Mentre la politica italiana è in affanno nel cercare di creare un Governo, Donald Trump sta avviando una strategia protezionistica che rischia di mettere nei guai le eccellenze italiane enogastronomiche, ma non solo.
L’attenzione è attualmente tutta concentrata sul difficile rebus di fare un Governo a fronte della mancanza di una maggioranza chiara e della oggettiva difficoltà (visti gli impegni presi in campagna elettorale) di sommare posizioni incompatibili fra chi ha preso più voti ma non ha certo vinto: sovranisti e liberisti la destra, statalisti e per un nuovo welfare i 5 stelle. Fuori gioco e al più ricercati come portatori d’acqua il Pd.
Matteo Salvini, Donald Trump e Luigi Di Maio
Eppure, mai come in questo momento i politici ed i partiti (anche M5S ormai lo sta diventando), dovrebbero aprire gli occhi e guardare a cosa sta succedendo fuori dalla porta di casa.
Al di là che ci sia un Governo nel pieno esercizio delle sue funzioni (in mezza Europa hanno impiegato mesi per farne uno, dalla Spagna dove l’esecutivo è di minoranza, alla Germania), l’Italia rischia di pagare un costo altissimo per la bufera protezionistica che sta montando dopo le ultime
decisioni di Trump. L’Europa non può certo restare ferma e la prospettiva, dopo i dazi imposti sulla siderurgia (dove come italiani siamo i più penalizzati), è quella di una guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico che potrebbe cambiare in breve tempo gli equilibri geopolitici a cui siamo abituati.
Le previsioni sono nere: dopo i cali di esportazioni previsti per la Brexit (quasi 3 miliardi di euro in controvalore per il solo food), l’Italia rischierebbe di perdere sul campo gran parte dei 6 miliardi di euro di export alimentare verso gli Usa. Se poi consideriamo che a rischio ci sarebbero anche 25 miliardi legati alla moda, e poco meno per tecnologie e impianti, c’è da preoccuparsi per il silenzio dei politici.
Mentre l’Europa con difficoltà cerca di reagire al protezionismo di Washington (che potrebbe mettere a rischio anche la Nato), noi siamo in una palude da cui nella migliore delle ipotesi potremo uscire solo fra qualche mese. Ma intanto Macron e la Merkel avranno già deciso i nuovi assetti in quell’Unione Europea a cui guardano con sospetto Lega e 5 stelle che, sommati, rappresentano almeno metà di chi ha votato nei giorni scorsi.
Oggi più che mai servirebbe una chiarezza su cosa l’Italia vuole fare in questo contesto. Anche perché rinunciare agli sforzi che abbiano fatto negli ultimi anni per valorizzare, sia pure malamente, le nostre produzioni agroalimentari sarebbe devastante. Significherebbe dover dire addio ad una delle poche opzioni su cui possiamo puntare per fare crescere il nostro Pil ed offrire nuove opportunità di lavoro ai giovani. Da tempo sosteniamo che non è solo sulle esportazioni che si può costruire una crescita della filiera agroalimentare, ma certo non possiamo permettere che si metta a rischio quanto fatto finora dalle nostre aziende. Non poter vendere Grana Padano e Parmigiano Reggiano negli Usa vorrebbe dire colpire al cuore anche la nostra immagine e il lavoro di chi promuove nel mondo la cucina italiana.
La politica estera non riguarda solo i migranti (tema pure importante). Da Di Maio o Salvini ci attendiamo posizioni chiare anche su questo scenario di guerra commerciale, altrimenti di reddito di cittadinanza o flat tax non si potrà nemmeno parlare. Per i sovranisti questo è un banco di prova dove la via d’uscita non è certo quello della semplice revoca dell’embargo verso la Russia per cercare nuovi (limitati) sbocchi. La partita si gioca con Trump, il leader di questo schieramento nazionalista di destra che potrebbe scegliere fra Paesi amici e no.