerciali con il gigante asiatico, dopo una lungo braccio di ferro che ha portato alla guerra dei dazi.
Joe Biden
Gli Stati Uniti si contendono con il Brasile il primato globale nei raccolti di soia, seguiti sul podio dall’Argentina per un totale dell’80% a livello mondiale. Ma anche l’Italia ha uno sguardo particolarmente interessato: il nostro Paese è il primo produttore europeo con circa il 50% della soia coltivata, ma è comunque deficitario e deve importare dall’estero. Ora l’effetto-Biden e il possibile evolversi delle relazioni Usa-Cina sono destinati a modificare la domanda mondiale di soia con un impatto che riguarda direttamente pure noi.
Made in Italy in ripartenza, ma occhio al Made in America...
Però prima che il Made in Italy festeggi troppo presto, bisogna considerare anche il “Made in America” di Biden. Cioè, come ha ricordato Il Sole 24 Ore, il programma democratico che non prevede la firma di nuovi accordi commerciali fino a quando saranno stati fatti importanti investimenti negli Stati Uniti, «per i nostri lavoratori e le nostre comunità», aveva spiegato prima delle elezioni il futuro inquilino della Casa bianca. Non siamo ai livelli dell’America first di Donald, ma insomma meglio essere prudenti. Quantomeno, per molte eccellenze italiane scomparirebbe la spada di Damocle delle sanzioni. E passata la doppia tempesta, quella pandemica e quella trumpiana, non resta che sperare nel grande rimbalzo.