Hashtag a manetta, superficialità a quintali, inconsapevolezza e appiattimento della inesistente narrazione. Il food maltrattato, dalle origini ai giorni nostri. Le parole tradizione, territorio, passione, sacrificio e ricerca sono termini sconosciuti a queste mandrie di improvvisati storyteller che girano, singoli o in coppia, l'Italia, accolti e spesati da aziende e locali che mettono la propria storia familiare e imprenditoriale in mano a improbabili uffici stampa e agenzie di comunicazione pronte a offrire ad autodefinitisi blogger le sorti della propria visibilità sui social.
Una situazione che, nata nella moda, ora è debordata nel food, garantendo poche occasioni di serietà e professionalità, pure presenti fra i blogger… Va beh, dirà qualcuno, si parla di social, mica dei giornaloni di carta stampata. Attenzione però: oggi i social macinano più lettori e più visibilità di via Solferino. Come dire: la realtà andrebbe considerata meglio. E soprattutto meglio utilizzata. Sui social network, infatti, oltre alla volgarizzazione "bloggerina" esistono fior di giornalisti, narratori e storyteller veri, capaci di attirare davvero l'attenzione dei followers, o per meglio definirli “lettori”.
Il giornalismo che da tempo racconta il meraviglioso mondo dell'agroalimentare, dell'enogastronomia, della cultura dei luoghi e delle loro tradizioni, esiste ancora, eccome. Il problema è che tutto si mischia in una incontrollata babele del web. Imparate, cari responsabili della comunicazione aziendale, a riconoscere il cioccolato da altre materie, a scegliere da chi farvi rappresentare, a chi affidare la responsabilità di conoscere, sperimentare e poi raccontare. La mediazione giornalistica non riguarda solo gli esteri e la politica, ma anche il food & wine e, per capire e riportare ai lettori, serve la passione, la fatica, la dedizione. Non solo una macchina fotografica e una ventina di hashtag.
Mettete sullo stesso van per la stampa tre giornalisti di esperienza e quattro blogger e avrete quattro post con hashtag #carino #photofoodtheday #foodlove ed altro e tre professionisti incazzati. Sono impopolare? Bene. Ma qualcuno deve alzare la voce e riconoscere ai Luigi Veronelli, ai Mario Soldati di ieri e ai giornalisti di oggi, ai Paolo Massobrio, che narra da decenni il meglio dell'eccellenza alimentare, ai Marco Mangiarotti, agli Andrea Grignaffini, ai Valerio M. Visintin, fini narratori di esperienze gastronomiche e agli Alberto Lupini, che ha fatto per l'agroalimentare italiano quanto Henry Ford per l'automobile, il merito di difendere il più grande tesoro italiano da coloro che la mattina postano (a pagamento…) una fetta di prosciutto e il pomeriggio un lucidalabbra al mirtillo.