Leggo su Italia a Tavola, ma anche in rete, di varie iniziative di formazione sia di cuochi che di addetti di sala, in formule sia di qualità che di quantità assolutamente spropositate rispetto alla richiesta di mercato. Perché il problema sta qui, nel rapporto difficile tra la formazione e mercato del lavoro.
Le formule di cui sopra, spesso sono iniziative di associazioni di cuochi, di scuole private anche molto famose, di
momenti formativi ideati da singoli operatori-cuochi che in qualche maniera si sono “inventati un nuovo mestiere”, parallelo al loro.
Alta cucina, vini e sommellerie, nuove tecnologie dalla Cbt, al vuoto, e comincia a far capolino la cucina agli ultrasuoni... Insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti e per tutte le tasche. Questioni tutte indirizzate e diffuse nel grande mare del web, e se da un lato il settore denuncia una scarsa formazione professionale delle scuole ufficiali statali, dall’altro ci sono innumerevoli proposte di “alto livello” per sopperire a questa carenza. O almeno questa sembrerebbe la realtà.
Eppure, dall'altra parte, ad esempio in rete, a cominciare da Facebook, abbondano richieste di personale di cucina e di sala, che però sembrano non ottenere risposte, anzi, stimolano reazioni da parte dei “cercatori” spesso vicine alla collera: «Non si trovano collaboratori», «Non si trova personale».
È una domanda ed una analisi di cui abbiamo già discusso ampiamente
in altri articoli. Oggi, però, vorrei focalizzarmi su una diversa sfaccettatura del problema.
Chi mi conosce sa che insegno, sono un docente, distribuisco il mio tempo tra lo studio di tematiche scientifiche inerenti al mio lavoro e al mondo del food in genere e, naturalmente, la cucina del mio ristorante.
Anni fa, quando la scuola di cucina forse più importante, Alma a Colorno (Pr), cominciò a spalmare gli allievi tra stage lunghi e complessi (come dovrebbero essere), io ne ospitai, ma mossi anche un'obiezione: gli stagisti erano sì bravi e preparati, ma catapultati in un mondo che richiedeva cose diverse se paragonato alla loro preparazione complessiva, molto più imponente di quanto in realtà fosse necessario per approcciarsi al lavoro vero e proprio. Naturalmente, per quanto complesso poi, un corso non potrebbe mai sostituire all'esperienza, agli anni di lavoro, di studio e di passione che nel loro susseguirsi arrivano a formare un professionista.
Facciamo un altro esempio. Sono molti, dai più ai meno giovani, a partecipare ai vari corsi, per esempio, sul vino, corsi per la formazione di sommelier, ma anche di maitre. Ma se da una parte il numero di frequentanti a questo genere di corsi è in continua crescita, dall'altra sono poche le grandi strutture che hanno brigate così numerose tra sala e cucina, e che quindi prevedono una figura professionale come il maitre o i sommelier. Il rischio a questo punto è che il sommelier sia anche cameriere, che il maitre specialista di vino, alla fine dei conti, dovrà anche lavare ed asciugare i bicchieri o sistemare la sala. Non solo, i costi altissimi del lavoro nell'alta ristorazione, anche stellata, sta portando la figura del lavapiatti verso l'estizione, e a rimpiazzare chi prima si occupava di questa mansione sono i ragazzi di cucina (magari a turno e magari non il capochef).
Diverso è quando il cuoco o il sommelier è anche il titolare, il patron del locale. Lui avrà bisogno sì di bravi collaboratori, che resteranno però nell'ombra (a meno che la struttura non abbia più di una sede, in questo caso capochef o maitre avranno la possibilità di spiccare).
Mi sembra che, in linea con lo sviluppo del mondo della gastronomia, del ruolo e della figura del cuoco, alimentata anche da una sovraesposizione mediatica, infine ci sia qualcosa che non va.
Laurea in gastronomia,
super specializzazioni in sala, super cuochi e super camerieri, sicuramente super manager per il grande mondo del Made in Italy. Ma il personale normale, l’aiuto cuoco, il ragazzo alle prime armi uscito da un corso professionale triennale, dove deve dirigersi? E dall'altra parte, cosa cerca oggi un ristorante anche stellato, un albergo, una compagnia navale? Poi, gli stipendi medi del nostro mondo in entrata, in genere tra i 1.200 e i 1.500 euro, soddisferanno i super cuochi o i nuovi manager laureati in "Cucina"? Non si stanno creando delle aspettative che il mondo del lavoro, quello vero, non sarà in grado di soddisfare?
I grandi Cuochi, che noi tutti conosciamo, che io ho visto cominciare da Gualtiero, al Four Seasons, alla vecchia e gloriosa Ciga; la nascita dei primi ristoranti stellati, alcuni su tutti, l’Emiliano di Stresa, il Sorriso, l’Ambasciata, il Savini degli anni '80, l’Osteria di Porta Cicca (quella in cui Sadler ha mosso i primi passi). Questa è storia, e qui si parla di grandi cuochi senza laurea, ma con grande passione e con una lunga gavetta alle spalle, grandi sacrifici, insomma, che hanno però dato vita alla nuova Cucina italiana.
Ecco, partendo da qui, a me pare che oggi si voglia dare l’illusione di scorciatoie impossibili. Forse ci vorrebbero meno enfasi e più concretezza: è bene raccontare che questo mestiere può, sì, portare a successi professionali, purtroppo però non raggiungibili attraverso strade facili.
Ricollegandoci quindi al concetto di formazione, indubbiamente un cuoco dovrà essere più che preparato, pronto a rispondere a un mercato che chiede una preparazione tecnico-scientifica davvero vasta, preparazione che solo un percorso fatto anche di studi può garantire. Allo stesso modo un cameriere dovrà saper accogliere, essere in grado di parlare più lingue, deve far sentire il cliente a proprio agio, saper consigliare ed eventualmente esser pronto ad affrontare esigenze date da allergie e intolleranze.
Però - ed è quello che ci tengo a far emergere da questa riflessione - non si possono vendere questi lavori, senza ricordare che prima di tutto si basano su una grande manualità, che necessitano spesso anche di umiltà e che si basano su quel desiderio di crescere e arrivare che nessun corso di Cucina, anche di alto livello, può insegnare.