Tra i tanti articoli che sono stati pubblicati su testate locali e nazionali dopo la conclusione del sondaggio online di Italia a Tavola sul Personaggio dell’anno 2013, che nell’ultima edizione ha visto la partecipazione record di 111.559 votanti, riportiamo qui di seguito quello firmato da Gabriella Coronelli per GlamFood, che ha raccolto le testimonianze “a caldo” di due dei vincitori (il cuoco Ilario Vinciguerra e la barlady Cinzia Ferro) e del direttore di Italia a Tavola.
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Alberto Lupini (nella foto a destra) si esprime con molta naturalezza, espone concetti con parole semplici e precise, il tipico “savoir faire” di chi dice qualcosa che nella sua mente è stato elaborato e perfezionato più volte, di chi dell’argomento è padrone ma, con molto garbo, non va al di là, non si dilunga in un’esposizione pomposa, autocompiacente. Certo, dell’argomento è padrone: parliamo del “Premio Italia a Tavola”, alla sesta edizione con un crescendo vertiginoso di votanti di anno in anno: 111.559 quest’anno, +4% rispetto la scorsa edizione, con una nuova categoria, i Barman, che ha catalizzato ben 65.501 voti.
Importante, per Lupini, è «richiamare l’attenzione sulla centralità della gente che lavora in questo settore; sono tante le professionalità, sono una ricchezza per l’intero paese anche se l’enogastronomia non è considerata a livello istituzionale, perché non è un asset di sviluppo del Paese a livello di strategie politiche, di istituzioni: lo è però nei fatti».
Con abilità, Lupini allarga l’argomento specificando che «l’immagine del Paese passa molto attraverso queste attività, quindi, per noi, riuscire a valorizzare le figure in un modo anche così giocoso come lo è una competizione dove non vince il più bravo ma chi ha il maggior consenso del pubblico, richiama l’attenzione su tutti». Sono solo 36 i rappresentanti di ogni categoria, non è una “diminutio” per chi non c’è, la scelta è di «mettere qualcuno che riteniamo possa, più di altri, avere un po’ di notorietà, averne avuta e, in alcuni casi, gliene garantiamo un po’».
Il meccanismo ha dimostrato, nel tempo, di avere un suo valore, quest’anno sono stati aggiunti i barman e la categoria ha avuto molti consensi. Il successo della categoria è spiegato da Alberto con questa riflessione: «Negli ultimi anni è molto cambiando, e sta cambiando tuttora, l’approccio con il fuori casa, con il consumare il cibo e l’alimentarsi; i bar, dove non c’è l’alta cucina perché sarebbe una contraddizione, molte funzioni che una volta erano assolte dalla ristorazione veloce, oggi sono deputate principalmente ai bar. Il bar e il barman, hanno sicuramente un rapporto più diretto e più frequente con il Cliente, le occasioni di frequenza sono maggiori: dalla prima colazione al pre e dopo cena, l’aperitivo, se si facessero i conti, durante l’anno, è più il tempo che si passa al bar che non quello che si passa al ristorante».
A ciò aggiungiamo che la figura del barman è sempre in prima linea, non è una star che compare occasionalmente dalla cucina per accogliere i plausi di Clienti soddisfatti, ciò rende il barman personaggio più conosciuto, più apprezzato, questa occasione lo conferma.
Il 19% dei 64.256 votanti nella categoria Cuochi, quindi 12.046, hanno scelto Ilario Vinciguerra (nella foto a sinistra) decretandolo “chef dell’anno”, ottimo risultato. Parlare con uno chef in occasione di un riconoscimento, sia che si tratti di una stella in più o del premio “forchettina di cioccolato”, si rivela, spesso, un’impresa: chi sei, per chi scrivi, quanto scrivi, chi ti legge, chi ti ha dato il numero di telefono, chi ti conosce... manda una mail, che verrà puntualmente cestinata senza essere neppure letta... Ma qui basta mettersi d’accordo sull’orario in cui è facile trovare lo chef libero, e il gioco è fatto: a quell’ora Ilario ha risposto con una disponibilità tale da trasformare l’incontro in una piacevole conversazione.
Il tono e i modi sono quelli di un giovane contento di un riconoscimento che ha un valore aggiunto al di là di stelle, forchette e c., vale perché numericamente importante e perché esteso, disinteressato. A votarlo, sicuramente, chi la sua cucina la conosce, l’ha degustata e molti che “sognano” di degustarla, la scelta è stata orientata dal sogno. Per questi fan, Ilario ha un messaggio molto semplice, messaggio che motiva l’etica di un percorso professionale: «Bisogna essere sempre sé stessi, non bisogna essere “politici”. La sincerità è un valore a volte scomodo ma alla lunga premia».
Questi voti significano che, nonostante il caratteraccio, Ilario è stimato per il suo lavoro, per come realizza i suoi obiettivi e per ciò che sa offrire ai clienti. Lo chef fa la differenza quando è se stesso, quando trasferisce, nelle creazioni che realizza, la sua personalità, uno stile personale, scelte personali... diversamente, ogni piatto rischia di essere la copia di una copia di una copia.
