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Liberate il food dai blogger Ridatelo in mano ai giornalisti

I social e i blog hanno allungato i loro tentacoli sul mondo del food fino ad avvolgerlo e, spesso, sminuirlo mentre i giornalisti “navigati” lavorano alla ricerca della “verità” ma, ahinoi, rischiano di avere meno click

di Andrea Radic
 
03 luglio 2017 | 12:09

Liberate il food dai blogger Ridatelo in mano ai giornalisti

I social e i blog hanno allungato i loro tentacoli sul mondo del food fino ad avvolgerlo e, spesso, sminuirlo mentre i giornalisti “navigati” lavorano alla ricerca della “verità” ma, ahinoi, rischiano di avere meno click

di Andrea Radic
03 luglio 2017 | 12:09
 

Hashtag a manetta, superficialità a quintali, inconsapevolezza e appiattimento della inesistente narrazione. Il food maltrattato, dalle origini ai giorni nostri. Le parole tradizione, territorio, passione, sacrificio e ricerca sono termini sconosciuti a queste mandrie di improvvisati storyteller che girano, singoli o in coppia, l'Italia, accolti e spesati da aziende e locali che mettono la propria storia familiare e imprenditoriale in mano a improbabili uffici stampa e agenzie di comunicazione pronte a offrire ad autodefinitisi blogger le sorti della propria visibilità sui social.

Liberate il food dai blogger Ridatelo in mano ai giornalisti

Una situazione che, nata nella moda, ora è debordata nel food, garantendo poche occasioni di serietà e professionalità, pure presenti fra i blogger… Va beh, dirà qualcuno, si parla di social, mica dei giornaloni di carta stampata. Attenzione però: oggi i social macinano più lettori e più visibilità di via Solferino. Come dire: la realtà andrebbe considerata meglio. E soprattutto meglio utilizzata. Sui social network, infatti, oltre alla volgarizzazione "bloggerina" esistono fior di giornalisti, narratori e storyteller veri, capaci di attirare davvero l'attenzione dei followers, o per meglio definirli “lettori”.
 
Il giornalismo che da tempo racconta il meraviglioso mondo dell'agroalimentare, dell'enogastronomia, della cultura dei luoghi e delle loro tradizioni, esiste ancora, eccome. Il problema è che tutto si mischia in una incontrollata babele del web. Imparate, cari responsabili della comunicazione aziendale, a riconoscere il cioccolato da altre materie, a scegliere da chi farvi rappresentare, a chi affidare la responsabilità di conoscere, sperimentare e poi raccontare. La mediazione giornalistica non riguarda solo gli esteri e la politica, ma anche il food & wine e, per capire e riportare ai lettori, serve la passione, la fatica, la dedizione. Non solo una macchina fotografica e una ventina di hashtag.

