A partire dal 2016 diventerà obbligatoria in tutta Europa l’etichettatura nutrizionale, vale a dire l’indicazione corretta dei principi nutritivi e del relativo apporto calorico riportata sull’etichetta di ogni prodotto alimentare. Una decisione condivisibile per contrastare l’impiego falso, ambiguo e fuorviante delle dichiarazioni contenute sulle etichette alimentari, ma che potrebbe avere l’effetto opposto se si adottasse un sistema “a semaforo” come quello che sta sperimentando l’Inghilterra.
Il ministro della Salute inglese, Anna Soubry, ha infatti invitato la grande distribuzione e i supermercati del Paese a utilizzare, da quest’anno, i colori del semaforo per le indicazioni nutrizionali. Il sistema risulta però un po’ semplicistico. Il colore rosso indica un prodotto pericoloso, il giallo mediamente pericoloso, il verde buono. Sulle etichette però non sono affatto suggerite le quantità giornaliere. Inoltre, le porzioni consigliate dovrebbero indicare il valore delle calorie e dei nutrienti riferiti al fabbisogno giornaliero. In altre parole, le indicazioni troppo generiche dovrebbero essere comprese e applicate da normali persone prive delle conoscenze nutrizionali specialistiche. Per alcuni prodotti, in corrispondenza dei numeri indicanti le quantità di ingredienti, sono previste parole come “alto”, “medio” e “basso” per segnalare in modo intuitivo se un cibo è ricco di grassi e sale. Alcune aziende di distribuzione hanno subito adottato sistemi analoghi a quello dei semafori, imitate da numerose catene di ristoranti, specialmente nei grandi alberghi. Ma l’iniziativa finora era stata lasciata alla discrezione delle aziende, con risultati poco soddisfacenti.
«Nel mese di giugno - spiega la Cia-Confederazione italiana agricoltori - il governo britannico ha diffuso una raccomandazione per introdurre un regime volontario di etichettatura nutrizionale che classifica gli alimenti con il verde, il giallo o il rosso sulla base del contenuto di sale, zucchero, grassi e grassi saturi presente in 100 grammi di prodotto. Ma “schedare” cibi e bevande in questo modo è altrettanto pericoloso e fuorviante, perché si offre al consumatore soltanto un’informazione parziale ed erronea che non tiene più conto della dieta complessiva. Lo schema “a semaforo” fornisce cioè un giudizio semplicistico e distorto sul singolo alimento, cancellando in un colpo solo l’assunto universalmente riconosciuto dal mondo scientifico che non esistono cibi “buoni” e “cattivi”, ma piuttosto regimi alimentari “buoni” e “cattivi”, diete corrette o meno a seconda della maniera in cui gli alimenti vengono integrati tra loro quotidianamente».
«Paradossalmente - sottolinea la Cia - se dovesse passare in Europa questo approccio, che ha dalla sua parte l’estrema semplicità comunicativa (verde fa bene, rosso fa male), ci sarebbero effetti devastanti su molti dei prodotti agroalimentari di qualità, prima di tutto quelli “made in Italy”. Succederà che una bibita light, con un po’ meno zucchero, benché densa di edulcoranti, conservanti e aromatizzanti, avrà il semaforo verde mentre il latte, a causa del suo tenore in grassi, avrà il semaforo rosso. Stesso semaforo rosso avranno gli oli, i formaggi, il pesce affumicato, la frutta secca e tutti i grandi prodotti Dop e Igp quali Grana, Parmigiano, prosciutti, salumi».
«Insomma - conclude la Cia - non si parlerebbe più di stili di vita salutari, di alimentazione di qualità, ma semplicemente di alimentazione a basso valore nutritivo. Con buona pace della dieta mediterranea, di recente eletta dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ecco perché esprimiamo profonda preoccupazione e completa contrarietà a qualsiasi sistema di etichettatura nutrizionale fondato su uno schema “a semaforo”. Non solo penalizzerebbe il nostro agroalimentare, ma confonderebbe ulteriormente i consumatori, venendo meno così all’obiettivo fondamentale del Regolamento Ue 1169/2011 sull’etichettatura, per il quale divengono comportamenti sanzionati “l’impiego falso, ambiguo e fuorviante delle indicazioni in etichetta, nonché di quelle incomplete o che determinano incertezza, l’incoraggiamento al consumo eccessivo, i suggerimenti contrari alle regole della salute, lo sfruttamento di timori del consumatore”».