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Artigianali italiane oltre la nicchia Da 18 anni una crescita inarrestabile

Al di là delle percentuali di mercato, ancora contenute, la birra artigianale italiana sembra gradualmente sfondare il recinto degli appassionati della prima ora. Un segnale positivo per tutti gli operatori della filiera. Negli Usa le produzioni artigianali sono cresciute a doppia cifra anno dopo anno a fronte dei risultati stabili della grande industria

di Marta Scarlatti
 
13 settembre 2014 | 13:22

Artigianali italiane oltre la nicchia Da 18 anni una crescita inarrestabile

Al di là delle percentuali di mercato, ancora contenute, la birra artigianale italiana sembra gradualmente sfondare il recinto degli appassionati della prima ora. Un segnale positivo per tutti gli operatori della filiera. Negli Usa le produzioni artigianali sono cresciute a doppia cifra anno dopo anno a fronte dei risultati stabili della grande industria

di Marta Scarlatti
13 settembre 2014 | 13:22
 

L’ultimo fine settimana di agosto, a Torino, è successo qualcosa che ci è sembrato incredibile. All’Open Baladin, locale in piazzale Valdo Fusi, aperto da pochi mesi dal solito geniaccio langhetto di nome Teo Musso, è stato celebrato il passaggio alla maggiore età della birra artigianale italiana. Nel 1996 infatti nascevano i primi microbirrifici, tra cui proprio Le Baladin di Musso, per cui, calcolatrice alla mano, il 2014 marca esattamente i primi 18 anni di vita. Per la grande festa l’Open ospitava un’eccellente rassegna delle produzioni tricolori, circa 160 referenze, e una selezione di street food a mo’ di supporto.

Fin qui niente di strano, siamo ormai abituati e partecipare o ad avere notizia di festival dedicati alle produzioni artigianali. Di strano, anzi d’incredibile, c’è stata l’affluenza dei cittadini torinesi. Calcolando a spanne e per difetto le presenze si sono aggirate intorno alle 18mila il sabato, qualcosina di meno la domenica. Numeri sbalorditivi per chi è ancora abituato a pensare che la birra artigianale piaccia solo a una nicchia di appassionati integralisti, giovani maschi tatuati, ribelli del luppolo e via dicendo... 30mila persone in due giorni significano una cosa sola: la birra artigianale italiana ha ormai rotto il recinto di quella sorta di “confraternita”. È un dato di fatto, non un’interpretazione.



Un dato di fatto che fa riflettere. Perché se è vero che da un lato la produzione “pro capite” per birrificio cala, ma il numero è dovuto solo al fatto che le nuove aperture di micro impianti crescono ancora a velocità spaventosa, dall’altro l’apprezzamento da parte dei consumatori “generalisti” continua a crescere. La moda certamente esiste e ha un suo peso, la curiosità ne ha un altro, ma il valore di buona parte di ciò che esprime questa nicchia di mercato non può essere tralasciato. E questo valore si tramuta in una ricerca, richiesta, di buona birra, in una maggiore consapevolezza da parte del consumatore in termini di aromi, gusto e fragranza della birra. Una consapevolezza che, presto o tardi, si farà sentire anche in termini meramente quantitativi.

È un elemento che dovrebbe essere tenuto presente, o almeno sotto osservazione, da parte di tutti i protagonisti del microcosmo gastronomico: penso ai ristoratori, sempre più numerose le carte della birra al fianco di quelle del vino, al mondo dell’hotellerie, anche qui qualcosa si sta muovendo, al mondo della distribuzione e del fuoricasa in generale. Le potenzialità che la birra artigianale italiana possiede non sono ancora del tutto espresse, ne conveniamo, ma sono pronte a esplodere. Negli Stati Uniti, tanto per fare un esempio e pur fatte le debite proporzioni, le produzioni artigianali sono cresciute a doppia cifra anno dopo anno a fronte dei risultati fondamentalmente stabili ottenuti dalla grande industria.

Una crescita che non può essere spiegata solo con l’entusiasmo incandescente di una nicchia di appassionati. Tanto per fare un altro esempio, in una città come Filadelfia, le birre artigianali trovano spazio nel pub giovanile e un po’ rivoluzionario ma anche nell’ambiente di rarefatta eleganza del Four Season Hotel. A Milano i sostenitori della birra artigianale affollano quotidianamente il Lambrate, il primo microbirrificio cittadino, ma volendo la possono trovare anche all’Hilton Milano. Che tuttavia è frequentato da una clientela molto diversa.



È un bene? Noi pensiamo proprio di sì, perché mettendoci dalla parte del consumatore consideriamo l’ampliamento della scelta una ricchezza. Tuttavia, anche se non fossimo di questa opinione ci sembra quanto meno opportuno lanciare un segnale alla filiera: non sottovalutate il fenomeno artigianale. È un fenomeno destinato a durare e a crescere. Certo, magari non in termini di nuove aperture all’arrembaggio, come ci sembra di assistere in questi mesi, ma in termini di mercato assolutamente sì.

E, in conclusione, non pensate alla birra artigianale come a una tigre da cavalcare. Queste birre non sono una commodity dove l’elemento portante è il prezzo, sono prodotti che vanno compresi e spiegati, raccontati è il termine più giusto, e come tali richiedono un po’ di tempo, un po’ di pazienza e un po’ di passione. Ma da quel piazzale Valdo Fusi a Torino dove a un certo punto non ci si riusciva nemmeno più a muoversi tanta era la folla, noi ci sentiamo di dirvi che ne vale la pena.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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