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L’Italia non è (ancora) un paese per dealcolati

Al di là degli ostacoli normativi, che impediscono di denominare vino una bevanda senza alcol, la nicchia è ancora piccola e la filiera sta ancora esplorando l’evoluzione di questo segmento specifico . Positivo l'approccio di Hofstätter e Bosca, ma i grandi gruppi sono ancora riluttanti ad intraprendere la strada del no-alcol. Più positiva invece l'attenzione di distributori e piattaforme e-commerce

20 settembre 2023 | 05:00
L’Italia non è £$(ancora)$£ un paese per dealcolati
L’Italia non è £$(ancora)$£ un paese per dealcolati

L’Italia non è (ancora) un paese per dealcolati

Al di là degli ostacoli normativi, che impediscono di denominare vino una bevanda senza alcol, la nicchia è ancora piccola e la filiera sta ancora esplorando l’evoluzione di questo segmento specifico . Positivo l'approccio di Hofstätter e Bosca, ma i grandi gruppi sono ancora riluttanti ad intraprendere la strada del no-alcol. Più positiva invece l'attenzione di distributori e piattaforme e-commerce

20 settembre 2023 | 05:00
 

Sarà forse per non tradire una lunga storia d’amore o forse perché è possibile guidare senza rischi dopo un calice bevuto a cena, ma sembra che l’incontro tra i vini dealcolati e il mercato italiano debba aspettare. E non è solo una questione di normativa, dato che la legge oggi non permette la produzione di bevande che possono essere chiamati vino, ma sembra in realtà che l’interesse dei consumatori e di tutta la filiera sia piuttosto basso. Non mancano i pionieri, come Schenk o Hofstätter, ma anche i distributori che guardano alla nicchia. «Al momento però - per dirla con le parole di Paolo Bortolazzi, vicepresidente Ais Veneto - c’è curiosità, ma in termini di consumo “l’Italia sembra più sensibile alla birra zero-alcol che al vino».

Il successo del progetto Hofstätter per i dealcolati

La cantina altoatesina Hofstätter ha lanciato la sua prima bollicina senza alcol nella primavera del 2021 e nel 2022 il bianco fermo da Riesling. «Nel mercato - spiega Martin Foradori Hofstätter - sono presenti molti succhi d’uva con aggiunta di anidride carbonica, ma in questo caso si trattava di un vino dealcolato che nasce da un’apposita tecnica per mantenere intatti i delicati aromi della materia prima».

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Martin Foradori Hofstätter

La produzione, ça va sans dire, non è in Italia ed esce a marchio Steinbock. «Mio figlio in quel periodo studiava enologia e viticoltura in Germania - spiega l’imprenditore -. Grazie ad un collega di studi si è avvicinato al mondo dei vini dealcolati e ha condiviso con me la sua esperienza. I prodotti nascono da un’attenta selezione in vigna e poi in cantina. All’interno di uno speciale alambicco viene estratto delicatamente l’alcol contenuto nel vino. Alla fine del processo, si ottiene una bevanda con un contenuto alcolico inferiore a 0,25%. Chi mi conosce sa che non sono uno che insegue le mode ma non mi manca lo sguardo per guardare al mondo in cui viviamo e al futuro: oggi un insieme di persone che non possono o non vogliono bere alcolici sono alla ricerca di prodotti di alta qualità che permettano loro di poter condividere il piacere dei sentori che emergono dal calice e di non sentirsi esclusi durante un evento, un brindisi, un momento conviviale».

L’Italia non è £$(ancora)$£ un paese per dealcolati

Steinbock sparkling

La reazione del mercato? Ottima, anche se di nicchia. «Il progetto - spiega - è stato accolto con favore dagli addetti ai lavori e dal mondo della mixology. L’hotellerie di alto posizionamento, anche per effetto della richiesta da parte dei molti ospiti stranieri, è stato il segmento di mercato da subito più interessato. Il ristoratore italiano invece si è aperto poco a poco, iniziando ad apprezzarne le potenzialità grazie a un attento lavoro di comunicazione e di formazione da parte della nostra azienda. Oggi anche la grande distribuzione di alto posizionamento si è aperta a questo tipo di prodotti». Le vendite sono in crescita e Hofstatter presidia quasi tutti i mercati nei quali è già presente con i vini.

Vini no alcol, Bosca punta sui giovani globali

Anche un’azienda storica come Bosca ha scelto di puntare sul no-alcol. Le bollicine Toselli sono ottenute partendo dalla pigiatura soffice dell’uva mantenendo il mosto a basse temperature, attuando un processo di micro filtrazioni per impedirne la fermentazione. «Questo processo, senza aggiunta di zucchero, garantisce un prodotto sempre fresco e molto naturale - rimarca Polina Bosca, cmo dell’azienda di famiglia - . Per contro, la maggior parte dei concorrenti produce prodotti no alcol rimuovendo l’alcol dal vino e pastorizzandolo».

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Toselli bollicine spumanti non alcoliche

Se a livello globale il segmento è globalmente in forte ascesa, «soprattutto in nord Europa e America si tratta di un trend consolidato - aggiunge Bosca - guidato dalla generazione Z e dalle fasce più giovani tra i Millennials che ricercano prodotti senz’alcol o a bassa gradazione alcolica per ragioni salutistiche, ma anche per godersi una buona bevuta senza l’euforia dell’alcol e incorrere in sanzioni quando devono guidare. Nei paesi musulmani si passa invece a motivazioni di carattere legale e religioso che trova una collocazione ideale e pressoché obbligatoria a questo tipo di prodotto». Medio Oriente, Nigeria, Caraibi, Cina e tutta l’area Asean portano i migliori risultati per Bosca. «In Italia la situazione è diversa - precisa l’imprenditrice - in primis per ragioni culturali. Saranno necessari tempi più lunghi per vedere una buona penetrazione sul mercato e una domanda forte da parte dei consumatori»: e in attesa di quel momento, i prodotti Toselli funzionano per mocktail o per momenti specifici come colazione o merenda leggera.