Mettete sullo stesso van per la stampa tre giornalisti di esperienza e quattro blogger e avrete quattro post con hashtag #carino #photofoodtheday #foodlove ed altro e tre professionisti incazzati. Sono impopolare? Bene. Ma qualcuno deve alzare la voce e riconoscere ai Luigi Veronelli, ai Mario Soldati di ieri e ai giornalisti di oggi, ai Paolo Massobrio, che narra da decenni il meglio dell'eccellenza alimentare, ai Marco Mangiarotti, agli Andrea Grignaffini, ai Valerio M. Visintin, fini narratori di esperienze gastronomiche e agli Alberto Lupini, che ha fatto per l'agroalimentare italiano quanto Henry Ford per l'automobile, il merito di difendere il più grande tesoro italiano da coloro che la mattina postano (a pagamento…) una fetta di prosciutto e il pomeriggio un lucidalabbra al mirtillo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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05/07/2017 15:02:21
8) Tamara Giorgetti non è cuoca...
Cara Tamara,
sul blog “Un pezzo della mia Maremma”, nella sezione about me, dove appare la sua foto, c’è questa precisa scritta “Cuoca Capo”. Ora, io da giornalista che sbaglia, quale lei sta tentando di farmi passare, non potevo pormi dei dubbi sull’attribuzione di un ruolo visto il contesto. Preso atto di quanto lei mi scrive, la invito allora a rivedere un po’ la sua presentazione, visto che usare un titolo professionale improprio (anche se quello di Cuoco non è purtroppo tutelato dalla legge) non è un esempio di trasparenza. Ma tant’è, prendo atto di avere sbagliato io a fidarmi di quanto scritto su un blog. Anche se di qualità e consigliabile quale è il suo.
Vedo poi che oltre che con la penna anche col coltello è molto abile. Contesta Italia a Tavola che chiede che si faccia un po’ di chiarezza e distinzione rispetto ai tanti, troppi, che si occupano di cibo. Ma basta che io citi tre nomi di sue colleghe food blogger famose e lei ne fa a fette due, salvando solo la creatrice di un impero.
Detto ciò, non capisco perché lei se la prenda con noi quando, secondo anche quanto le avevo scritto, rappresenta per noi un esempio in positivo di food blogger. Quello che lei contesta (le marchette, che in realtà sono contratti veri e propri per gli influencer...) saranno anche riprese da una brutta pratica dei giornalisti (che io stesso avevo ricordato e che stigmatizzo da sempre), ma non capisco perché si debba copiare solo il peggio da chi si dice si vuole superare... Sono logiche che non capisco e che non giustificano l’assenza di distinzione rispetto alla pubblicità. Cosa che invece lei correttamente fa.
Personalmente le auguro di avere sempre più lettori (e se parla di xylella e anisakis è più che comprensibile visti i temi di cui tratta) e di poter sempre dire quello che pensa. Non veda Italia a Tavola come un nemico, ma semmai come chi, nel nome della chiarezza, cerca di garantire anche lei rispetto ai troppi imbroglioni e incompetenti presenti sulla rete.
Alberto Lupini
direttore
Italia a Tavola
05/07/2017 15:01:27
7) Non mi definisco cuoca
Direttore, io non mi definisco cuoca affatto, è una parola che non ho mai amato, non ho mai ambiato a fare la cuoca, o aprire un ristorante, non mi interessa, non mi piace, io ho scelto di fare quello che faccio e basta. E' la cucina di Repubblica, di cui faccio parte a definire "cuoche" le blogger che collaborano con la rivista onlilne quindi questa l'ha proprio sbagliata e se io miei lettori, perché ne ho tanti, mi hanno chiamato qualche volta cuoca ho subito spiegato che non lo sono e non ci tengo ad esserlo. Per il resto non so a cosa si riferisca quando scrive: "evita di affrontare temi come il sesso degli angeli" io ho affrontato argomenti di ogni tipo, articoli sulla xylella, articoli sull'anisakis e tanti altri degni del miglior giornalista. Mi scusi ma le blogger da lei nominate mi fanno sorridere, 2 neppure le considero, non mi interessano, con una ho avuto modo di discutere abbondantemente, l'ultima è quella che stimo, ha creato un impero. Le foodblogger hanno sicuramente imparato a fare marchette da giornalisti e non urli allo scandalo, lo sappiamo benissimo tutti e due. Caro direttore non sono la blogger sprovveduta a cui può dire di tutto, conosco troppo bene l'ambiente dei giornalisti, (anche mio padre era giornalista) e bene quello dei foodblogger. Per ciò che mi riguarda cotinuerò a cucinare, fotografare e scrivere, marchette non ne faccio perché non ho neppure la pubblicità, tranne una piccola cosa di Amazon, spendo tanti soldi e non guadagno niente, ma l'ho scelto, non ho mai avuto santi in paradiso e ho sempre detto quello che avevo voglia di dire, non sono amata dalle foodblogger, ma ho tanti lettori che amano le mie ricette e i miei post e questo mi basta, grazie a lei e buona giornata
