Dalla prossima pubblicazione delle linee guida del Bjcp (Beer Judge Certification Program), acronimo di un’organizzazione statunitense che promuove la conoscenza della birra e la formazione di figure professionali destinate alla sua valutazione, le Italian grape ale (Iga) verranno denominate semplicemente Grape ale, eliminando l’aggettivo Italian dal nome della tipologia nonostante la petizione lanciata da Gianriccardo Corbo, homebrewer dal 2005 e degustatore ufficiale del Bjcp. Una decisione necessaria, secondo le parole del presidente Gordon Strong, per autorizzare la produzione di questa tipologia di birre con varietà viticole non autoctone italiane. In pratica la decisione vuole cancellare il legame tra lo stile e la nazione che più di ogni altra ha contribuito a svilupparlo.
Italian grape ale, a rischio il legame fra la birra con aggiunta di uva o mosto e il Belpaese
Cosa sono le Iga, le birre italiane con aggiunta di uova o mosto
Iga è un acronimo inserito nei neologismi dell’enciclopedia Treccani, sta a indicare lo stile di birra tutto italiano la cui peculiarità si basa nell’aggiunta di uva o mosto d’uva tra gli ingredienti nel corso del processo produttivo. Le caratteristiche aromatiche delle varie uve devono essere riconoscibili, ma non devono prevaricare gli altri aromi. Le linee guida sono molto elastiche: il colore può variare dal dorato al marrone scuro, non ci sono vincoli sui malti o sui luppoli da utilizzare. Uno stile di birra frutto della creatività dei mastri birrai italiani, peraltro codificato nel 2015 dalla stessa Bjcp all'interno della Appendice B riguardante gli stili locali emergenti, candidata a diventare stile ufficiale ma non riconosciuta. Per loro natura sono birre stagionali di grande espressione territoriale che risentono della variabilità dell’annata, alcune puntano sulla freschezza ed acidità, ottime come aperitivo, altre sono complesse e strutturate, da pasto o da meditazione. Un settore nuovo, in continua evoluzione, ad oggi si stimano vengano prodotte in Italia almeno 200 tipi diversi di Iga.
Un primato sardo
Storicamente la prima Italian grape ale fu prodotta nel 2006 dal birrificio sardo Barley con aggiunta di mosto cotto di uve Cannonau e commercializzata col nome di BB10. A cui seguirono altre ricette analoghe: la BB Evò con mosto cotto di Nasco; BB9 (Malvasia); BB Boom (Vermentino).
A Torino il primo concorso internazionale dedicato alle Iga
A Torino, a ottobre, presso la Piazza dei Mestieri si è svolto il primo concorso internazionale dedicato a questo stile tutto italiano a cui hanno partecipato 123 campioni provenienti da 66 diversi birrifici suddivisi in quattro categorie. Nella categoria Italian grape ale non acide a bassa gradazione alcolica: “Tonda” (7%) di Malaspina Brewing, una Red Iga realizzata con l’antico vitigno toscano Foglia Tonda. Nella categoria Italian grape ale non acide ad alta gradazione alcolica: “Casana 2018” (8,5%) del birrificio Crak, un blend di Iga maturate in barrique ex-Chardonnay con aggiunta di mosto di uve Cabernet dei Colli Euganei. Nella categoria Italian grape ale acide a bassa gradazione alcolica: “Gargan-IGA” (5,8%) del Birrificio Agricolo Sorio, che prevede l’impiego di un 15% di mosto d’uva Garganega su una base ispirata alle Gose, le antiche birre salate tipiche di Lipsia. Nella categoria Italian grape ale acide ad alta gradazione alcolica: “Regola Zero” (7,5%) del birrificio siciliano Alveria, prodotta con mosto di uve Moscato di Siracusa.
In Piemonte la frontiera delle Italian grape ale
Pioniere è stato Teo Musso del birrificio Baladin di Piozzo. Nel 2002 il mosto di una produzione di Nöel (allora di appena 500 litri) viene messa a fermentare con il 25% di mosto di uva dolcetto proveniente dalla cantina del padre di Teo. Lasciata fermentare senza fretta, è stata poi imbottigliata a mano. Le circa 600 bottiglie sono state stoccate, forse meglio dire dimenticate, in un cassone d’acciaio sotto una tettoia per studiarne le reazioni con gli sbalzi di temperatura. Le bottiglie superstiti sono oggetto di culto e vengono usate solo in occasioni (o degustazioni) speciali. Un’autentica rarità. Si tratta di una birra non commercializzata, disponibile solo nella riserva privata di Teo.
Dal 2007 il birrificio Montegioco, dall’omonimo paese della Val Grue, a pochi chilometri da Tortona, produce Tibir, da uve Timorasso: Open Mind con il vitigno Croatina e l’Iga de Légn un blend di Croatina e Timorasso lasciata affinare in barrique di rovere.
A Marentino Valter Loverier ha iniziato producendo due birre a fermentazione mista con aggiunta di mosto d’uva, oggi il suo birrificio, LoverBeer, è specializzato nella produzione di birre con fermentazione spontanea (non prevede inoculo di lieviti, ma impiega solo quelli presenti nel mosto d’uva) e affinamenti botti di rovere. Produzione limitata, sono birre complesse che richiedono tempi lunghi di ideazione e realizzazione. La sua prima Iga nel 2002, la BeerBera in cui il mosto di birra fermenta grazie all’uva barbera su cui riposa in tini di legno.
Vuole riprendere il nome del celebre vino, la Sciatò Margot, bionda ad alta fermentazione, del birrificio biellese Un Terzo che utilizza il vitigno Erbaluce.
Con il vitigno Moscato il birrificio Carrù produce Niimbus. Il birrificio La Piazza di Torino produce con mosto d’uva bianca Frida, presso di loro si svolge dal 2015 il corso Its Mastro birraio di Torino, un percorso formativo finanziato da Miur e Regione Piemonte completamente gratuito per i partecipanti, prevede 1.800 ore complessive in due anni, di cui 680 di stage presso aziende di settore.
Soralamà, birrificio di Vaie in valle di Susa, ha messo a punto per la cantina Ascheri due prodotti unici, a base Nebbiolo, spumantizzati con metodo Martinotti, disponibili nelle versioni Gold e Rosè, un modo per andare oltre ai soliti canoni di birra chiara e birra scura. È la prima birra ad essere commercializzata con un doppio brand, Ascheri e Soralamà.
La birra di Soralamà (versione gold) realizzata con la cantina Ascheri
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La birra di Soralamà (versione rosè) realizzata con la cantina Ascheri
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Mentre il birrificio Beba di Villar Perosa invece ha prodotto per Montalbera Laccento, una birra a bassa fermentazione con vino Ruchè.
Birrificio della Granda con la cantina Enzo Boglietti di La Morra produce Alchemy prodotta con mosto fresco di Barbera. Ambrata e intensa, con riflessi ramati, al palato è secca e scorrevole, l’aromaticità importante data dal mosto d’uva. È una birra d’autore nata per celebrare anche la stagionalità dei prodotti, dato che nasce dal mosto fresco di uve Barbera.