I grandi gruppi sono riluttanti ad intraprendere la strada dei dealcolati

«Io non lo chiamo vino - ha dichiarato platealmente dal summit Pambianco-Pwc il ceo di Santa Margherita Stefano Marzotto - e non è possibile farlo in Italia, risultano un succo tratto dal frutto dell’uva. Sicuramente però si tratta di un trend con cui dovremo confrontarci e per questo stiamo lavorando alla sperimentazione di nuove soluzioni. Pur ritenendolo un paradosso, la nostra area ricerca sta lavorandoci. Oggi il mercato è ancora piccolo, ma sembra orientato ad una crescita annua a due cifre».

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Stefano Marzotto, ceo Gruppo Vinicolo Santa Margherita

Anche Argea - il gruppo vinicolo più pesante in Italia, con circa 450 milioni di fatturato - scalda i muscoli sui dealcolati, pur senza troppa convinzione. «Dobbiamo farci i conti - chiarisce il ceo Massimo Romani - perché si tratta di un mercato che oggi è dato vicino ai 2 miliardi di euro e che sembra proiettato a 5 miliardi nei prossimi 5 anni. È una nicchia con cui dobbiamo fare i conti nei prossimi anni». In realtà Argea ha già in portafoglio un prodotto no alcol, ma non è prodotto in Italia (essendo vietato) e viene distribuito solo all’estero. «Ha visto un’accoglienza molto positiva - conferma Romani - ma per il momento è un percorso non praticabile in Italia».

I vini dealcolati suscitano poco interesse nei distributori e nell’e-commerce

Sul fronte distributivo sembra che l’interesse per il segmento no alcol sia davvero scarso. Da Meregalli e Sagna al momento confermano di non avere referenze (ma ci pensano), mentre Luca Cuzziol ammette che l’attenzione sta crescendo, ma «dal mio punto di vista dovrebbe esser identificata come categoria differente da quella del vino». E in ogni caso il mercato sembra funzionare all’estero. Diverso l’approccio di Andrea Girardi di Proposta Vini. «Dal prossimo anno avremo In portafoglio diverse referenze dealcolate - annuncia - perché vogliamo servire anche quella nicchia di domanda, ma anche perché fa parte di una nostra visione di responsabilità sociale. L’alcol può rappresentare anche un problema e soprattutto noi riteniamo che si debba esser inclusivi». In realtà il distributore avrebbe voluto avere etichette già in catalogo quest’anno, «ma non era facile trovare prodotti che potessero soddisfare i nostri standard qualitativi ed etici, ma oggi sono molte le aziende che hanno iniziato a muoversi». La domanda è ancora limitata, ma l’importante è esserci.

Anche le piattaforme e-commerce del vino confermano la scarsa attenzione in ambito italiano per il prodotto dealcolato. «Non sono certamente al centro del nostro business - riferiscono da Tannico - tuttavia abbiamo qualche referenza per coprire anche se solo marginalmente questa fetta di mercato. Non riceviamo molte richieste da parte dei clienti e quindi non sentiamo l'esigenza di rimpolpare il portafoglio, restando fedeli alla nostra missione che è quella di accontentare principalmente i desideri dei winelover».

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Le referenze senza alcol di vino.com

Anche in Vino.com la presenza di referenze “virgin” è limitata, ma con una prospettiva evolutiva. «Non è questione di purismo - specifica Christian George Guiggiani, chief sales officer Vino.com - ma di semplice classificazione dei prodotti. Il dealcolato, zero alcool, o ancora alcohol-free è un prodotto nuovo, che si sta facendo largo sul mercato e che, però, non ha molto in comune con il vino che, invece, è indissolubilmente legato al territorio e vanta una tradizione millenaria che ha profondamente influenzato la nostra cultura. I dealcolati sono una bevanda gradevole, esteticamente simili al vino o ai superalcolici, rappresentano ancora una nicchia di mercato destinata a svilupparsi velocemente, in particolar modo nel nord Europa. Complici i temi legati alla salute, alle etichette e ai valori nutrizionali, l’interesse verso i dealcolati sta crescendo e, negli anni a venire, è plausibile prevedere un aumento del loro consumo, anche in Italia». Vino.com, attenta alle evoluzioni del mercato e alle richieste dei suoi clienti, «sta estendendo la gamma, testando i prodotti e selezionando quelli più interessanti per presentarli ai consumatori italiani e internazionali».

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Nettamente più aperto l’approccio in enoteca. «La domanda è naturalmente molto ridotta, ma esiste - ammette Emanuele Salmaso de La Moscheta di Padova -. Noi teniamo i vini dealcolati di Hofstätter e devo dire che, in particolare in Riesling, sono prodotti che richiamano l’origine. In realtà sono una valida alternativa per i tavoli o le compagnie in cui una persona astemia o una donna incinta non possano unirsi al brindisi. Non mancano i clienti che li comprano anche per il consumo domestico. Notiamo anche una occasionale attenzione da parte degli adolescenti, una sorta di avvicinamento alla cultura del vino e alla qualità con un approccio che guarda alla moderazione».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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