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Contagi, senza dolo né colpa le aziende non saranno responsabili

L'Inail lo ha chiarito per tutti. Nessun problema per chi rispetta le prescrizioni. Il medico del lavoro Matteo Riva: «Le aziende sono pronte, criticità soltanto in quelle più piccole» . Medici del lavoro all'opera per aiutare le imprese. Matteo Riva: «Le aziende sono pronte, criticità soltanto in quelle più piccole».

di Sergio Cotti
 
16 maggio 2020 | 06:50

Contagi, senza dolo né colpa le aziende non saranno responsabili

L'Inail lo ha chiarito per tutti. Nessun problema per chi rispetta le prescrizioni. Il medico del lavoro Matteo Riva: «Le aziende sono pronte, criticità soltanto in quelle più piccole» . Medici del lavoro all'opera per aiutare le imprese. Matteo Riva: «Le aziende sono pronte, criticità soltanto in quelle più piccole».

di Sergio Cotti
16 maggio 2020 | 06:50
 

Dai ristoranti agli alberghi, fino ai negozi e agli uffici: il contagio da Covid-19 equiparato a un infortunio sul lavoro, così come previsto dall’Inail, sta preoccupando l’intero mondo delle aziende, perché potrebbe portare al coinvolgimento dei datori di lavoro anche sul piano penale per i reati di lesioni o addirittura di omicidio colposo, nel caso di decesso del lavoratore contagiato.

Medici al lavoro per aiutare le imprese -  Contagi, senza dolo né colpa le aziende non saranno responsabili

Medici al lavoro per aiutare le imprese

Sulla questione è intervenuto proprio l’Inail che, in una nota di chiarimento ha spiegato i termini del coinvolgimento degli imprenditori. «Dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro – chiarisce l’Istituto – Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail».

Dunque, nulla potrà essere imputato ai datori di lavoro, se avranno messo in campo tutte le precauzioni previste. E per fare in modo che tutti rispettino le nuove norme, è frenetica in queste settimane l’attività dei medici del lavoro. Per fare un punto della situazione sul loro lavoro, abbiamo parlato con Matteo Riva, dirigente dell’Unità di Medicina del Lavoro del Papa Giovanni XXIII di Bergamo e membro del Consiglio direttivo della Società italiana di medicina del Lavoro.

Ci voleva un chiarimento dell’Inail per tranquillizzare le aziende…
I datori di lavoro verranno sollevati da ogni responsabilità se dimostreranno di aver messo in atto tutte le misure di tutela necessarie a contenere il rischio. In questo modo non potrà loro essere attribuita alcuna “colpa”, anche nei confronti dei clienti. Viceversa, laddove ciò non si verificasse e dovesse capitare un’infezione, potrebbero essere chiamati in causa anche pesantemente.

Matteo Riva - Distanze, regole inapplicabiliper bar, ristoranti e negozi
Matteo Riva

Questo per i medici del lavoro è un periodo di grande lavoro. Qual è, precisamente, il vostro ruolo?
Ci viene chiesto di supportare le aziende nel definire i percorsi al loro interno per gestire l’emergenza covid-19. Parliamo quindi della pianificazione delle attività, dell’eventuale riprogettazione delle aree di lavoro per garantire il rispetto delle norme di igiene e di sicurezza e dei percorsi di ammissione al lavoro dei dipendenti. Stiamo facendo sopralluoghi, verificando il rispetto delle regole e che le procedure adottate rispettino le indicazioni del Ministero della Salute, perché è questo che farà la differenza nella fase 2, insieme allo smart working. Tutto ciò per evitare un riprendere della curva epidemica che è quello che temiamo tutti. In più ci viene chiesto di prestare attenzione ai soggetti fragili, ossia coloro che potrebbero avere più rischio di contrarre la malattia. Ciò significa rivedere tutte le cartelle cliniche per identificare chi si trova, eventualmente, in una situazione più critica e accogliere le persone che possono presentare nuove istanze, perché in precedenza valutati per aspetti che non richiedevano approfondimenti».

C’è poi la questione dei test da sottoporre ai lavoratori.
Su questo punto c’è ancora grande confusione, generata soprattutto da alcune attività commerciali. È un grande dispendio di energie fare formazione ai datori di lavoro per far capire loro che la sierologia da sola non serve a nulla, anzi lascia in mano un problema. Mi spiego: la positività sierologica non corrisponde alla non contagiosità del soggetto, o a una guarigione; vero è che almeno il 10% di coloro che hanno gli anticorpi sono ancora portatori di virus.

Aspettando le ultime decisioni di Governo e Regioni, quali potranno essere i problemi più grossi per le aziende?
Senz’altro la gestione dell’afflusso dei clienti e i loro spostamenti all’interno dei locali. Di conseguenza, non sarà facile per queste aziende garantire la sopravvivenza dell’attività commerciale. Il dimezzamento dei tavoli, per tanti ristoranti, non sarà sostenibile. Per i dipendenti, una volta che avranno adottato i dispositivi di sicurezza, non vedo grandi problemi. Il problema, semmai sarà riuscire a rispettare le regole del distanziamento sociale per i clienti: se applicate in maniera rigida potrebbero risultare del tutto incompatibili con la possibilità di esercitare per tanti ristoranti.

Tante prescrizioni e un po’ di confusione, ma le aziende sono pronte?
Le aziende sono particolarmente attente agli aspetti della sicurezza, i documenti che stiamo visionando in questi giorni sono stati fatti molto bene e prevedono regole puntuali. Tante realtà hanno fatto un lavoro eccellente nella gestione del rischio delle persone, soprattutto quelle che non hanno mai interrotto la loro attività. Le uniche ad essere in difficoltà sono quelle più piccole, anche perché molte di queste aziende non hanno il medico del lavoro e dunque non possono contare su questo supporto.

Un lavoratore che in questi mesi ha lavorato in smart working, può chiedere di continuare a farlo anche se l’azienda ha ripreso a lavorare in sede?
Sì, è già previsto dagli accordi nazionali tra Governo e parti sociali. Il lavoro da casa dovrà anzi essere favorito. I lavoratori lo stanno chiedendo e le aziende lo stanno concedendo volentieri. Non vi è un obbligo, ma diversamente rischiano di doversi giustificare nella misura in cui succedesse qualcosa. Se il lavoro di una persona poteva essere svolto da remoto e un’azienda costringe un dipendente a rientrare, a fronte magari di una richiesta esplicita di proseguire con lo smart working, poi dovrà anche giustificare il perché è stata presa.

Premesso che nessuno può saperlo con esattezza, fino a quando si andrà avanti, presumibilmente, in condizioni di emergenza?
La curva è in calo netto e deciso. Bisognerà aspettare ancora una decina di giorni per vedere se questa prima riapertura soft avrà generato una risalita della curva epidemica. La prova del 9 sarà rappresentata comunque dalla riapertura di tutte le attività commerciali, quelle che creano affollamento e movimento delle persone. Ci vorranno altre 2 settimane per vedere come vanno le cose. Se la curva allora dovesse risalire, ci sarebbe da preoccuparsi. Credo che gli strascichi di questa situazione ce li porteremo dietro anche per le prossime stagioni. Il contagio 0 sarà poco probabile prima dell’autunno, ma a quel punto ci sarà l’incognita dell’eventuale ritorno del virus, magari mutato, come succede per quello influenzale. Il rischio, in quel caso, sarebbe di ricominciare tutto daccapo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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