Brutte notizie per i pensionati. Nel 2021 infatti gli assegni previdenziali non aumenteranno; a decretarlo è il quadro che, dopo il decreto firmato a due mani dai ministri dell’Economia e del Lavoro e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, viene delineato da laleggepertutti.it. «Gli assegni previdenziali del 2021 resteranno intatti, cioè le pensioni non aumenteranno il prossimo anno».
Nessun aumento per le pensioni
Tutta colpa dell'inflazioneLa situazione è riconducibile all'
inflazione. Secondo l’
Istat, infatti, la variazione dell’indice di riferimento per il 2020 rispetto al 2019 registra un leggero
calo dello 0,3%, indipendentemente da quello che succederà nell’ultimo
trimestre di quest’anno.
Poiché la legge prevede che l’adeguamento degli importi delle pensioni non possa essere negativo, quel leggero calo viene arrotondato e fissato a
zero. Insomma, l’assegno non diminuisce, ma nemmeno aumenta come in molti si aspettavano.
La piccola nota positiva è quella relativa a questo
blocco della rivalutazione; in un primo momento il testo della legge di bilancio prevedeva lo
stop almeno fino al 2023, ma i sindacati sono intervenuti e sono riusciti a eliminare questa aggiunta.
Minima variazione solo nel mese di gennaioUna piccolissima
variazione dovrebbe essere riscontrata solo nella pensione di
gennaio. I dati dicono che la variazione applicata in via provvisoria nel 2020 è stata dello 0,4% rispetto all’anno precedente e che il valore definitivo è di +0,5%.
Significa che a gennaio, secondo
laleggepertutti.it, verrà riconosciuto uno 0,1% in più rispetto agli importi erogati durante il 2020. Praticamente briciole che creeranno qualche grattacapo economico anche ai pensionati.
Ape sociale prorogata e via libera all'Opzione donnaNel pacchetto previdenziale della
manovra 2021, in ogni caso, sono previste, come era stato già annunciato, la proroga dell’
Ape sociale (dedicato alle fasce più deboli), dell’
Opzione donna e l’introduzione di modalità di calcolo per il
part time verticale ciclico. Nessuna straordinaria riforma, al momento, nonostante sul tavolo ci fossero questioni anche molto calde.
Nessuna riforma particolare, restano sul tavolo due ipotesiDue erano ipotesi sul campo. La prima consentirebbe ad alcune categorie di
lavoratori, a cominciare da quelli che svolgono attività
gravose o usuranti, di andare in pensione già a 62 o 63 anni con un’anzianità contributiva di 36 o 37 anni senza troppe penalizzazioni. Questi
lavoratori potrebbero sfruttare il canale alternativo dell’Ape sociale in versione potenziata e strutturale.
La seconda ipotesi è quella che fisserebbe la soglia minima di uscita a
64 anni con 37 di
contributi per tutti gli altri lavoratori, compresi dunque i ristoratori, i baristi e i professionisti dell'horeca. Ci sarebbero, comunque, delle penalità per ogni anno di anticipo rispetto al limite dei 67 anni della pensione di vecchiaia. Ipotesi non del tutto sgradita ai sindacati per i quali, comunque, la priorità resta l’uscita garantita per tutti alla maturazione dei
41 anni di contribuzione.