Street food e ambulanti stanno prendendo il posto di librerie, botteghe artigianali, boutique d'abbigliamento e spuntano sempre di più al posto di librerie e boutique. È la fotografia dei centri storici delle nostre città scattata da uno studio su 40 Comuni di Confcommercio che descrive questo tumultuoso processo di “rarefazione” a cui è sottoposto il commercio tradizionale, stretto tra la crisi, imposte e l’avvento degli acquisti digitali.

Una profonda transizione che a lungo rischia di rendere meno attraenti, anche per i turisti, i luoghi storici dei nostri centri abitati: «Senza i negozi, nelle città non c’è luce, non c’è bellezza, non c’è socialità e non c’è sicurezza», sottolinea Carlo Sangalli, che aggiunge rivolgendosi al Governo l’utilità di favorire il ripopolamento commerciale delle città attraverso una efficace politica di agevolazioni fiscali. «Di questo passo - prosegue Sangalli - si riduce la qualità della vita dei residenti, senza esercizi commerciali non c'è sicurezza e cala l'interesse turistico delle città».
Dal 2008 al 2016 in 40 Comuni di medie dimensioni le attività commerciali al dettaglio con sede fissa nel centro storico cittadino sono calate infatti del 14,9% (nelle periferie il calo è stato del 12,4%), mentre quelle ambulanti sono aumentate del 36,3% (fuori dal centro del 5,1%). Anche alberghi, bar e ristoranti sono aumentati del 10,2%. Ecco i dati contenuti nel rapporto "Demografia d’impresa nei centri storici italiani" di Confcommercio.
Nel rapporto si legge come la riduzione dei negozi sia una perdita secca, non compensata da altre aperture, mentre la crescita impetuosa degli ambulanti, seppur positiva perché salva il livello di servizio nei centri storici, ha standard inferiori ai negozi tradizionali. «Un'evoluzione non governata» afferma Mariano Bella, direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio. I numeri parlano chiaro: a resistere e crescere nei centri storici delle città di provincia italiane sono soprattutto alberghi, bar e ristoranti (in aumento negli ultimi otto anni del 10,9% in centro e del 9,9% in periferia ), insieme ai negozi di computer e telefonia (+13,4% in centro e -3,3% in periferia) e alle farmacie (+5,8% in centro, +14,4% in periferia).

Nello stesso periodo, ossia dal 2008 al 2016, calano invece notevolmente i negozi di libri e giocattoli (-23,4% nei centri storici e -11,7% nelle periferie) e quelli di vestiario e tessili (-16,4% in centro e -14,4% in periferia)". Al Sud quello degli ambulanti è un vero e proprio boom, con una crescita nei centri storici delle città di provincia dell’85,6% e del 25,3% nelle periferie, dal 2008 al 2016. Proprio al Sud si registra il calo maggiore di negozi con sede fissa sia nei centri storici che nelle periferie (-18,4% e -13,4%).
Più contenuto, ma non trascurabile, il fenomeno nel Nord-Ovest dove il commercio con sede fissa nei centri storici è in calo del 16,3% (del 14,3 nelle periferie), ma anche quello degli ambulanti cala del 10,7% nel centro città e del 18,7% nelle periferie. Se al Nord si evidenzia una crisi con razionalizzazione delle strutture commerciali, in Puglia, Sicilia e altre regioni del Sud c'è più disordine. «Un’evoluzione con opportunità disordinate - aggiunge Bella - e una crescita così esplosiva preoccupa, perché può nascondere effetti patologici di un fenomeno scarsamente governato».