Tamara Giorgetti
food blogger
05/07/2017 11:41:08
6) Italia a Tavola valorizza i foodblogger seri e contesta gli influencer
Cara Tamara Giorgetti,
il suo commento rende plastico, se ancora ce ne fosse bisogno, quale confusione regna in rete. Certamente più di quella che i non addetti ai lavori possono pensare ci sia a volte in una cucina.
Purtroppo parlando di blogger molti tendono a generalizzare, inserendo cioè a fianco di persone specializzate che tengono dei diari, delle rubriche o comunque delle finestre aperte su mondi spesso di nicchia, altre figure che invece fanno solo rumore. Per restare al nostro campo, c’è chi come lei tiene un blog apprezzatissimo, dove si firma come cuoca, parla di ricette ed evita di affrontare temi come il sesso degli angeli.
C’è poi chi, senza arte né parte, ma solo perché ha aperto un blog, fa tanto fumo e poco arrosto. Purtroppo però questo piatto bruciato lo serve con mille pretese (magari quella di essere una vestale della nuova informazione, libera per il solo fatto di essere in uno spazio “libero” come è la rete...) e facendoselo pagare a caro prezzo da aziende spero ignare di cosa ci sia realmente dietro a qualche scampolo di “like”. Fare chiarezza su questo tema serve soprattutto ai blogger seri che potrebbero convivere benissimo accanto ai giornalisti i quali non possono occuparsi solo di ricette, ma devono descrivere fenomeni, fare inchieste, presentare persone, aziende, prodotti e, magari, esprimere opinioni e denunciare le cose che non funzionano. Ognuno ha il suo spazio professionale.
Come può ben capire, io personalmente contesto, da sempre, la frammistione e l’invasione di campo che sempre più spesso giovani inesperti (ma non solo loro!) attuano nel mondo dell’informazione pretendendo di sostituirsi ai giornalisti per fare informazione. Magari qualcuno di questi può essere anche più bravo di alcuni miei colleghi (io ne conosco alcuni e li apprezzo al punto che collaborano con me), ma nella media non è così. Con l’aggravante che, senza formazione, passano magari da un settore all’altro con assoluta disinvoltura e sulla base di sonante denaro. Gli influencer che si stracciano le vesti per quanto ha scritto Andrea Radic sono gli stessi che nei loro post mettono tazzine di caffè brandizzate, etichette di bottiglie, loghi di abiti e accessori, ma non danno mai una sola spiegazione, non forniscono un’argomentazione. Fanno solo elogi. Fanno da testimonial, a pagamento, senza segnalare che lo fanno per soldi. A noi giornalisti è vietato dalla deontologia, ma credo che la gran parte dei miei colleghi non lo farebbe comunque perché abbiamo passato la vita a tenere lontana dal nostro lavoro la pubblicità (senza la quale i nostri giornali non potrebbero vivere), relegandola in pagine e banner ad hoc, senza invadere gli articoli. Con l’eccezione ovviamente delle “marchette” che, non si può negare, ci sono. Come giornalisti, il non farci condizionare, o almeno non più di tanto, è il nostro dovere. Per un influencer farsi comprare è invece l’obiettivo. E in questo non ci sarebbe nulla di male. Basterebbe dichiararlo.
Come direttore di Italia a Tavola vorrei poi sfatare questa idea che noi attacchiamo ciclicamente i food blogger. È una fake news inventata da chi ha paura delle nostre argomentazioni. Molti food blogger (categoria che non si potrebbe nemmeno definire in assenza di una norma), proprio perché autentici e specializzati, collaborano con la nostra testata. Ma vorrei dire di più. Siamo stati i primi, e finora gli unici, a valorizzare il lavoro di persone valide attraverso il nostro Premio Personaggio dell’anno, affiancando in un’unica categoria giornalisti e blogger. E molti blogger qualificati alla fine sono stati premiati. Ricordo solo i nomi di personaggi come Chiara e Angela Maci, Sara Papa o Sonia Peronaci. Sostenere che abbiamo un pregiudizio è davvero esagerato. Il discrimine, lo ripeto, riguarda chi, imbrogliando il lettore, fa solo pubblicità e pretende di fare informazione... Se poi capita che qualche giornalista, non alle prime armi, pensa di inventarsi influencer in vista della pensione, mandando a monte l’obbligo del rigore e della sobrietà che ci dovrebbe distinguere, è il segno evidente di quella confusione di cui parlavo all’inizio.

