L’Italia continua a “tenere d’occhio” Airbnb e pensa, tramite l’Agenzia delle Entrate, a norme sempre più severe che possano regolamentare gli affitti Airbnb. Al centro della questione ci sono i “gestori”, che amministrano decine se non centinaia di appartamenti per “hobby”, celando però un’attività professionale. Chi offre un alloggio online dovrà dichiarare al portale se opera in autonomia o per conto di altri proprietari. Nel primo caso subirà lui la ritenuta del 21%, nel secondo caso Airbnb gli verserà l’importo lordo, e sarà poi il “gestore” a fare da sostituto di imposta, applicando la trattenuta sui corrispettivi girati ai proprietari.
Vista così sembra un buon punto di partenza, ma qualche lacuna rimane. Ai gestori infatti si chiede solo un’autocertificazione. E c’è il grosso problema dei portali e delle agenzie che non intermediano gli affitti, pagati direttamente dai clienti ai proprietari. In questo caso il versamento delle imposte resta affidato alla buona volontà. L’obiettivo del Governo è quello di ricavare 80 milioni quest’anno e 120 l’anno prossimo, esattamente quelli che mancano all’appello. Poi si passerà alla questione degli utili di Airbnb, che non riguarda solo l’Italia. Nel 2016, in Francia, ha pagato 92mila euro di imposte: a Parigi sono furibondi, e a fine agosto la Francia lancerà un’iniziativa comune con la Germania. Il 15 settembre la tassazione dei redditi di Airbnb e degli altri portali online sarà poi al centro di un vertice informale a Tallinn dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle banche centrali.
La stretta “italiana” arriva dopo la decisione di introdurre la cedolare secca del 21% che sarà trattenuta solo da settembre, ma dal 12 giugno Airbnb e le agenzie sono comunque tenute a comunicare al Fisco tutte le operazioni concluse. L’Agenzia delle Entrate conosce quei dati, che finiranno anche nel 730 precompilato 2018 degli interessati, e potrà fare controlli e incroci. Non resta che pagare la cedolare, o versare l’Irpef sul reddito da locazione, un’opzione che resta praticabile.
Nel 2015, ultimo dato noto, Airbnb Italia ha pagato appena 45mila euro di tasse. Nulla se si pensa al suo giro d’affari in Italia, uno dei mercati turistici più attrattivi, il terzo per i suoi clienti, dopo Usa e Francia. Nel 2016 l’attività di Airbnb in Italia è cresciuta di un terzo: ha ospitato le offerte di 121mila proprietari, e sulla sua piattaforma sono stati conclusi 5,6 milioni di contratti.
Agli “host”, cioè chi affitta, Airbnb ha versato l’anno scorso 621 milioni di euro, che con il nuovo regime della cedolare avrebbero generato, perché quasi nessuno finora ha pagato, un gettito di circa 120 milioni di euro. Sugli affari che intermedia Airbnb applica una commissione di circa il 10-12%: una settantina di milioni volati direttamente verso l’Irlanda, dove sono tassati a livello minimo. Le imposte versate in Italia dal colosso Usa riguardano solo le attività della Srl italiana, che occupa pochissime persone nel marketing e nella pubblicità.