Cosa c’entrano i ristoratori e i tassisti? La storia è molto semplice, fino a qualche anno fa, la licenza di ristorazione o meglio le autorizzazioni dei pubblici esercizi erano divise in quattro categorie, la A, la B, la C, la D, e ad ogni lettera corrispondeva una attività della somministrazione di alimenti e bevande. La più importante era la A che corrispondeva alla ristorazione, la B ai bar e attraverso la C e la D ogni categoria sapeva cosa poteva fare e cosa no, nel senso che chi aveva la licenza B e quindi era un bar, per poter trasformarsi in un ristorante ed acquisire la licenza A sapeva cosa doveva fare e a quali regole doveva sottostare, in molti casi la comprava da un ristorante che magari stava chiudendo.
Poi alcune Regioni, Lombardia in testa, decisero anche con il consenso delle associazioni di categoria di riunire tutte le attività in un'unica autorizzazione amministrativa, legge 30 della Lombardia, definita “ Autorizzazione alla Somministrazione di alimenti e bevande “ identica per tutti i pubblici esercizi, nel senso che ipoteticamente tutti potessero fare tutto, anche se ogni operatore avrebbe dovuto comunicare agli enti di controllo qual’era l’attività prevalente e in seguito l’Asl di competenza avrebbe dovuto controllare se le norme di igiene erano state rispettate.
Naturalmente la famosa “Licenza” era per ogni operatore anche un po’ una piccola pensione, tantè che quando si vende una attività commerciale si dice in gergo “vendo l’avviamento”. Se le regole del mercato prevedevano una resa pari ad un anno di ricavi, oggi la situazione è compromessa dalla crisi; è chiaro però che la
“licenza” di un ristorante non può essere la stessa di un bar di una piscina.
L’aspetto politico è che le categorie sono rappresentate a livello nazionale in un unico calderone, definito “ Pubblici esercizi “, ma forse ci vorrebbe una diversa rappresentatività e visto che ci siamo, non si può sottacere che in questo enorme comparto politico sono rappresentati, anche gli Autogrill, i McDonald’s o le catene commerciali con centinaia di dipendenti, ovvio con problemi e necessità molto diverse.
I cuochi ed i ristoratori per certi versi non si sono preoccupati di cosa stava succedendo, ed in effetti è successo, i controlli su chi poteva cucinare o solo riscaldare il cibo è venuto a mancare, il bar che spesso su una piastra elettrica avrebbe dovuto scaldare un panino o un toast in realtà fa molto di più, il controllo non c’è stato, tra l’altro non pochi “ politici “ hanno di fatto chiuso un occhio convinti in tanti che la concorrenza nel settore, cioè tra i vari attori della filiera gastronomica, avrebbe di fatto calmierati i prezzi nell’affrontare appunto, la concorrenza, a beneficio del cliente.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti, i prezzi si sono in effetti abbassati ma anche la qualità è venuta meno, creando una difficoltà ed una confusione in un settore molto importante per l’economia del nostro paese, dicono che i turisti vengano in Italia soprattutto per la qualità del cibo. Ormai il cibo è dappertutto, senza distinzione tra chi lo trasforma o chi lo riscalda, con in più una chiara ed evidente anomalia, per esempio rispetto ai nostri cugini più nobili, cioè i francesi; in Francia le insegne sono chiare, ci sono i ristoranti, i bistrot, le brasserie, oggi anche le bistronomie, un mix tra bistrot e gastronomie, il cliente che va in un ristorante ha chiaro dove va a mangiare, e che sicuramente i costi saranno diversi da una brasserie.
Da noi invece spesso le insegne sono un insieme di tutto, Ristorante, Pizzeria tavola calda” Trattoria Bar, tavola fredda”, Osteria, pizzeria, non ultimi anche gli etnici, Sushi bar, giapponese e cinese, per esempio creano non poca confusione, non capendo, il cliente, più che tipo di attività di somministrazione si svolga. Non entriamo nel capitolo delle feste di via, di quartiere, di partito, nel mondo degli agriturismi, dove spesso il confine tra cosa si può fare e cosa non è lecito fare anche fiscalmente non è molto chiaro, anche nella somministrazione assistita cioè le pizzerie o molti Kebab, che sono artigiani e operano sul filo di una somministrazione tradizionale, tutto ormai è terra di nessuno.
Risultato che il cuoco e il ristoratore, con costi di attività enormi rispetto a molte delle categorie sovraesposte, sono enormemente penalizzati. Ma ribadisco un po’ è anche colpa della categoria che poco ha fatto per difendersi, almeno nella sua peculiarità, cioè mantenere una leadership professionale, come il cuoco che crea e trasforma il cibo.
Ed allora tutto ciò cosa c’entra con i tassisti ? C’entra eccome se c’entra. Il tassista ha dovuto investire per comprarsi la licenza, per comprarsi la macchina, per stare al passo coi tempi anche tecnologici, fa un lavoro, come il nostro faticoso e con orari fuori dalla norma. Poi arriva la concorrenza, che non ha licenza, usa la propria auto, non osserva regole di territorio o di esclusiva, nei fatti fa quello che vuole, esattamente come nel cibo, tutti fanno da mangiare. Bene anche qui, in molti hanno pensato e pensano, la concorrenza farà bene al mercato, i tassisti presuntuosi dovranno abbassare le ali ed i prezzi delle corse.
Invece i tassisti non sono i ristoratori: urlano, sbraitano si arrabbiano, forse troppo. Scioperano, fermano le loro auto, un po’ come se noi ristoratori chiudessimo i ristoranti per costringere gli agriturismi che non rispettano le regole del loro settore a stare nella legge. Qualcuno dirà che tutto ciò è retrogrado, che i tempi sono cambiati. Bene è vero, ma allora diciamo che le regole siano uguali per tutti, una fiscalità uguale per tutti, un contratto di lavoro identico per tutti quelli che operano nella somministrazione di alimenti, perché se no la concorrenza è sleale, cuciniamo, diamo da mangiare, trasportiamo clienti in auto ma con le stesse regole, identiche per tutti.