Alberto Lupini
direttore
Italia a Tavola
05/07/2017 10:32:09
5) Anche i food blogger si occupano di tradizione e territorio
I food blogger si occupano, di tradizione, di territorio, di stagionalità e conoscono molto bene il cibo, un foodblogger racconta il cibo, parla di cibo, scrive di cibo, prepara una ricetta, fotografa quella ricetta, posta nel suo blog quella ricetta e la racconta. Un food blogger va in giro per manifestazioni come del resto i giornalisti, un food blogger prima di scrivere si prepara, fa ricerca, fa quello che fanno i giornalisti. Ho un marito giornalista professionista, per molti anni caporedattore del politico alla Camera dei Deputati, bravo, scrive molto bene di politica ma non potrebbe scrivere mai di cibo perché non sa cucinare. Non si può generalizzare, conosco tantissimi giornalisti, ma proprio tanti, per molti ho stima e rispetto, li vado sempre a leggere, per altri no non sanno scrivere quindi perché generalizzare, dire che tutti i giornalisti sono bravi perché hanno fatto un esame? Io lo so come è l'esame da giornalista quindi non esageriamo, così come tutti i food blogger non sono delle capre, ci sono quelli che amano parlare di cibo e territorio, e lo sanno fare, ci sono quelli che invece non lo sanno fare, e si accontentano di qualche like. Cari signori la blogosfera è grande, c'è spazio per tutti, nessuno vuole togliere nulla ai giornalisti famosi che hanno raccontato il cibo e continuano a farlo, la gente sceglierà da sola chi leggere e a chi dare credito, da me troverà articoli, ricette e belle fotografie, se piacciono continuerà a seguirmi altrimenti cercherà altro. Non capisco perché attaccare ciclicamente i food blogger, noi non attacchiamo i giornalisti
Tamara Giorgetti
food blogger
05/07/2017 10:29:55
4) Risposta al commento di Elena Biribissi
Grazie della sua enciclopedica osservazione, alla quale rispondo con sintesi giornalistica:
1- il livore è tutto nel suo scritto, seppur zeppo di errori ortografici e grammaticali.
2- sembra che lei avrebbe voluto essere giornalista, ma mai vi sia riuscita. Il che non è grave.
3- che tutti i blogger sappiano argomentare è tutto da dimostrare (riveda il punto 1).
4- per diventare giornalisti si supera un esame di Stato complesso e difficile. E per continuare ad esserlo, come giustamente è stato deciso a livello europeo, si devono accumulare crediti formativi (compresi quelli sulla deontologia), tutta materia che i blogger ignorano.
5- esistono blogger che, per competenza, equilibrio e rigore, meritano di essere considerati professionisti dell'informazione. Almeno alla pari di molto giornalisti. Mi duole che lei non ne faccia parte.

