Un sondaggio apparso sui quotidiani negli ultimi giorni ha sollevato un vespaio di polemiche. In un momento in cui la disoccupazione giovanile è a livelli record, il sondaggio ha preso in esame l’età degli insegnanti in Italia, concentrandosi sul perché sia più alta che negli altri Paesi europei. L’analisi è partita dai docenti universitari, che sono circa 19mila in totale; di questi i due terzi hanno tra i 50 e i 60 anni, e fra tutti solo 20 su 19mila hanno una età media di 40 anni, mentre al di sotto dei 35 anni praticamente nessuno. La domanda è: nel corpo docenti c’è un attaccamento al posto e alla poltrona e quindi i giovani fanno fatica ad avervi accesso, o si tratta piuttosto di una questione di competenza? Se il sistema è bloccato, quale può essere la strada per favorire i giovani?
Nel settore della ristorazione, la richiesta di docenti di cucina in particolare è molto elevata, e complice sicuramente la spettacolarizzazione del cuoco in televisione, i corsi e le scuole di formazione hanno richieste superiori alle proprie capacità tecniche, in molti casi i docenti vengono “contesi” tra gli istituti. Fortunatamente non c’è la moda di assumere un grande chef come insegnante, anche perché comporterebbe costi elevati, ma di certo la fama di un docente equivale alla sua esperienza e competenza, l’età non ha nessuna importanza. La cucina è diventata una moda solo di recente e la maggior parte dei docenti del settore sono cuochi che nella maggior parte dei casi hanno abbandonato la professione per dedicarsi all’insegnamento.
Oggi il valore più importante di un docente e di trasmettere una storia, un particolare di una vita professionale vissuta, qualcosa che possa affascinare gli allievi. Potremmo usare la classica delle frasi “è un cane che si morde la coda”; i giovani non trovano lavoro e così non posso costruirsi un’esperienza. Ma di certo la politica non comprende e non affronta il vero problema: un costo elevatissimo del lavoro, un concetto di apprendistato ormai scomparso, una crisi produttiva che non facilita l’inserimento dei giovani, i costi e le condizioni produttive molto diverse rispetto a Paesi a noi vicini, come Svizzera, Croazia, Slovenia etc. che purtroppo attirano non solo le aziende e spesso anche i migliori professionisti, ma anche molti cuochi.
E per ultimo, l’incapacità della scuola di formare nuove classi di specialisti e di manager, compresi nuovi docenti, e anche un sindacato che ha annullato l’efficacia degli stage visti come sfruttamento del lavoro e non come capacità formativa dell’impresa. Prendiamo il settore che conosco bene, in quanto sono un docente di tecniche di cucina, ho 60 anni, ma ben 35 di competenza nel mondo del food e della ristorazione. Spesso mi guardo alle spalle e nel desiderio di trasmettere la mia esperienza a qualche giovane mi accorgo, purtroppo, che sono molto pochi i giovani capaci di innamorarsi di un progetto, di un percorso di vita.
Nell’istituto dove insegno, avremmo bisogno di nuovi docenti, l’età media degli allievi è di 15/16 anni, ragazzi e ragazze attratte dal fascino della cucina, che hanno bisogno di docenti capaci di trasmettere passione e competenza, che non sono altro che il frutto di una vita professionale vera, di attività svolte senza guardare gli orari, sacrificando vacanze e tempo libero, spesso coinvolgendo anche la famiglia, mentre oggi i giovani prima ancora di essere assunti, chiedono qual è l’orario, il riposo settimanale, le ferie.
Le famiglie tra l’altro in questi ultimi anni hanno perso la capacità educativa, non insegnano più quei valori fondamentali, di sacrificio e di premio… «se studi ed hai buoni voti andrai in vacanza o otterrai un nuovo regalo». Non solo, la figura dell’insegnante spesso è priva di autorevolezza. Come si fa a fare formazione, ad insegnare in queste condizioni? Come formeremo i giovani che non hanno voglia di studiare, di apprendere e che proprio per questo faranno fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro? Forse c’è bisogno di una nuova scuola/bottega. Ci vuole più alternanza scuola-lavoro. La scuola deve servire alla crescita degli allievi, ma il mondo del lavoro deve potersi inserire e cercare di aiutare la scuola per una migliore formazione, per portare dentro l’attività didattica la cultura del lavoro.
Il risultato di questa situazione è, da un lato una crisi lavorativa senza precedenti, dall’altro l’incapacità del sistema di proporre nuove strade formative, nel senso che ci sarebbe bisogno di falegnami, elettricisti, idraulici, pasticceri, panettieri, che non sono figure esattamente come la tv lascia intendere, ma lavori dignitosi e oltretutto economicamente interessanti. Chiaramente però i giovani docenti senza esperienza non interessano alle strutture scolastiche e di conseguenza tali ruoli sono ricoperti da persone di una età avanzata, ma ricca di capacità professionale. Appunto, un cane che si morde la coda.