C’è chi dice no. E viaggia come un salmone, contro corrente nei confronti di quella ristorazione che ha un po’ perso il senso della misura. Una ristorazione aulica e autoreferenziale, dove gli chef si sono dimenticati di chiamarsi cuochi.
L’abuso dei social da parte dei clienti, le presenze in tv, l’ossessione delle guide e una sterminata pletora di cortigiani osannanti, che spesso non sa nemmeno come si tiene una forchetta, hanno creato una bolla che sta allontanando la ristorazione da quella che è la sua natura: la convivialità e il benessere che si trasmette attraverso il cibo.
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Il mondo della ristorazione deve trasmettere benessere non solo nel piatto
Detto a muso duro, la ricetta impiattata non è un sacramento e il cuoco non è un vescovo a cui si bacia l’anello. Rispetto a questa dimensione idolatra della ristorazione si è messa di traverso la "VI Cornice-Confraternita di golosi", fondata e guidata da Paolo Mandelli, che è un architetto, ma anche un appassionato gastronomo. Una persona che ama la convivialità, soprattutto quando combinata con la tavola. Da oltre un decennio è appassionato di vini naturali, quando nessuno, o quasi, sapeva dell’esistenza di questo mondo. Nel suo percorso di conoscenza e approfondimento ha incontrato Fabio Riccio, critico gastronomico ed esperto di vini naturali, che ha dato vita a “gastrodelirio.it”, sito che racconta di cibo e vino, punto di riferimento dell’enologia naturale in Italia.
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Il Manifesto di VI Cornice critica alcune tendenze in atto nella ristorazione
L'onda lunga dei buongustai si fa sentire
Assecondando le pulsioni per questa passione in bottiglia, Mandelli ha iniziato a divulgare il vino naturale ad amici e appassionati conosciuti di volta in volta. All’inizio un gruppo ristretto (dieci anni fa di vino naturale non ne parlava nessuno), una pattuglia di otto persone che invitava un produttore e organizzava un menu dedicato in un ristorante. Queste riunioni nel tempo hanno accolto sempre più buongustai. A tal punto che si è deciso di dar vita alla “VI Cornice” di cui Paolo Mandelli è Grande Maestro. «Oggi siamo un’ottantina – racconta – e ci ritroviamo una volta al mese a Monza ai tavoli del Ristorante del Centro di Eugenio Galbiati, il nostro campo base. In alternativa, la Confraternita si ritrova, sempre con un vigneron, in un locale di Milano».
![Paolo Mandelli Ristorazione narcisista e cucina estrema: parte la rivolta dei](/images/contenutiarticoli/Paolo_Mandelli.jpeg)
Paolo Mandelli
La dittatura del menu degustazione
Questo percorso enogastronomico ha portato Mandelli e i suoi confratelli a conoscere a fondo i cuochi e le loro proposte, il variegato universo della cucina, nel bene e nel male. Alcune tendenze, a dire il vero sempre più in atto, vengono vissute con disagio, se non con fastidio. «In molti casi – sottoliena Paolo Mandelli – l’alta cucina celebra una Messa invece di un momento conviviale. Una funzione di livello, intendiamoci, dove però è impossibile uscire dalla dittatura del menu degustazione. Il cuoco si fa sacerdote e gli ospiti sono i fedeli, ubbidienti e seduti in silenzio a tavola. Tra il divismo di alcuni top chef e i rigidissimi giovani colleghi in carriera si subisce una rappresentazione esagerata. Noi siamo gaudenti e vogliamo scegliere e godere dell’enogastronomia in libertà, magari, anche, sbagliando».
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Divertirsi a tavola è un imperativo
Mangiare bene, ma senz'anima non basta
Il concetto di fondo è che in molti ristoranti blasonati e stellati, pur mangiando bene e in alcuni casi anche benissimo, alla fine non ci si diverte più. Come si puntualizza nell’introduzione del Manifesto, “spendere cifre importanti, magari con l’obbligo di viaggio e pernottamento per mangiare certamente bene, ma senza anima e spesso in una atmosfera che ricorda il ricorrente format virato tutto sul chiaro, che sta tra il museale e l’ospedaliero, magari solo per fotografare un piatto da poi condividere non ci appartiene. Punto. Reclamiamo il diritto a godere a tavola del buon cibo di assoluta qualità, ma senza orpelli, perché tutto merita di essere raccontato, e perché, viste le tribolazioni del mondo contemporaneo, c’è più bisogno che mai di essere gaudenti per rendere la vita un po’ più vissuta e un po’ meno mestamente trascorsa”.
Questo stato di insofferenza non è stato represso, ma la sua elaborazione ha preso corpo e forma, quelli del Manifesto della VI Cornice. Il documento si articola in sei punti. Eccoli.
I sei punti del Manifesto
- Direttamente, dalle tavole senza tovagliato del basso impero delle cucine fino alle tavole più blasonate, passando per il ventre molle del provincialismo italiano, il gaudente cerca sempre di godersela tutta.
- Il gaudente è e deve essere tale anche a dispetto dello status sociale ed economico, perché, come nella Costituzione degli Stati Uniti è contemplato il diritto alla felicità per tutti i cittadini, anche il diritto a essere gaudente deve essere appannaggio di ogni classe sociale.
- Il gaudente reclama il diritto alla scarpetta e al leccarsi le dita.
- Il gaudente ribadisce a ogni occasione il diritto/dovere all’orgasmo gastronomico, postulato dal grande Ugo Tognazzi, vero e unico “maître à penser di ogni gaudente che si rispetti”.
- Il gaudente ama il cibo ed è capace di passare ore a tavola per un piacere così apparentemente effimero come può esserlo un buon pasto.
- Il gaudente ha il diritto di evitare i menu di percorso.
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Il gaudente ama il cibo con intensità
Il debutto a Monza con la nuova cucina romana
Presentazione ufficiale l’8 marzo al Ristorante del Centro con la cucina di Mirko e Tiziano Paolucci, con il loro Barred interpreti nella capitale della nuova cucina romana. I vini naturali in degustazione sono della Cantina Mortola di Sestri Levante (Ge). L’aperitivo, tanto per non uscire dal seminato, è proposto da Dot One. Fondata da Paolo Mandelli, recidivo sul tema, è simile a una casa editrice, ma di vini. «Il nostro è un progetto di divulgazione del vino naturale. Selezioniamo piccoli produttori etici che rispettano la terra: niente chimica di sintesi in vigna. E che rispettano le persone: niente chimica in cantina. I vini selezionati e rietichettati con le nostre etichette lasciano la paternità ai vigneron, ma sono riuniti sotto un tetto comune».