Sono già migliaia gli agricoltori del Mezzogiorno giunti a Catania per difendere l’agricoltura Made in Italy che rischia di perdere prodotti simbolo, dalla arance ai mandarini, ma anche i pomodori, il grano e l’olio, sotto attacco da parte delle politiche comunitarie, delle distorsioni di mercato e delle agromafie. La mobilitazione prende il via nel giorno del via libera definitivo dell’Unione europea all’accordo che consente l’ingresso senza dazi di 35mila tonnellate di olio di oliva dalla Tunisia in più, che non aiuta i produttori tunisini, danneggia quelli italiani ed aumenta il rischio delle frodi a danno dei consumatori.
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Numerosi i trattori mobilitati e i cartelli che chiedono “subito l’etichettatura di origine degli alimenti”, ma denunciano anche che “chi attacca il Made in Italy attacca l’Italia”. Tra i manifestanti il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, e il ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti.
Sono stati anche allestiti stand per mostrare l’inganno del falso Made in Italy, per preparare la vera spremuta italiana e denunciare la strage delle arance ed anche una “collezione” dei più scandalosi prodotti agroalimentari con nomi che richiamano gli episodi, i luoghi e i personaggi delle mafie, che vengono sfruttati per fare business, dal caffè “mafiozzo” bulgaro alla “maffiasauce” belga.
«Dopo che nel 2015 in Italia sono aumentate del 481% le importazioni dell’olio di oliva della Tunisia per un totale di oltre 90 milioni di chili - sottolinea Roberto Moncalvo - è un errore l’accesso temporaneo supplementare sul mercato dell’Unione di 35mila tonnellate di olio d’oliva tunisino a dazio zero, per il 2016 e 2017».
Anche se sono rilevanti i miglioramenti apportati grazie all’azione del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina e degli Europarlamentari, il nuovo contingente agevolato, secondo la Coldiretti, va ad aggiungersi alle attuali 56.700 tonnellate a dazio zero già previste dall’accordo di associazione Ue-Tunisia, portando il totale degli arrivi “agevolati” annuale oltre quota 90mila tonnellate, praticamente tutto l’import in Italia dal Paese africano.
«Il rischio concreto - continua Moncalvo - in un anno importante per la ripresa dell’olivicoltura nazionale è il moltiplicarsi di frodi, con gli oli di oliva importati che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri, a danno dei produttori italiani e dei consumatori».
«Diventa dunque ancora più urgente - aggiunge il presidente di Coldiretti - arrivare all’attuazione completa delle norme già varate con la legge salva olio “Mongiello”, la n. 9 del 2013, dai controlli per la valutazione organolettica ai regimi di importazione per verificare la qualità merceologica dei prodotti in entrata».
Sotto accusa è la mancanza di trasparenza nonostante sia obbligatorio indicare per legge l’origine in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è però quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. I consumatori dovrebbero fare la spesa con la lente di ingrandimento per poter scegliere consapevolmente. In attesa che vengano strette le maglie larghe della legislazione per non cadere nella trappola del mercato.
Coldiretti consiglia di guardare con più attenzione le etichette ed acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica. L’olio di oliva è un settore strategico del Made in Italy con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni di ettari coltivati, con un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro e con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate.