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Un tuffo nel passato La “salama da sugo” di Ferrara

di Toni Sarcina
presidente Commanderie des Cordons Bleus Italia
 
14 marzo 2018 | 13:26

Un tuffo nel passato La “salama da sugo” di Ferrara

di Toni Sarcina
presidente Commanderie des Cordons Bleus Italia
14 marzo 2018 | 13:26
 

Questa volta vorrei portarvi con me a Ferrara, splendida città dove ancora oggi si respira un’atmosfera estense, per parlare di un piatto che nei secoli ha sempre attirato la curiosità dei gourmet: la salama da sugo.

Da oltre cinque secoli, la salama da sugo, o più gentilmente “salamina”, è la regina incontrastata della gastronomia ferrarese. Inutile cercarne la paternità poiché è senza dubbio figlia della fantasia ferrarese. Le prime notizie storiche sicure risalgono al XV secolo, nel pieno fulgore del Ducato estense. Lo attesta lo storico Antonio Frizzi e lo conferma una lettera di Lorenzo il Magnifico a Ercole I°; lo ribadiscono viaggiatori e scrittori di ogni tempo. Proprio Frizzi, austero letterato, ha trovato vivaci accenti poetici per esaltare il maiale e i suoi “frutti” in un poemetto dal significativo titolo “Salamoide”, edito nel 1722. Le sue più belle ottave sono dedicate alla salama, di cui descrive ingredienti e preparazione. Altre sono citate dall’altro famoso storico locale, Luigi Napoleone Cittadella, nelle sue “Notizie relative a Ferrara” del 1864.

(Un tuffo nel passato La salama da sugo di Ferrara)

Da tanti riferimenti emerge come le caratteristiche della salama si siano mantenute intatte nel tempo. Anzitutto, una sola salama per ogni maiale macellato, poiché l’involucro è la vescica del suino. Quindi la scelta delle carni: fegato e lingua per il nucleo centrale, carne di collo e gola; il tutto ben tritato, intriso di vino di bosco (rinforzato eventualmente con marsala o cognac o rum) e condito con pepe, cannella e chiodi di garofano. L’impasto va poi accuratamente rimpinzato nella vescica (mediamente l’insaccato deve avvicinarsi al chilogrammo di peso) legata con lo spago e posta ad invecchiare appesa al soffitto o messa nella cenere. Una buona salama deve stagionare in pace almeno un anno, al buio, in luogo fresco ed areato.

Come si presenta in tavola e come si mangia una salamina da sugo? Alcuni sostengono che, trattandosi di un salume, sia da consumare cruda, a fette, accompagnandola con fichi o melone. I tradizionalisti dicono però che vada cotta in pentola. Per la cottura ci sono regole antiche che richiedono cura, cautela e tempo.

In via preliminare, la salama è immersa in acqua tiepida per una notte, per ammorbidire la parte esterna che dovrà essere delicatamente spazzolata. Deve essere quindi immersa in una pentola d’acqua, avvolta in un telo fine e sospesa, appendendola a uno stecco o un mestolo sul bordo per non farle toccare il fondo. Far bollire a fuoco lento per oltre 4 ore, rabboccando quando è necessario ma senza perdere il bollore. Guai se la vescica si spacca, ché il suo sughetto si sperderebbe.

Altri preferiscono la cottura a bagnomaria, allungando opportunamente il tempo di cottura. Sono adatti anche i moderni sacchetti da cottura. Una volta cotta, la salama va liberata dallo spago e incisa sull’apice ricavando un’apertura per raccogliere il morbido impasto col cucchiaio. L’ideale comunque è presentarla caldissima con accompagnamento di purea di patate.

Foto: Luca Baldi

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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