L’Italia è libera di non coltivare Ogm. È quanto sancito dal testo (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea del 13 marzo 2015) della direttiva 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2015 che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Organismi geneticamente modificati (Ogm) sul proprio territorio. Una decisione accolta positivamente da Coldiretti, che ha sottolineato come quasi 8 cittadini italiani su 10 (il 76%) che si oppongano al biotech nei campi. Ora tocca al Parlamento italiano mettere a punto una normativa nazionale, dato che la nuova normativa dovrebbe entrare in vigore già a marzo, 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea.
«Siamo di fronte - afferma il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo - ad un importante e atteso riconoscimento della sovranità degli Stati nonostante il pressing e le ripetute provocazioni delle multinazionali del biotech. L’Europa da un lato, le Alpi e il mare dall’altro, renderanno l’Italia finalmente sicura da ogni contaminazione da Ogm, a tutela della straordinaria biodiversità e del patrimonio di distintività del Made in Italy. Per l’Italia gli Organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy».
Secondo l’analisi della Coldiretti, sono calati del 3% i terreni seminati con Organismi geneticamente modificati in Europa nel 2014, a conferma della crescente diffidenza nei confronti di una tecnologia che non rispetta le promesse, secondo l’analisi del rapporto annuale 2014 dell’International service for the acquisition of agri-biotech applications (Isaaa).
La superficie Ogm in Europa nel 2014 si è ridotta ad appena 143.016 ettari di mais Bt coltivati in soli 5 Paesi sui 28 che fanno parte dell’Unione. Peraltro ben il 92% di mais biotech europeo è coltivato in Spagna, dove sono stati seminati 131.538 ettari, mentre le superfici coltivate sono residuali in Portogallo, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca.