La questione è delicata e complessa: al centro ci sono le concessioni degli stabilimenti balneari, ovvero i permessi che i gestori degli stabilimenti ottengono dallo Stato per poter occupare porzioni di spiaggia e sfruttarle dal punto di vista economico e commerciale.
Gli stabilimenti balneari tremano dopo la sentenza della Cassazione
In Italia se n’è tornato a parlare dopo l’approvazione di un emendamento al “
Decreto Rilancio” che ha rafforzato la proroga al 2033 della messa a gara delle concessioni, ritenute da molti ritenute particolarmente sfavorevoli per lo Stato. Nonostante le leggi europee dal 2006 ne imporrebbero la messa a gara, in Italia sono state prorogate per anni alle stesse famiglie e aziende, senza la possibilità di ridiscuterne i canoni.
La “
direttiva Bolkestein” approvata dalla Commissione Europea aveva lo scopo di rendere più equo il mercato dell’Unione Europea, stabiliva tra le altre cose che servizi e concessioni pubbliche dovessero essere affidati ai privati tramite gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale, così da ottenere per lo Stato maggiori guadagni e per i cittadini migliori servizi, senza creare rendite di posizione. Uno degli effetti della direttiva sarebbe quindi stato la messa a gara delle concessioni demaniali.
Da quando è stata approvata la Bolkestein, tuttavia,
l’Italia ha sempre trovato dei modi per non applicarla, sostenendo che i suoi effetti fossero troppo ampi e che nel caso delle concessioni balneari avrebbero danneggiato ingiustamente molte imprese, favorendo grandi gruppi internazionali a scapito di piccole aziende a gestione familiare. Dopo che per anni gli effetti della direttiva erano stati prorogati a breve termine, nel 2018 era stata decisa
una proroga di 15 anni, fino al 2033, con la motivazione di dare maggiore stabilità e sicurezza alle imprese del settore.
La Cassazione si è pronunciata sulle concessioni balnearie
Ora la discussione si arricchisce di un nuovo tassello: con una
sentenza depositata nelle scorse ore, la
Corte di Cassazione ha deciso che
una concessione in scadenza il 31 dicembre 2007 - non potendo essere prorogata automaticamente per effetto dell'immediata applicazione della direttiva Bolkstein - è da considerare decaduta. In altre parole, al momento dell'entrata in vigore del decreto legge n.194 del 2009 non esisteva più e come tale non poteva rientrare nel perimetro di applicazione della proroga prima a1 31 dicembre 2015 e poi al 31 dicembre 2020.
La sentenza ha così accolto il ricorso della procura contro l'ordinanza del riesame con la quale era stato annullato il sequestro di uno stabilimento balneare disposto dal Gip. Il tribunale aveva escluso l'esistenza dei presupposti per applicare la misura cautelare, sostenendo che la concessione rilasciata nel 2002 non fosse scaduta a fine 2007 per effetto di una sorta di "rinnovo automatico" oggetto di una serie di interventi normativi. Per la Cassazione, che compie un'ampia ricostruzione della normativa applicabile nella materia, la conclusione è opposta.
La Corte, infatti, osserva che il riesame ha sbagliato nell'interpretare la portata del decreto legge n.113 del 2016, con il quale il legislatore italiano, preso atto della pronuncia della Corte Ue del 14 luglio 2016, critica sulla prassi italiana del rinnovo automatico delle concessioni ma con alcune aperture, disponeva comunque la conservazione di validità dei rapporti già instaurati e pendenti sulla base del decreto legge n.194 del 2009.
Insomma, un
intrigo che non trova d’accordo neppure i diversi gradi di giudizio della nostra
magistratura, e che ora la Suprema Corte prova a sbrogliare, allineandosi di fatto alla direttiva europea. Con il rischio che anche altre concessioni in futuro possano essere considerate fuorilegge.