Sì, Ilario conferma di avere un brutto carattere (dal modo in cui parla, dall’allegria che trasmette, venata di ironia, non si direbbe), ma solo per chi si ferma alla superficie, per chi non ha la pazienza di percorrere i sentieri che portano alla scoperta degli angoli più morbidi, più riservati di questo poeta del cibo che, con misurata astuzia, si avvale della prima impressione come di un filtro per essere raggiunto, nel suo essere recondito, solo da individui dalla volontà animata dal desiderio di scoprire e capire il segreto riposto dietro il “caratteraccio”. Valori come l’onestà, la sincerità, la lealtà, “noi non dobbiamo essere democristiani”: è questo che Ilario trasferisce con le parole e l’esempio ai suoi giovani collaboratori, al di là del carattere, questi valori ti consentono di costruire rapporti sani che durano nel tempo.
Corre l’anno 2000, quando Ilario apre a Galliate Lombardo, sulle sponde del Lago di Varese, dopo intense e preziose esperienze al fianco di maestri, rilevando l’Antica Trattoria Monte Costone, luogo classico e celebre anche per l’incanto dei panorami. Nel 2006, la stella Michelin rende onore a questo progetto nel quale Ilario ha creduto da sempre certo che i valori intrinsechi delle sue creazioni avrebbero conquistato i palati più semplici come quelli più esigenti grazie alla “tracciabilità emotiva” e all’armonia che le caratterizza. Poi il premio di San Sebastian, le tre forchette... e il sogno di una vetrina importante, di prestigio, che fosse degna cornice alla sua arte: Villa Borgomaneri a Gallarate, nel cuore celtico dell’Insubria, sulla storica direttrice del Sempione, un’antica via colma di storia e di storie, la villa stessa costruita agli inizi del 1900, in mirabile stile liberty, è uno scrigno d’arte e di vita vissuta di questa famiglia di industriali tessili il cui lavoro ha dato valore al territorio, alle famiglie.
Fu il sindaco di Gallarate, nel 2006, a cercare Ilario, con lungimiranza pensò che lo chef potesse dare un significativo senso artistico alla città diventando punto di riferimento per i gormande del mondo, perché a Gallarate, grazie alla vicinanza di Malpensa, approdano da tutto il mondo... così dal 2011 Ilario Vinciguerra è il nome di questo luogo splendido, onirico, luogo di sublimi esperienze dei sensi in cui l’ospite è accolto da Marika con il tocco essenziale della perfetta padrona di casa.
È percorrendo il Sempione, lasciando Gallarate, che ci si infila nei boschi di Somma Lombardo, Golasecca per arrivare a Sesto Calende e percorrere le sponde del Lago Maggiore su fino a Verbania dove, a Suna, si trova l’Estremadura Cafè della barlady Cinzia Ferro (nella foto accanto), vincitrice del Premio Italia a Tavola nella nuova categoria Barman. Nata a Gallarate, qui ha cominciato la professione, prima alla Ribalta poi al Woody Guthrie, e da 15 anni è a Verbania.
«Caspita» se è contenta di questo riconoscimento! 9.566 fan coltivati nel corso degli anni. La passione che Cinzia mette in questo lavoro, che è anche una scelta di vita visto la quantità di tempo che assorbe, è ciò che gli consente di avere sempre una parola da scambiare con tutti; poi la professionalità coltivata nel tempo manifesta in scelte e servizi che fanno del bar il luogo dove degustare cocktail, distillati e proposte culinarie di pregio e molto caratteristici.
Quasi 10mila fan sono tanti, da dove arrivano? «La maggior parte - spiega - sono di Verbania però ci sono anche un sacco di miei vecchi conoscenti, clienti e amici del gallaratese e anche amici dall’estero che hanno saputo la cosa, mi hanno chiamata, questa cosa ha innescato una cosa meravigliosa , ho visto e risentito gente che veramente non vedevo da tempo».
Parole da cui filtra l’emozione individuale ma anche la valenza di questo Premio, come diceva Alberto Lupini, cioè “portare al centro dell’attenzione” queste figure determinanti in un contesto produttivo e promozionale dei territori pur se non considerate a livello istituzionale. Anche per Cinzia un lungo percorso fatto di attenzione e concentrazione sull’obiettivo, impegno di ogni risorsa disponibile per creare una realtà che rappresenti la persona con la sua volontà di offrire un servizio a valore aggiunto, indipendentemente dagli scenari istituzionali.
Da 3 anni, a pochi metri dall’Estremadura, Cinzia ha avviato un ristorante, un’osteria che esisteva dal 1854, di proprietà della stessa famiglia che l’ha curata sempre meno, un recupero per restituire la dignità meritata, “Antica Osteria Monterosso” è personalizzata sullo stile di Cinzia, un ambiente un po’ retrò, curato nei dettagli: tovaglie lunghe, candele, atmosfera morbida e romantica. Cucina del territorio, interpretata per soddisfare i gusti attuali, un’importante carta dei vini, il direttore è il compagno di Cinzia, amante del vino come lei, attento ad offrire accostamenti che sorprendono.
Le persone al centro: obiettivo raggiunto dal Premio Italia a Tavola!
Gabriella Coronelli
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