Mi ero ripromesso di non coinvolgere il Covid-19 con i suoi bollettini di guerra nei miei interventi, almeno per un certo periodo: abbiamo raggiunto tutti il “limite” di sopportazione riguardo a questo virus e a ciò che ha portato nella nostra quotidianità. Troppe parole sono state spese, a volte inutili e senza senso, perlopiù da persone prive di titoli e qualifiche, che incautamente avevano anche sottovalutato la gravità di questa emergenza sanitaria a livello mondiale.
Grazie alla crisi abbiamo ricoscoperto la grandezza e le potenzialità del nostro Paese
Giornali e televisioni, per giusta informazione, ci tengono continuamente prigionieri con le cronache di questo morbo, ma le tante
polemiche anche giustificate, e le troppe inutili accuse, che fanno “eco” ad ogni
Dpcm, hanno fatto sì che
la nostra soglia di sopportazione sia stata da tempo oltrepassata.
Volevo invece soffermarmi sul “
merito” (concedetemi questo improprio termine) del nostro Paese, messo in evidenza da questa epidemia. Senza togliere nulla agli altri settori produttivi, la nostra
Horeca (comparto con un volume di affari che supera i 50 miliardi di euro e costituito da oltre 400mila imprese), con il relativo
indotto correlato, è quello che porta maggiore ricchezza e valuta pregiata estera (cinese, russa, giapponese e stati emergenti) con un considerevole peso sulla bilancia economica del “
Sistema Italia”.
Ognuno ha chiaramente l’interesse a fare vedere che “conta” più degli altri, ma il blocco totale del nostro indotto di riferimento ha dato maggiore indiscutibilità al
potere economico e trainante del nostro particolare distretto lavorativo, che da solo in termini occupazionali conta (almeno prima dell’emergenza) 3,5 milioni di
lavoratori. Tutte persone che senza stipendio o economicamente limitate creano di riflesso ulteriori criticità ad altri dipendenti di altri settori produttivi: così prende vita un inopportuno
circolo vizioso che si conclude sempre con grandi perdite economiche e cali di mercato in ogni settore.
Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini televisive di
Roma Fiumicino deserto,
aeroporto nel quale ogni anno transitano 43,5 milioni di passeggeri, e così anche quello di
Milano Malpensa, che usualmente ne movimenta oltre 28 milioni; o la città di
Venezia, deserta, normalmente quella più
visitata dai turisti stranieri, con oltre 27 milioni di notti trascorse nelle strutture ricettive.
I nostri grandi eventi fieristici settoriali a caratura mondiale ed europea (
sospesi fino a data da destinarsi), come il
Vinitaly di Verona o
Host a Milano, Sigep e Beer&Food Attraction a Rimini. Tutti derivanti dalla grande mole di investimenti e ricchezza economica che movimentano.
Più volte ho affermato che l’Italia potrebbe “campare” di solo
turismo, di
enogastronomia e dei loro indotti correlati, se ben supportati da politiche mirate e adeguate. Siamo “seduti” su una grandissima fonte di ricchezza, che si chiama "Italia", ma non ne abbiamo la consapevolezza. Questo mi è stato ribadito da un alto funzionario cinese al tempo dell’
Expo 2015. Ripartiamo da questa cognizione: la Federazione italiana cuochi ne è cosciente e sempre più convinta, è pronta a “metterci del suo” in prima persona, in piena sintonia con istituzioni, imprese, finanziatori e operatori settoriali, appena passata questa pandemia; come già sta facendo, del resto.
Ci vorrà più determinazione e concretezza per perseguire questo obbiettivo, ed anche più tempo, viste le attuali vicende ancora in atto; ma la macchina produttiva dell’economia italiana in passato ha sconfitto guerre e
crisi ben più gravi, la speranza di tutti è che presto - come sarà, del resto - possa superare anche l’emergenza del Coronavirus.
È il momento di rimanere uniti, di lasciare le sterili polemiche ed i litigi tra fazioni politiche contrapposte: sarà presto il momento, una volta superata la crisi, di rialzarci e far valere il nostro senso di resistenza alle vicende avverse della vita, che ci hanno accompagnato purtroppo in tanti momenti difficili della nostra storia.