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Il falso Made in Italy a tavola all’estero vale 60 miliardi di euro

Al 3° incontro della rassegna “Economia sotto l’ombrellone” a Lignano Pineta l’allarme lanciato dagli operatori di un settore con grandi potenzialità, ma che richiede una politica di tutela da contraffazioni o “dumping”. Pratiche che, in termini di fatturato complessivo, pesano il triplo delle esportazioni di prodotti italiani

20 agosto 2013 | 11:34
Il falso Made in Italy a tavola
all’estero vale 60 miliardi di euro
Il falso Made in Italy a tavola
all’estero vale 60 miliardi di euro

Il falso Made in Italy a tavola all’estero vale 60 miliardi di euro

Al 3° incontro della rassegna “Economia sotto l’ombrellone” a Lignano Pineta l’allarme lanciato dagli operatori di un settore con grandi potenzialità, ma che richiede una politica di tutela da contraffazioni o “dumping”. Pratiche che, in termini di fatturato complessivo, pesano il triplo delle esportazioni di prodotti italiani

20 agosto 2013 | 11:34
 

La filiera agricola e agroalimentare italiana ha ancora enormi potenzialità da esprimere. Grazie alla grande qualità dei suoi prodotti, infatti, non ha nessuna paura della globalizzazione, ma ha bisogno di una politica moderna che sappia difenderla e promuoverla nei modi più adeguati. È la richiesta che arriva da tre operatori del settore agroalimentare ospiti del terzo incontro dell’edizione 2013 di “Economia sotto l’ombrellone”, a Lignano Pineta (Ud): Claudio Bressanutti, direttore di Coldiretti Pordenone; Cristian Specogna, contitolare delle tenute vitivinicole Specogna e Toblar; e Marco Tam, presidente di Greenway agricola, che ha costruito e gestisce la centrale a biogas di Bertiolo (Ud).



Il prodotto agricolo e agroalimentare italiano, infatti, come spiegato dai tre relatori, è molto richiesto all’estero, ma soffre della concorrenza sleale di prodotti che imitano quelli italiani. Basti dire che il valore dei prodotti italian sounding o del dumping agroalimentare, venduti sui mercati esteri, ma non di origine italiana, è pari a 60 miliardi di euro annui, a fronte di un’esportazione complessiva di prodotti agroalimentari realmente italiani che ammonta a 20 miliardi annui. Si tratta di un enorme danno, non solo economico, ma anche di immagine, perché le produzioni agroalimentari italiane rispettano norme e discipline molto più stringenti di quelle seguite da chi all’estero le imita.

Oltre alla politica di difesa, che deve partire in primis dalle norme sull’etichettatura di provenienza, e a quella di promozione dei prodotti italiani, che deve avere metodi e competenze adeguati, utili a creare identità territoriali riconosciute nel mondo e non disperdersi in mille rivoli - secondo i relatori - serve anche un maggior controllo della filiera, che vada dal campo ai banchi dei supermercati. La quasi totale mancanza di catene di distribuzione in mani italiane e la crescente acquisizioni di aziende agroalimentari italiane da parte di grandi player stranieri sono, in questo senso, molto preoccupanti e fanno prevedere un futuro in cui l’Italia rischia di non avere più il controllo sul proprio settore agroalimentare.

Pur scontando questi problemi, l’agricoltura italiana vive una fase di lieve crescita (+0,1% nel primo trimestre 2013) e registra, accanto alla creazione di nuovi posti di lavoro, l’avvicinarsi di molti giovani al settore (+ 9% di occupati under 35). «Credo che il momento positivo dell’agricoltura sia legato da un lato al fatto che nel nostro settore la crisi era arrivata prima e quindi, probabilmente, abbiamo cominciato prima a uscirne - ha sostenuto Bressanutti - dall’altro al fatto che i giovani stanno vivendo un cambiamento culturale e vedono nell’agricoltura un futuro possibile. L’arrivo dei giovani è un fatto positivo che il mondo agricolo deve saper cogliere utilizzando adeguatamente le nuove idee e le nuove energie che i giovani portano con sé».

Per Specogna, imprenditore di soli 26 anni, «l’avvicinamento dei giovani all’agricoltura nasce sia da un bisogno di concretezza avvertita dopo anni di economia basata principalmente sulla speculazione finanziaria, sia dalla difficoltà nel trovare lavoro in altri settori; da qui la disponibilità anche ai lavori stagionali che fino a pochi anni fa erano terreno di conquista per la manodopera straniera. Sono comunque convinto - ha aggiunto - che nonostante le difficoltà poste da una burocrazia opprimente e dalle lentezze del sistema Italia, i giovani in futuro potranno trovare grandi soddisfazioni nell’agricoltura e aiutare l’Italia a recuperare un paesaggio rurale dignitoso e che si stava perdendo».

«Le sole agroenergie negli ultimi anni hanno creato oltre 13mila posti di lavoro - ha chiarito Marco Tam - e sono convinto che nel settore agricolo italiano ci sia ancora molto spazio di crescita. Credo, inoltre, che la crisi stia facendo cambiare l’attenzione dei giovani all’agricoltura: oggi non lo considerano più un settore di “serie B” e si rendono conto che attraverso un’adeguata preparazione possono portare in questo settore nuove competenze e nuove energie». Il settore del biogas in Italia è attualmente composto da circa duecento impianti per circa 900 megawatt di energia prodotti.



Se è innegabile l’importanza crescente del settore delle agroenergie per l’agricoltura italiana, Bressanutti ha tenuto a sottolineare che, proprio in una prospettiva di crescita, servono normative adeguate che consentano lo sviluppo del settore, senza sottrarre terreni all’utilizzo tradizionale per la produzione di derrate alimentari. «In tal senso - ha affermato il direttore di Coldiretti Pordenone - bisogna considerare che dal 1990 al 2011 l’Italia ha perso cinque milioni di ettari destinati a coltivazioni, passando da 18 milioni a 13 milioni. Diventano, dunque, essenziali leggi che tutelino il suolo e piani energetici che regolino nella maniera adeguata la produzione di “agroenergie” stimolando, in questo, campo l’uso maggiore degli scarti delle lavorazioni agricole e un uso minore di coltivazioni dedicate».

Non poteva mancare nel dibattito il versante agriturismo con le sue derivazioni, cicloturismo, ippoturismo e turismo eno-gastronomico. I tre ospiti si sono detti concordi sul fatto che lo sviluppo turistico rappresenti un’enorme opportunità per il mondo agricolo e per l’Italia in generale, vista anche la difesa dell’ambiente che tali attività comportano. Comune, però, anche il rilievo sulla necessità di una strategia più attenta e di una programmazione maggiore nel coltivare le varie forme di turismo legate alla riscoperta del territorio rurale.

Il turismo enogastronomico, ad esempio, attira in tutta Italia circa 4,5 milioni di turisti per un indotto di circa 5 miliardi di euro; numeri importanti, ma che sono nettamente inferiori ai sei milioni di turisti attratti dalla sola Napa Valley (California). E per liberare queste potenzialità ancora inespresse sono più che mai necessari un coordinamento generale, in collegamento anche con le località turistiche tradizionali, e politiche adeguate.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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