Grazie e a presto.
Andrea Radic
vicedirettore
Italia a Tavola
05/07/2017 10:26:56
3) Chi è causa del proprio mal pianga sé stesso
Caro vice direttore, questo tuo articolo mi fa uscire dai gangheri, e scusa se sarò franca e poco diplomatica, ma noto del livore mal posto nelle tue parole. Diciamo subito una cosa, la morte della carta stampata l'avete provocata voi, miei cari giornalisti, con la vostra incapacità di capire che il mondo stesse cambiando e che il pubblico si stava stancando della vostra falsità. Scusami, caro vice direttore, ma ho lavorato con i "giornalisti" tanti anni e sono arrivata a considerarla una specie di casta con la puzza sotto il naso che, come sempre accade nella Storia ha dormito sugli allori. Come considerare infatti gente che se gli mandi una mail non ti risponde, poi la chiami e ti risponde " me la rimandi? Scusa ma non la trovo" perché per loro usare la funzione "cerca" è troppo impegnativo. Come chiamare chi, se gli mandi delle immagini, NON LE SA APRIRE e ha bisogno del grafico, o ancora meglio, di uno stuolo di stagisti pagati 0 che tanto devono fare la gavetta per avere il patentino. Come chiamare chi riceve otto volte un comunicato stampa poi lo piazza pari pari e si lamenta perché non è completo. Come chiamare chi si sveglia alle 11.00 e si lamenta se lo chiami prima perché "è presto!" e poi ti chiama a mezzanotte perché deve chiudere il pezzo? Un branco di incapaci, inchiodati alla loro vecchia scrivania che non sa neanche distinguere la differenza fra un PC e una macchina da scrivere. E poi, articoli senza personalità, riempiti con il materiale inviato dai vari uffici di comunicazione; riviste piene zeppe di redazionali senza né anima né corpo. Io leggevo, caro direttore, moltissime riviste. Mi piaceva leggere quegli scritti così ben curati, vedere delle belle immagini che ispiravano davvero. Fossero a corredo di una storia, un viaggio, una ricetta. Poi, più niente. Riviste vuote, immagine acquistate a peso on-line e tanta tanta pubblicità. La gente questo l'ha sentito e si è stufata. In questo vuoto che il vecchio e bello giornalismo ha lasciato sono arrivati i blogger. All'improvviso, ingenuamente c'è chi ha cominciato a raccontare la propria esperienza. Questi non conoscevano le regole delle 5 W e in tanti casi non scrivevano neanche così bene...però cavoli! Si mettevano a nudo, dicevano cosa gli piaceva e cosa no...era come parlare come un vecchio amico, anzi: spesso lo diventavano amici perché, a differenza dei giornalisti, non se la tiravano mica! Anzi, erano ben contenti di confrontarsi ancora di più. E non solo, perché un blogger sa fare tutto, non in maniera eccellente forse, ma sa scrivere, fotografare, girare video, usare i social media occuparsi di marketing e di gestione di un sito. Senza redazione, grafici e segretari! Ed è questo che è piaciuto alla gente: l'impegno, l'autenticità il "Come as you are". E voi, non potete farci niente. Per un po', avete continuato a dormire che tanto siete iscritti all'albo, voi. Vuoi mettere? Poi quando vi è stata tolta la seggiola da sotto il sedere vi siete svegliati e ve la siete presa con i blogger. Eh no, troppo facile, caro vice direttore . I blogger son piaciuti perché sono veri. Sono diventati degli influencer, parola tanto odiata, perché lo ha decretato la rete. E voi ora risicate, Ma, caro direttore, chi è causa del proprio mal pianga sé stesso.
elena biribissi

05/07/2017 10:25:02
2) È come la liberalizzazione delle licenze nella ristorazione
Condivido. Come sempre, conta tanto la singola persona... è come la liberalizzazione delle licenze: tutti posso aprire ristoranti, ma essere ristoratori è ben altro....
Patrizia Signorini

05/07/2017 10:15:45
1) Gli influencer vengono dal nulla e lì ritorneranno
D'accordo su tutto. Poi le regole le infrangono anche i giornalisti ma i blogger, alcuni sono però bravissimi, non hanno regole. Gli influencer vengono dal nulla e lì ritorneranno, con buona pace di chi ha nulla nella testa.
Marco Mangiarotti



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